Borromini
A distanza di
trent’anni dall’ultima edizione, la monografia di Portoghesi su Francesco
Borromini architetto (Bissone, Lugano 1599 – Roma 1667) viene ripubblicata da
Skira in una versione ampliata e per la quasi totalità riscritta dal suo
autore, con un formidabile apparato fotografico aggiornato.
Il libro di Paolo
Portoghesi è voluminoso, denso e seducente, sono immagini e riflessioni di
grande rilievo, che raccontano la vita e le opere di uno dei più grandi
protagonisti del Seicento visto da un altro protagonista, questa volta del
Novecento. Un genio ricostruito da un maestro della critica, autore di
originali studi del Rinascimento a oggi e architetto protagonista di una delle
stagioni più felici, e controverse, del secondo novecento italiano.
Portoghesi
ripercorre la vita dell’artista in un viaggio che ne ricostruisce l’animo e la
spinta creativa. Ad emergere è un genio “diverso”, dotato di una personalità
forte, fatta di chiaroscuri su cui domina una orgogliosa indipendenza. Siamo
difronte così a un’analisi di un precoce talento, del suo volersi continuamente
superare, spiccare dal contesto, vincere a ogni costo e per indiscutibile
merito fino all’apice, che ne rappresenta il rovesciamento. Fino ad ammalarsi
nella spasmodica ricerca della bellezza e del suo ideale.
Descritto nella
letteratura come un visionario plastico, un architetto stravagante, bizzarro,
Borromini è cresciuto in un contesto artistico alla cui definizioni ha
contribuito forse più di ogni altro, così dimostra la risonanza che lo stesso
ha avuto lungo i secoli, che tracciano il percorso luminoso di un uomo
contraddittorio come la sua ardente fede a quella vena di segretezza che
sfocerà poi nel suo inaspettato suicidio. Il libro di Portoghesi è il racconto
di un continuo tentativo, da parte del Borromini, di esibire il mondo con la
sua complessità semantica e iconografica, rispettando al tempo stesso le leggi
dell’architettura, a lui contemporanea, nello sforzo di avvicinarsi al divino
tramite opere dai volti ascetici e spirituali che s’inseriscono nello spazio
urbano assecondandolo e nel contempo spettacolarizzandolo nella pratica
architettonica, pensata come sorpresa nel tessuto in cui s’inerisce.
Inconsapevolmente
Portoghesi sembra far proprio un prezioso suggerimento di Ernst Gombrich, che
in apertura della Storia dell’arte raccontata, scriveva “Non esiste in realtà
una cosa chiamata arte. Esistono solo artisti”. E infatti Borromini viene
descritto, come un arista “necessario”, con una personalità che non avrebbe
potuto non esserci, ma che resta ancor tutta da scoprire, sospesa tra il
passato e il suo presente, sempre interpretato in un senso visionario.
Prendiamo Sant’Ivo alla Sapienza, (1642-1660), tra le opere più mature di
Borromini. L’edificio sorge su uno dei lati minore del cortile del Palazzo della Sapienza, un cortile cinquecentesco, eretto da Giacomo
della Porta qualche decennio prima in forme solenni, dominato dall’andamento
rettilineo del doppio ordine dei pilastri e da quello curvilineo delle arcate.
Molti studiosi affermano che il Borromini, per non contrastare troppo con il
cortile, che non poteva distruggere, si sarebbe limitato a demolire il lato ove
sorge Sant’Ivo, sostituendo, al doppio porticato rettilineo,
un’esedra. È
probabile invece che questa preesistesse, come sembra dimostrare una pianta
prospettica di Roma, stampata nel 1618, ossia oltre vent’anni prima.
Borromini però si
inserisce coerentemente su questa concavità, proporzionandole e
contrapponendole la sovrastruttura convessa nella parte centrale, concava
lateralmente, in corrispondenza con l’allontanamento reciproco delle ali, che
la raccordano all’alto lanternino, sormontato da una spirale posta a sostegno
di una gabbia di ferro, costruita da stecche incurvate elasticamente, sopra cui
si trova la croce.
Questo finale è
la soluzione più immaginosa, più personale, ma anche più criticata di tutta
l’architettura del Borromini; è stata paragonata al gioco pirotecnico della
girandola che termina il suo moto vorticoso facendo improvvisamente apparire,
come magia, un oggetto (in questo caso la croce), fra lo stupore del pubblico,
quello stupore che, come è noto, è una componente così importante della
concezione barocca.
Inserito nel
contesto delle più complesse vicende dell’arte seicentesca, e al tempo stesso
sospeso in una sorta di splendido isolamento, il volume di Portoghesi delinea
la peculiarità e il carattere dell’artista, dal suo sorgere sulla scena romana
alla diffusione e proliferazione delle sue opere, anche attraverso la
simbologia argomentata nelle facciate, nei dispositivi planimetrici o nella
scansione scultorea degli spazi. Un’esperienza unica e diretta, sentimentale e
personale che nemmeno le pagine di un maestro del Novecento possono sostituire.
M.P.F.
Borromini
Paolo Portoghesi
Skira, Milano
2019
632 pp., colore e
b.n
Euro 90
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