Bologna dopo Morandi
1945-2015
Si è aperta
fino l’8 gennaio 2017 a Palazzo Fava la mostra Bologna dopo Morandi 1945 – 2015, curata da Renato Barilli e
organizzata da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e Genus Bononiae Musei
della città.
A due anni
di distanza dal successo della mostra Da
Cimabue a Morandi, che passava in rassegna sette secoli di arte a Bologna,
partendo da Cimabue fino ad arrivare ai tempi di Morandi, il critico e storico
dell’arte Renato Barilli riparte da
lì per andare oltre ed esaminare quanto è avvenuto nell’ultimo mezzo secolo di
arte bolognese, il periodo che va dal 1945 fino al 2015.
Il lungo
percorso della mostra che tocca settant’anni di arte bolognese, viene
articolato in “stazioni”, dodici di numero, che cercano di conciliare la
partecipazione bolognese ai grandi fenomeni nazionali e internazionali avvenuti
al di fuori delle mura di Bologna con le
modalità dei vari artisti.
Tra queste
“stazioni” ne incontriamo una iniziale, dell’immediato dopoguerra, in cui anche
a Bologna giungono i fermenti di una situazione ufficiale, allora consistente
nel cosiddetto postcubismo, cui si adeguano artisti peraltro già all’opera
negli anni precedenti, tra di loro particolarmente notevole lo scultore Luciano Minguzzi.
L’episodio
culminante di questa fase si trova nei dipinti di Sergio Romiti, in cui allora si vide l’erede delle nature morte
morandiane, ma divenute fredde, metalliche, scintillanti di cromature per
l’impatto esercitato dai nuovi sistemi di produzione sui tradizionali oggetti
domestici.
Il postcubismo, eredità degli anni Trenta,
venne presto scavalcato dall’impetuosa ondata dell’Informale, corrispondente,
sul fronte esterno, a tragici eventi come lo scoppio della bomba atomoca.
Bologna entra in sintonia con questo clima avanzato e davvero “esplosivo” per
merito del critico più influente in quegli anni, Francesco Arcangeli, combattuto da l’ eredità che gli veniva dai
padri putativi Roberto Longhi e Giorgio Morandi, e dalla loro lezione a favore
di una natura avvertita come fonte di un ben calibrato equilibrio, e invece
l’intuizione che quella frontiera era ormai da considerarsi “ultima”, come da
titolo di un suo famoso saggio, insufficiente da superare, fino a confluire
nell’incalzante ondata dell’Informale. Arcangeli sosteneva questa sua
predicazione a favore di un Ultimo
naturalismo collegandosi a tre protagonisti fuori dalla città felsinea, gli
unici ammessi alla mostra di Palazzo Fava, proprio in ragione dell’importanza
che hanno avuto nella sua concezione: Ennio Morlotti, Mattia Moreni, del resto
riportabili in qualche modo a una accezione
di naturalismo, e invece entrava la figura di
Pompilio Mandelli.
Oltre a collegarsi
a questi suoi coetanei, Arcangeli puntava anche su quattro bolognesi più
giovani di una generazione, Vasco
Bendini, Giuseppe Ferrari, Bruno Pulga, Sergio Vacchi, in pieno nella
situazione destinata a dominare per intero i tardi anni Cinquanta. Molti altri
sono i comprimari di una simile situazione passati in rassegna con attenzione
dal curatore della mostra. Ma al termine di quel decennio si sentì il bisogno
di uscir fuori da un ambito troppo concentrato su se stesso, conveniva cioè
tentare di stabilire nuove “possibilità di relazioni”
. A questo programma aderì
prontamente il giovane Concetto Pozzati.
Prima però di seguire questa svolta decisiva, la mostra rende omaggio a
figure più o meno isolate quali
Pirro Cuniberti, Mario Nanni, Lucio
Saffaro, Volfango. Il
filo conduttore delle “possibilità di relazione” conduce fino all’apparire,
anche nella città di Bologna, di “tracce di Pop Art”, come titola la quinta
“stazione”, con cui si lascia il piano
nobile del Fava salendo al secondo piano, dove si è accolti da un “murale” in
cui proprio Pozzati offre una persuasiva campionatura di tutte le possibilità di
aderire agli oggetti del consumismo forniti dalla “civiltà di massa” frattanto
maturata.
Gli sono a
fianco opere affini forniti da Carlo
Gajani e dall’allora giovanissimo Piero
Manai, che però a un certo punto ha praticato un totale capovolgimento, da
immagini limpide a incubi notturni, una strada lungo la quale si è venuta a
trovare un accordo con i passi ulteriori quali da tempo stava compiendo,
trasferitosi a Roma, uno degli eroi dell’Ultimo
naturalismo arcangeliano, Sergio
Vacchi, anche lui, in definitiva, alla ricerca di “possibilità di
relazione”, rintracciate però nell’immenso patrimonio di personaggi
dell’attualità, e quindi non estranei a un carattere pop, che venivano
squadernati dai rotocalchi, dai mass media in generale, ma che Vacchi
Anche un
altro dei testimoni dell’Ultimo
naturalismo arcangeliano, Vasco
Bendini,
sentì il
bisogno di cambiare discorso, rivolgendosi pure lui a suggestioni
nordamericane, però non di specie Pop, bensì New Dada, accogliendone
l’incitamento a fare grande e in chiave spettacolare, ricorrendo a delle sorte
di happening e di performances, realizzati in un austero palazzo manierista, il
Bentivoglio, e dunque la tappa dedicata allo Studio Bentivoglio può essere considerata tra le più significative
dell’intero percorso, perché oltre ad attestare lo straordinario svolgimento di
Bendini, poi però rientrato nei suoi panni di pittore, vi ha svolto le prime
mosse Pier Paolo Calzolari, destinato
a confluire nel movimento dell’Arte povera. Un altro emergente dallo Studio Bentivoglio è Luigi Ontani, che
però, a differenza di Calzolari, opera un tipico rovesciamento dal “povero” al
“ricco”, pratica cioè un’arte che invece di insistere nel testimoniare il “qui
e ora”, preferisce
l’”alibi”,
cioè l’altrove, andare a rivisitare il museo, oppure luoghi extraoccidentali.
A questo
modo Ontani detta il criterio di fondo cui si ispira l’intera seconda metà dei
Settanta e oltre, intitolata anche al postmoderno, alla citazione, alla
“ripetizione differente”. Infatti dietro di lui, si raccoglie il gruppo dei Nuovi-nuovi, reclutato dal curatore
della presente mostra, con la collaborazione di due critici valenti come
Francesca Alinovi e Roberto Daolio.
I Nuovi-nuovi, che in ambito bolognese
sono Bruno Benuzzi, Marcello Jori Giorgio
Zucchini, partecipano al fervido clima di quegli anni in fiera gara
emulativa con Anacronistici e Transavanguisti. La mostra riesce ad accordare
una ridotta ma significativa presenza a Nino
Migliori, tra i più intraprendenti sperimentatori di quanto si può ricavare
da usi eterodossi della fotografia. Infine un altro episodio decisivo di questa
storia felsinea si ha attorno alla figura di Andrea Pazienza, studente del DAMS, partecipe alle contestazioni
del ’77. Un po’ di quella violenza, seppure filtrata e pacificata, è entrata
nei suoi fumetti, tracciati con enorme varietà di stili, trascinandosi dietro
le presenze ugualmente dinamiche e inventive di Daniele Brolli, Giorgio
Carpinteri, Igort, Lorenzo Mattoti.
Maria Paola
Forlani
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