Les
musique de Picasso
Sarà capitato a ognuno di noi chiedersi: ma
cosa ha diverso la musica dalle altre arti?
Per esempio che differenza c’è tra la musica,
la pittura, la scultura o la letteratura? La prima differenza che salta agli
occhi è che la pittura, la scultura o la letteratura rispetto alla musica sono
arti statiche, vale a dire le opere rappresentate sono degli oggetti immobili,
definiti e univoci al contrario la musica è un costante divenire e mutare nel
tempo.
Picasso è sempre stato
attratto dalla musica, non c’è dubbio. Ma quale era il genere che più amava? E
come si è tradotta questa passione da lui sperimentata anche attraverso
l’analisi di strumenti quali, soprattutto, chitarre, violini e mandolini
L’esposizione parigina Les musique de Picasso, alla Citè de la
musique a cura di Cécile Godefroy (aperta fino al 16
agosto), intende rispondere a questi ed altri quesiti per svelare componenti
non ancora indagate dell’incredibile creatività dell’artista spagnolo.
Una pipa, un bicchiere, una bottiglia della
birra preferita – marca Bass-, un asso di fiori e due dadi come simbolo della
sorte. E una chitarra a forme di cuore che virtualmente avvolge tutto. In alto
uno spartito senza note, in basso una scritta grande in stampatello:<< MA
JOIE>>. L’anno è il 1914, la guerra si avvicina ma Picasso è innamorato e
il “refrain” di una canzonetta cantata dal popolare Harry Fragson si trasforma
così nella sua dichiarazione d’amore.
Come era fatto, dunque, l’universo musicale
del genio indiscusso dell’arte del Novecento? Il percorso dell’esposizione
permette di seguire tutta la vita e la carriera dell’artista in modo
cronologico e tematico, riunendo molte opere che testimoniano il suo legame
costante con la musica, così si può notare come il rapporto si sia sviluppato
nel corso degli anni, degli spostamenti dell’artista e delle sue relazioni
sociali.
Tutti i periodi della sua carriera sono rappresentati perché la musica ha sempre accompagnato Picasso, sia nelle sue opere che nelle sue amicizie.
Eppure Picasso non amava la musica o almeno
così sosteneva lui stesso. <<Quando si parla di arte astratta si dice
sempre che è come la musica, E quando vogliamo dire bene di qualcosa lo
paragoniamo alla musica. Tutto diventa musica>>
Certo è vero che l’uomo e
l’artista non furono mai contagiati dalle note classiche, nonostante l’amicizia
con Stravinkij. Ma un’altra musica, quella popolare, quella che si suonava nei
cabaret parigini, che veniva dalle chitarre spagnole, dai ritmi incalzanti dei
suonatori di strada e dagli accompagnamenti sonori della corrida, lo attirava
come una calamita.
E succede che nell’iniziale elaborazione del linguaggio
cubista la musica resti assente, è evidente come questa entri con forza nelle
opere degli anni successivi. Saranno soprattutto le chitarre, i violini e i
mandolini a essere osservati, sezionati e analizzati in numerose composizioni,
non tanto come strumenti “parlanti” che provocano emozioni, quanto come elementi
di una sperimentazione senza freni.
Smontata, appiattita o ricomposta nelle forme
di un assemblaggio di fortuna, la chitarra è l’oggetto che l’artista scompone
di più nei vari pezzi – rosone, cassa, talvolta armonica, colli e tasti – al
fine di ristabilire “l’idea” più liberamente.
Non solo, per meglio comprendere questo “utensile” Picasso che non
sapeva suonare, tappezzava le pareti del suo atelier con una serie di strumenti
a corda, mentre altri ne fabbricava lui.
Furono loro, chitarre e mandolini appesi
come quadri, a fornire l’occasione per approfondire le nozioni di volume, di
vuoto e di pieno, diventando un mezzo per “studiare” meglio gli oggetti reali,
così poi da smembrarli sulla tela. Furono sempre loro a essere nella lista
degli interpreti principali delle sue rivoluzionarie scenografie. Forse anche
perché la chitarra, come il violino, ha forme sinuose che ricordano il corpo
femminile e, come una donna, si anima se pizzichi le sue corde.
Anche i musicisti entrano nella sua opera.
Sono per la maggior parte anonimi, figure solitarie e senza voce, identificate
soltanto attraverso i loro strumenti.
Sono personaggi del circo e saltimbanchi che
rappresentano figure universali ai margini della società, talvolta
drammatizzati attraverso alcune infermità, come nel caso del Cantante
cieco, una
scultura in bronzo dei suoi anni giovanili. Artisti nomadi ma liberi. Liberi
come un pittore. Come lui stesso, il grande Picasso, che spesso si identificava
con il saltimbanco per eccellenza, Arlecchino, da sempre suo alter ego o
controfigura.
Lo troviamo anche in Parade, lo spettacolo allestito da Sergej Diaghilev, il direttore dei Balletti russi, di cui l’artista firmò i costumi e le scene. Dopo la seconda guerra mondiale le chitarre lasciano a poco a poco il posto ai flauti e agli strumenti a fiato con cui vengono accompagnati i fauni e i satiri che popolano le antiche leggende. E la musica continuerà, così, a stimolare la sua creatività.
M..P.F.
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