Nulla è perduto
A volte
specialmente quelle volte che giungono dopo una tempesta o quando sparisce una
nebbia fitta e spaesante, volgere lo sguardo alle stelle, che trapuntano come
brillanti l’abito nero indossato da una notte limpida, significa non soltanto
ammirare il loro fascino: è vedere con commozione che la vita e la bellezza non
s’arrendono.
La stessa
commozione sorprende chi visita la mostra di Illegio (UD), quest’anno, che non
a caso porta il titolo capace di trapassare l’anima ancor prima di conoscerne
le opere: <<Nulla è perduto>>. È come un segno, un messaggio forte e
appassionato in questo 2020, che vede tutti ancor in tensione per vincere la
battaglia contro l’insidiosa pandemia Covid-19, ma anche per risollevare il
morale delle persone, la vitalità dei paesi, la sorte di aziende, lavoratori ed
economia, la capacità di dare nuova voce a cultura e turismo.
Il principale
motivo di stupore è che la mostra fa incontrare opere che non è più possibile
vedere al mondo, eppure a Illegio si possono vedere e toccare: opere distrutte
o perdute, ma poi ritrovate o risorte. Alcune sono state rubate e non vi è
ancora traccia di esse. Altre sono andate in cenere a causa di devastazioni o
di incomprensioni. Altre ancora sono rimaste come immerse in un oblio di
secoli, sebbene vi fosse notizia della loro esistenza che, da un certo punto in
poi, aveva fatto perdere le tracce di sé.
Sono esposti
anzitutto sette capolavori inestimabili e smarriti per sempre, ma tornati alla
luce grazie alle tecnologie di Factum Arte, l’organizzazione diretta da Adam Lowe a Madrid
e dedicata a valorizzare l’arte con arte. Attraverso l’impegno di una squadra
di storici, artisti, restauratori ed esperti di sofware 3D, le sette opere sono
tornate in vita sotto forma di rimaterializzazioni capaci di restituire ogni
dettaglio degli originali scomparsi, compresa la tridimensionalità delle
pennellate sulla superficie pittorica, con una resa che ha dello spettacolare e
pare arduo distinguere dal dipinto originale.
IL Vaso con cinque girasoli, di Vincent van Gogh,
distrutto nel 1943 a causa del
bombardamento di Ashya, nei pressi di Osaka in Giappone, contemporaneamente
allo sganciamento della bomba atomica su Hiroshima, e alla tela dedicata alla Medicina, dipinta
da Gustav Klimt per il soffitto dell’Università di Vienna e bruciata nel 1945
dai nazisti ormai sconfitti nello Schloss Immendorf in Austria (ed a Illegio
l’opera miracolosamente rimaterializzata è appunto visibile a soffitto)
segue
una delle grandi tele raffiguranti
Ninfee di Claude
Monet, carbonizzato in
un incendio divampato al MoMa di New York nel 1958 e all’intenso ed evocativo Ritratto di Sir Winston Churcill, opera realizzata nel 1954 da Graham
Sutherlandd, ma fatta distruggere da Lady Clementine Churcill un anno dopo.
Accanto a queste
opere, che si possono quasi definire apparizioni dell’aldilà, la mostra
<<Nulla è perduto>> comprende altri due casi di grande fascino, che
il visitatore può ammirare grazie a veri e propri artisti nostri contemporanei
attraverso le cui mani dei secoli passati possono rigenerare determinati
capolavori. Nella Flaktum Fredrichschein di una Berlino ormai conquistata
dall’Armata sovietica, ad esempio, tra il 5 e il 10 maggio 1945 sembra essere
svanita tra le fiamme, insieme a numerosi altri tesori d’arte, una tela dipinta
da Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Il San Matteo e
l’angelo realizzato entro
fine maggio del 1602 per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a
Roma. L’artista Antero Kahila, di
Helsinki, ha compiuto tra
il 2003 e il 2008 un personale e paziente cammino di ricerca sulla tecnica e
sul linguaggio di Caravaggio, per riuscire infine nell’impresa di
rimaterializzare il San Matteo perduto, filogicamente pennellata dopo
pennellata, con risultato impressionante. Nella mostra di Illegio l’opera è
esposta affiancata alle due enormi riproduzioni della Vocazione e del Martirio
di San Matteo, sempre dipinte da Caravaggio, in modo da ricostruire
l’originario progetto dell’artista per la Cappella Contarelli
Veri e propri
prodigi di luce e colore, invece, sono le vetrate della facciata principale
della Cattedrale di Chartes, rimaterializzate nel laboratorio di San Bellino di
Rovigo da Sandro Tomanin e dai suoi collaboratori, non perché scomparse o
distrutte ma perché a causa della loro collocazione architettonica non potranno
mai essere esposte in una mostra o ammirate da vicino nei dettagli.
Inoltre, nella
mostra <<Nulla è perduto>> vengono esposte opere d’arte originali,
inghiottite dall’oscurità per lungo tempo e recentemente ritrovate. Tra esse,
vanno ricordate le due sculture lignee intagliate e dorate da Domenico Mioni detto Domenichino da Tolmezzo, raffiguranti San Vito e San Maurizio,
realizzate tra il 1492 e il 1498 proprio per l’ancona lignea della Pieve di San
Floriano di Illegio, ma rubate nel 1968, ricomparse sul mercato antiquario a
Bonn nel 2018 e ora felicemente ritornate nel loro paese.
Infine, un’ultima
opera di inestimabile importanza, di cui si conosceva l’esistenza e una parte
della vicenda, poi persa di vista e finalmente individuata ed accompagnata da
una accuratezza di studi che non lascia più alcun dubbio, esposta ad Illegio
nella mostra <<Nulla è perduto>>: di essa, a firma di uno dei più
grandi artisti di tutti i tempi, verrà data pubblica notizia tra qualche settimana.
Attraverso
l’impegno di una squadra di storici, artisti, restauratori ed esperti di
sofware 3D, le sette opere sono tornate in vita sotto forma di
rimaterializzazioni capaci di restituire ogni dettaglio degli originali
scomparsi, compresa la tridimansionalità delle pennellate sulla superficie
pittorica, con una resa che ha dello spettacolare e pare arduo distinguere dal
dipinto originale. Grazie alla collaborazione con Sky Arte e con Ballandi Arts
e all’avanzata tecnologica di Factum Arte, visitare la mostra di Illegio
permette di riavvicinarsi fisicamente al Concerto a tre,
di Johannes Vermeer (rubato
all’Isabella Stewart-Gardner Musum di Boston nel 1990) segue la Torre dei cavalli azzurri, di Franz Marc (sequestrato dal criminale nazista che tentò
di succedere a Hitler, Hermann Göring,
e scomparso nel 1945) Di grande fascino è Myrto, opera di
Tamara de Lepicka realizzato alla fine degli anni Venti, nella Parigi in
cui si era trasferita dalla natia San Pietroburgo.
L’opera ritrae
due donne addormentate in posa intima. Con tutta probabilità una delle due è
l’artista stessa con la sua amante Ira Perrot. Il quadro apparteneva a un
collezionista dell’artista, il dottor Pierre Boucard.
Nel 1939, a
seguito dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Lempicka si trasferì negli
Stati Uniti con il secondo marito, il baron Raoul Kuffner. Boucard rimase
invece in Francia mentre la sua villa nel 1940 venne perquisita da giovani
ufficiali nazisti. Da allora l’opera di Lempicka sparì, probabilmente in seguito
a un furto.
M.P.F.