Antonio Ligabue
Tutta
la pittura di Antonio Ligabue (Zurigo, 1899 – Gualtieri, 1965) è presente
nella mostra autobiografica di Parma a Palazzo Tarasconi, aperta fino il 27
dicembre (ora, momentaneamente, chiusa per il coronavirus), a cura di Vittorio Sgarbi,
Marzio Dell’Acqua e Augusto Agosta Tota.
Qualunque
soggetto abbia messo sulla tela, che fosse un autoritratto o un animale
selvaggio, un paesaggio o una scena di vita quotidiana, Ligabue ha dipinto in
ultima analisi sempre e solo la sua anima, l’emarginazione e l’angoscia di una
vita povera ed errabonda, la fatica e il dolore che illuminano magnificamente
quel male di vivere che nel 1925
aveva descritto anche Eugenio Montale nel suo Ossi di seppia.
Reso
celebre nel 1977, dodici anni dopo la sua morte, dal grande successo di uno
sceneggiato in tre puntate mandato in onda dalla Rai, diretto da Salvatore Nocita e interpretato da
Flavio Bucci, recentemente scomparso, Ligabue è stato il protagonista di una
vita romanzata, accompagnata dalla presenza costante della miseria e della
follia, che sembra uscita dalla penna di un grande scrittore.
Proprio in questi
giorni era uscito sugli schermi cinematografici un nuovo film biografico, Volevo
nascondermi, con
Elio Germano e la regia di Giorgio Diritti, mentre l’editore Chiarelettere ha
mandato nelle librerie Il genio infelice, il romanzo della
vita di Ligabue scritto dal giornalista Carlo Vulpio.
Antonio
Ligabue nacque a Zurigo, in Svizzera, il 18 dicembre del 1899 da Maria
Elisabetta Costa, originaria di Cencenighe Agordino (Provincia di Belluno) e
venne registrato all’anagrafe con il cognome della madre. Il 18 gennaio 1901 la
madre si sposò con Bonfiglio Laccabue, che il 10 marzo successivo riconobbe il
bambino dandogli il proprio cognome, Antonio, però, divenuto adulto, preferì
essere chiamato Ligabue (per l’odio che nutriva verso il
Bonfiglio).
Già
da piccolo Ligabue non visse mai con la sua vera famiglia: infatti, sin dal
settembre del 1900 venne affidato a Johannes Valentin Göbel ed Elise Hanselmann, una
copia senza figli di svizzeri tedeschi, che l’artista considerò sempre come
propri genitori.
A causa
delle disagiate condizioni economiche e culturali della famiglia adottiva,
furono costretti a continui spostamenti dovuti alla precarietà del lavoro.
Quindi, l’infanzia del giovane Antonio fu caratterizzata da grandi disagi, ai
quali si univano le malattie di cui era affetto (il rachitismo e il gozzo),
condizioni che risultarono nella compromissione dello sviluppo fisico, mentale
e psichico del futuro artista. Il carattere difficile e le difficoltà negli
studi lo portarono a cambiare scuola varie volte: prima a San Gallo, poi a
Tablat e infine a Marbach,
Da quest’ultimo istituto, tuttavia, venne espulso dopo
soli due anni, nel maggio 1915, per cattiva condotta. Nell’istituto, in ogni
caso, Ligabue impara a leggere con una certa velocità, e pur non essendo capace
in matematica e in ortografia, trova costante sollievo nel disegno. Ritornato
nuovamente nella famiglia adottiva, si trasferirono successivamente a Staad,
dove condusse una vita piuttosto errabonda, lavorando saltuariamente come
bracciante agricolo.
Tra il
gennaio e l’aprile del 1917, dopo una violenta crisi nervosa, fu ricoverato per
la prima volta in un ospedale psichiatrico a Pfäfers.
Nel
1919, dopo aver aggredito la madre adottiva durante una lite, su denuncia della
stessa, venne espulso dalla Svizzera. Venne inviato in Italia e il 9 agosto
giunse a Gualtieri, luogo d’origine del padre Bonfiglio Laccabue. Tuttavia non sapendo una parola d’italiano,
fuggì nel tentativo di rientrare in Svizzera, ma venne ritrovato e ricondotto a
Gualtieri, dove visse grazie all’aiuto dell’Ospizio di Mendicità Carri.
Successivamente continuò, come faceva in Svizzera, a praticare una vita nomade,
lavorando saltuariamente come manovale o bracciante presso le rive del Po.
Proprio in quel periodo incominciò a dipingere. L’espressione artistica,
infatti dava sollievo alle sue ansie, mitigava le sue ossessioni e riempiva la
sua solitudine.
Ma fu
nel 1928 che, grazie all’incontro con Renato Marino Mazzacurati, che ne
comprese l’arte genuina e gli insegnò l’uso dei colori a olio, Ligabue giunse
alla scelta di dedicarsi completamente alla pittura e alla scultura.
Nel
1937 fu ricoverato nell’ospedale psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia, a
causa dei suoi stati maniaco-depressivi, che sfociavano talvolta in attacchi
violenti autolesionistici o contro altri; in questo ospedale ci tornerà altre
due volte. Dopo la sua seconda permanenza, venne fatto dimettere dallo scultore
Andrea Mozzali, che lo ospitò a casa sua a Guastalla. Durante la seconda guerra
mondiale fece da interprete alle truppe tedesche.
Nel 1945, per aver percosso
con una bottiglia un militare tedesco, dovette rientrare un’altra volta
all’ospedale di Reggio Emilia. Uscito dall’ospedale, soggiornò alternativamente
presso il ricovero di mendicità Carri di Gualtieri o in casa di amici.
Sul
finire degli anni cinquanta ebbe inizio il periodo più prolifico per l’artista
e, dopo la sua presenza in mostre collettive, presero avvio anche le prime
mostre personali. Nel 1955, infatti, tenne la sua prima mostra personale a
Gonzaga. Nel 1961, invece, si procedette all’allestimento dell’esposizione alla
Galleria La Barcaccia di Roma, che ne segna la consacrazione nazionale.
Il 18
novembre 1962 l’artista fu colpito da una emiparesi e, dopo essere stato curato
in diversi ospedali, trovò nuovamente ospitalità presso il ricovero Carri di
Gualtieri, dove morì il 27 maggio 1965.
<<il
rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il
dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all’ultimo giorno della
sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore>>
(Epitaffio
sulla tomba di Antonio Ligabue a Gualtieri)
Antonio Ligabue, Parma, Palazzo Tarasconi
Fino
al 27 dicembre
M.P.F.
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