In Principio…la parola si fece carne
Padiglione della Santa Sede
56. Esposizione Internazionale d’Arte
Biennale Arte 2015
Arsenale di Venezia – Sala d’Armi nord
La santa Sede partecipa
quest’anno per la seconda volta alla Biennale d’Arte di Venezia, con un
Padiglione ispirato al Nuovo Testamento. In
Principio…la parola si fece carne è un tema scelto dal Commissario, il
Card. Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che
ha voluto venisse sviluppato il tema del “Principio”, passando dal riferimento
alla Genesi dell’edizione del 2013 a quello del Prologo
del Vangelo di Giovanni. I due poli
essenziali intorno a cui si articola la struttura del Padiglione, curato da
Micol Forti, sono: innanzitutto la
Parola trascendente, che è “ in principio” e che rivela la
natura dialogica e comunicativa del Dio di Gesù Cristo (vv. 1 - 5); ad essa si
unisce la Parola
che si fa “carne”, corpo, per portare la presenza di Dio nell’umanità,
soprattutto là dove questa appare ferita e sofferente (v.14). Con il loro
“incrociarsi” la dimensione “verticale-trascendente” e quella
“orizzontale-immanente” costituiscono il cuore della ricerca. Le due “tavole”
del Prologo giovanneo sono dunque il fulcro della riflessione dalla quale
prendono vita le opere dei tre artisti, individuati dopo una lunga selezione,
secondo alcuni precisi criteri: la consonanza del rispettivo percorso col tema
prescelto, la varietà delle tecniche artistiche, l’internazionalità e la
diversità di provenienza geografica/culturale, e soprattutto il carattere
ancora aperto e in evoluzione della loro ricerca.
Monika Bravo (1964), nata e
cresciuta in Colombia, oggi vive e lavora a New York;
la macedone Elpida Hadzi-Vasileva (1971), attualmente vive e lavora a Londra;
il fotografo Màrio Maclau (1984), nato e cresciuto a Maputo, in Monzambico, dove abita.
Monika Bravo ha elaborato con
sapienza e cura una narrazione scomposta e
ricomposta su 6 schermi e
altrettanti pannelli trasparenti, posti su pareti potentemente colorate. In
ogni composizione Natura, Parola – scritta e detta – e Astrazione artistica si
presentano quali elementi attivi di una visione euristica, aperta ad un margine
di indeterminatezza sperimentale nell’elaborazione di un nuovo spazio
percettivo e di una pienezza sensoriale, attraverso il garbo e la “manualità”
poetica con cui l’artista usa i media tecnologici.
Monika Bravo è partita, dunque, dalla Parola come origine della creazione e della storia e ha interpretato il concetto utilizzando un semplice sistema di proiezione. Le parole del prologo in greco antico, scomposte e ricomposte, sono proiettate su pannelli (circa quattro metri per quattro) sui quali si muovono immagini fisse di acqua, foglie, alberi, cielo. Tutto questo montato insieme in una stanza crea uno straordinario effetto di tessitura. Come un telaio sul quale sembrano riproporsi le forme e i colori tipici della tessitura colombiana. Le parole greche del Vangelo si intrecciano alle immagini come se fossero un ordito. L’idea è quella della Parola che nel farsi carne dona nuova forma, nuova sostanza, un nuovo ordine al Creato.
La ricerca della giovane
macedone, Elpida Hadzi-Vasileva, fonde abilità artigianali, conoscenze
scientifiche e una potente visione estetica. Per il Padiglione ha progettato
un’istallazione monumentale, architettonica, il cui “tessuto”, quasi una pelle,
un manto, accoglie il visitatore in una dimensione fisica e simbolica ad un
tempo.
Realizzato con materiale
organico di scarto, in un tragitto che dal rady-made
conduce al re-made, l’artista crea un drappo che è
insieme ricamo e superficie, presenza fisica e trasparenza, strumento di
suggestione e sorpresa. Elpida vuole,
materialmente, fisicamente, interpretare il concetto del Verbo che si fa carne
e viene ad abitare in mezzo a noi. L’architetture da lei concepita è
straordinaria, fatta, appunto, da interiora di animali, aperte, lavate e
trattate in modo da realizzare delle funi e un tessuto trasparente e colorato
dall’effetto suggestivo. Una storia che in questo caso prende vita e spunto,
dall’Adorazione dell’Agnello mistico di
Jan van Eyck.
L’agnello al centro, con le quattro stirpi che giungono dai
quattro angoli della Terra per adorarlo. Il tutto in una sorta di stella a
cinque punte che Elpida ha rappresentato come una grande tenda (la biblica
tenda del Convegno) realizzata con un telo trasparente intessuto delle sottili
pareti degli intestini incollati su di esso. L’intero ambiente è attraversato
da funi, sempre realizzato con interiora di animali. Hanno colori diversi e
rappresentano le genti che convergono, divergono, si incontrano, si dividono al
cospetto dell’Agnello. Sono materiali di scarto, raccolti nelle macellerie e
trattati in modo tale da costituire uno straordinario ricamo, un merletto
attraverso il quale la luce passa donando al tessuto svariati colori. Un
tessuto fatto di carne. Una carne di scarto trasfigurata dalla luce di Cristo.
La carne si fa storia, nella
realtà restituita senza falsificazioni dal fotografo trentenne Màrio Macilau.
La serie di 9 fotografie in bianco e nero, realizzate a Maputo, capitale del
Monzambico dove l’artista è nato e lavora, sono dedicate ai ragazzi di strada
che ancora bambini si trovano ad affrontare la vita come sopravvivenza.
Non si
tratta di un reportage, ma un’opera poetica che ribalta i nessi tra l’Adesso e
il Già stato, il Vicino e il Lontano, il Visibile e il Non-visibile. Il tema
dell’origine e del fine di ogni atto artistico è portato dalla forza della
composizione fotografica a confrontarsi con l’agonia del reale.
Maria Paola Forlani
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