Nuova Oggettività
Arte in Germania
Al tempo della Repubblica di Weimar
1919 – 1933
Secondo la diagnosi di
Antonio Gramsci, la breve vita della Repubblica di Weimar (1919-33) indica più
di ogni altro periodo del XX secolo che “La crisi consiste precisamente nel
fatto che mentre il vecchio muore il nuovo non è ancora nato.
Nell’interregno appare una
grande varietà di sintomi morbosi”.
I primi cinque anni della
nuova repubblica furono segnati dal perpetuo scompiglio economico e politico,
della disorganizzazione e disillusione sociale. Dopo il 1924 una relativa
stabilità dell’economia diede un minimo (e illusorio) senso di solidità alla
cultura democratica della Repubblica, finchè fu di nuovo infranto nel 1929 con
la crisi economica mondiale e definitivamente distrutto nel 1933 con l’adesione
della Germania al fascismo e l’avvento di Hitler.
Con Nuova Oggettività. Arte in Germania al tempo della Repubblica di
Weimar, 1919-1933 si è inaugurata per la prima volta in Italia e negli
Stati Uniti una mostra di grande respiro dedicata ai tempi più rappresentativi
delle tendenze artistiche dominanti della Repubblica di Weimar. Organizzata dal
Los Angeles Country Museum of Art (LACMA) in collaborazione con la Fondazione Musei
Civici di Venezia e con 24 Ore Cultura, l’esposizione è composta da
centoquaranta opere tra dipinti, fotografie e incisioni di quarantatre artisti.
La mostra a Museo Correr,
aperta fino al 30 agoste 2015, è a cura di Stephanie Barron, mentre l’ampio catalogo edito da Sole 24 Ore Cultura
è a cura di Sabine Eckmann e della stessa Stephanie Barron.
Accanto a figure di primo
piano come Otto Dix, Gorge Groz, Christian Schad, August Sander e Max Beckman, i
cui percorsi eterogenei
sono essenziali per
comprendere la modernità dell’arte tedesca, l’esposizione consente di scoprire
nomi meno noti al grande pubblico, in un allestimento diviso in cinque sezioni.
Il percorso espositivo riserva una particolare attenzione al confronto tra
pittura e fotografia, offrendo la rara opportunità di esaminare le analogie e
le differenze tra i diversi ambiti espressivi del movimento.
La tensione psichica che
s’innervava nelle opere dell’anteguerra sembra cedere a un composto
raccoglimento. Per gli artisti della <<Neue Sachlichkeit>> non si
tratta di un ritorno, del resto impossibile, a una contemplazione serena degli
eventi dell’uomo, ma di una ricomposizione interiore di quegli eventi, che
accentua l’ossessività della raffigurazione, spingendola assai spesso al limite
dell’allucinazione.
E poiché il mondo era stato
percorso dalla follia, e l’omicidio di massa era divenuto norma quotidiana,
agli artisti più sensibili al rapporto con la tremenda realtà vissuta, non
restava che dare a quella follia – e alle sue conseguenze – una lucida
immagine.
L’orrore della carneficina
trova magistrale rappresentazione in un opera (purtroppo persa e ricordata in
catalogo) che è La trincea di Otto
Dix (1821 – 1969). Un orribile spettacolo di morte che sembra ricollegarsi a
Bosch e alla Pittura Metafisica.
Così la cartella di incisioni
dal titolo La Guerra (1924)
ispirata ai Disastri della guerra (1820)
di Goya, è considerata una delle più esaurienti e accurate rappresentazioni
degli orrori del primo conflitto mondiale.
Il lugubre pathos che investe
l’opera sembra lo stesso che pervade l’ultima lirica di Gorge Trakl, la visione
allucinanta della sua estrema esperienza, ch’egli non ha saputo dominare e con
lui scenderà nella tomba:<<…abbraccia la notte – guerrieri moribondi, il
selvaggio lamento – delle loro bocche infrante. – Ma calmo si raccoglie sui
prati – rossa nuvola, dove abita un nume cruccioso, - il sangue versato,
freschezza lunare; - tutte strade sboccano in nera putritudine>>.
Mentre Georg Groz persegue una violenta satira sociale, intesa
a denunciare i responsabili del disastro, da una diversa ma non opposta
accezione della realtà muove Max Beckmann (1884-1950). Quando egli parla di
<<realtà trascendente>> indica una visione sostenuta da una potente
carica simbologia che spesso le conferisce un oscuro tono di apologo.
In mostra Il sogno (1921) è un’immagine emblematica degli strascichi del conflitto, è una delle sue opere più rappresentative degli anni di Weimar. Intitolato in origine Il manicomio, il dipinto mostra un gruppo di figure fisicamente o psicologicamente distorte e pressate in uno spazio angusto: un medicante cieco, un carcerato con le mani mozze, uno storpio in costume di Arlecchino, una prostituta che urina e una bambina con un pupazzo Punch.
In mostra Il sogno (1921) è un’immagine emblematica degli strascichi del conflitto, è una delle sue opere più rappresentative degli anni di Weimar. Intitolato in origine Il manicomio, il dipinto mostra un gruppo di figure fisicamente o psicologicamente distorte e pressate in uno spazio angusto: un medicante cieco, un carcerato con le mani mozze, uno storpio in costume di Arlecchino, una prostituta che urina e una bambina con un pupazzo Punch.
L’uso della distorsione crea
uno spazio isolato e claustrofobico, evocando un’atmosfera opprimente di
angoscia e disgregazione sociale che spesso accompagna le rappresentazioni
della metropoli nel dopoguerra.
Il marciapiede offre
all’artista un campionario umano ancor più squallido che nel passato. Come
appaiono lontane e irreali le parole di Novalis:<< La donna è il simbolo
della bontà e della bellezza: l’uomo il simbolo della verità e della
giustizia>>. Ma come appaiono lontane anche le eleganti
<<cocottes>> colte da Kirchener nella Berlino d’anteguerra. Altre
creature percorrono adesso il marciapiede: le prostitute per fame, sorvegliate
dal lenone. Le dipinge Otto Dix:
Omicidio a sfondo sessuale; Prostituta e ferito di
guerra – Due vittime del capitalismo;
Stupro; ecc…
In questa atmosfera
disperata, i più tentano di stordirsi, di evadere dalla realtà, di dimenticare
ciò che è stato – la guerra, la trincea, gli stenti, i pidocchi, la morte. Si
balla il fox-trot e lo shimmy per dimenticare la fame l’isterismo, l’ansia e la
bramosia, il panico e il terrore.
È in questo clima che maturano le opere di Groz e di
Dix, ma anche di Hans Finsler, Georg Schrimpf, Heinrich Maria Davringhausen,
Carl Grossberg, Anne Biermann ed altri
ancora.
Di fronte allo sfacelo, con
maggiore insistenza che nel passato, riaffiora dagli strati più fondi
dell’essere l’antico terrore dello spirito romantico tedesco. Una nuova forma
di espressione, il cinema, lo rivela in modo esemplare. Il tema goethiano di Faust
viene ripreso da Galeen con <<Lo studente di Praga>> in chiave
d’angoscia senza redenzione; l’orrore del sovrannaturale permea Nosferatu; il delitto e la follia
compongono il pathos di Il dottor Mabuse di
Frinz Lang e investono Il gabinetto del
dottor Calidari di Robert Wiene.
Anche il linguaggio
cinematografico fa ricorso a un vocabolario di simboli svuotati in molti casi
delle significazioni consuete. Essi diventano i simboli dell’inferno terrestre,
di un mondo ancora sovrastato dalla morte.
Maria Paola Forlani
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