Islam e Firenze
Arte e collezionismo
dai Medici al Novecento
La giraffa
che il Sultano d’Egitto Qayt Bay inviò in dono a Lorenzo il Magnifico nel 1487,
e che testimoniava i buoni rapporti che intercorrevano fra la corte dei Medici
e il mondo islamico, ebbe purtroppo vita breve: seppure tenuta in stalle
speciali fatte appositamente costruire nella villa di Poggio a Caiano e in via
della Scala, a Firenze, si incastrò con la testa fra le travi del soffitto e
morì, spezzandosi l’osso del collo, meno di due mesi dopo.
Animale praticamente
sconosciuto nella Firenze di allora, fu celebrato in pittura da artisti come
Francesco Botticini, Giorgio Vasari, Bachiacca, Piero di Cosimo. Quella
impagliata che si vede agli Uffizi, proveniente dal museo di storia naturale de
La Specola, nell’ambito della grande
mostra “Islam e Firenze. Arte e collezionismo dai Medici al Novecento” è invece quella che il Vicerè d’Egitto donò al
Granduca Leopoldo II negli anni 30 del XIX secolo.
Si tratta di una sontuosa
rassegna di arte islamica, curata da Giovanni Curatola e organizzata dagli
Uffizi con il Museo Nazionale del Bargello, altra sede espositiva (catalogo
Giunti), aperta fino al 23 settembre. Ė un’occasione unica per scoprire
conoscenze, scambi, dialoghi e influenze tra le arti di Occidente e Oriente.
La
mostra mette in evidenza non solo gli interessi per la cultura islamica ben radicati
già nel collezionismo mediceo, e continuati fino in epoca moderna, ma
testimonia anche la fascinazione estetica per l’Oriente che, senza pregiudizi,
ha sempre permeato l’arte europea.
E inoltre porta alla
nostra attenzione l’importanza fondamentale degli scambi commerciali, ma
soprattutto intellettuali e umani, nel bacino mediterraneo e oltre, come mezzo
di arricchimento e di pace.
Per D’Agostino, il direttore dei Musei del Bargello, la rassegna è “importante non soltanto per capire il ruolo dei Medici e di Firenze nei rapporti con il vicino e lontano Oriente nel Rinascimento e oltre, ma anche per svelare al pubblico il ruolo fondamentale che la città gigliata ebbe alla fine dell’Ottocento negli scambi intellettuali e collezionistici italiani e stranieri per la creazione di nuclei museali di arte islamica e di eccellenza museografica, tra cui quello del Museo Nazionale del Bargello è a tutt’oggi uno dei più importanti in Italia.
L’interesse antico di Firenze per il mondo islamico,
è testimoniato già nei diari dei mercanti fiorentini Simone Sigoli, Leonardo
Frescobaldi e Giorgio Gucci che nel 1384, durante il loro pellegrinaggio in
Terrasanta, visitarono anche il Cairo e Damasco, stupiti dalla quantità e dalla
straordinaria bellezza dei manufatti tanto che arrivano ad affermare: “…veramente tutta cristianità per un anno si
potrebbe fornire di mercanzia in Damasco”.
Protagonista di questa iniziativa congiunta tra
Bargello e Uffizi è dunque l’arte islamica con i suoi straordinari tappeti, i
“mesci roba” e vasi “all’azzimina” ovvero ageminati (tecnica di lavorazione dei
metalli per ottenere una decorazione policroma), vetri smaltati, i cristalli di
rocca, gli avori, le ceramiche a lustro: queste ultime in verità provenienti
dall’Islam Occidentale, la Spagna, e da noi chiamate majolica dall’ultimo porto di partenza, Majorca.
A Firenze si conserva un nucleo importantissimo di arte islamica, quasi 3.300 opere donate nel 1889 dall’antiquario lionese Louis Carrand al Museo Nazionale del Bargello, già allora tra i principali musei d’Europa. La sala islamica del Bargello fu allestita nel 1982 da Marco Spallanzani e da Giovanni Curatola, su impulso di Paola Barocchi e dell’allora direttrice, Giovanna Gaeta Bertelà, che hanno posto il meglio dell’Islam in relazione con Donatello e i capolavori della statuaria del Rinascimento.
La mostra si articola in due sedi espositive: al
Bargello viene illustrato un periodo fondamentale di ricerca, collezionismo e
allestimenti museali di fine Ottocento e inizio Novecento, con opere della già
citata donazione Corrand e dell’altro grande collezionista inglese, Fredeerick
Stibbert, ma anche dei toscani Stefano Bardini e Guido Franchetti. In quegli
anni Firenze era frequentata da importanti collezionisti, italiani e stranieri,
direttori di musei, curatori, conoscitori, tra i quali Wihelm von Bode e
Bernard Berenson, entrambi estimatori anche di arte islamica
. Ė in quel clima
culturale, grazie anche alla lungimiranza di grandi direttori del Bargello come
Igino Benvenuto Supino, che si formò una delle più importanti collezioni di
arte decorative del mondo: e all’epoca l’Islam non era certo considerato
periferico, tutt’altro.
Agli Uffizi, l’altra sede espositiva, sono raccolte
le testimonianze artistiche dei contatti fra Oriente e Occidente: le
suggestioni (a partire dai caratteri arabi delle aureole della Vergine e di San
Giuseppe e dai costumi nell’Adorazione
dei Magi di Gentile da Fabriano) e i ritratti di sultani della serie
gioviana per mano di Cristofano dell’Altissimo.
E ancora gli esemplari preziosi
della lavorazione dei metalli, ricercatissimi già dai tempi di Lorenzo il
Magnifico, le ceramiche orientali, o quelle ispano-moresche con stemmi
nobiliari fiorentini. Stoffe e grandi tappeti provenienti dall’Egitto mamelucco
di fine Quattrocento o degli inizi del Cinquecento, entrati molto presto nelle
collezioni medicee-granducali, i vetri, i metalli che hanno influenzato la
coeva produzione italiana, e non ultimi gli splendidi manoscritti, fra i quali
spiccano le pagine del più antico codice datato (1217) del “Libro del Re” del
persiano Firdusi, posseduto dalla Biblioteca Nazionale, e gli esemplari
orientali della Biblioteca Medicea Laurenziana, rari per datazione e
provenienza.
Un percorso spettacolare, vario, e affascinante
attraverso secoli di scambi e contaminazioni culturali, arricchito anche di
prestiti provenienti da importanti musei italiani.
Maria Paola Forlani
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