Orlando Furioso
500 anni
Cosa vedeva Ariosto
Quando chiudeva gli occhi
<< NOI – Messer Ludovico, ora
non ci verrete a dire che le
Vostre favole possono aiutarci a fare
la rivoluzione…
ARIOSTO – E perché no?>>
(G. Rodari,
Il poeta dice la sua sul Furioso in TV, Intervista con messer Ludovico Ariosto
(1975).
Ultimo tra i
romanzi cavallereschi e primo tra i moderni, l’Orlando furioso nasce nel 1516 dalla fantasia di Ludovico Ariosto.
Limpido e a un tempo misterioso, disincantato e sognante, il Furioso si impone come il primo poema
classico italiano. Affascinò da subito moltissimi lettori, da Macchiavelli a
Cervantes, da Galileo a Voltaire, fino a Pirandello e Calvino.
A
cinquecento anni dalla sua pubblicazione, Palazzo dei Diamanti celebra questo
capolavoro della letteratura con una mostra che fa dialogare dipinti, sculture,
arazzi, libri, manoscritti miniati, strumenti musicali, armi e oggetti
preziosi. A orchestrare questo incanto visivo è un’idea semplice: restituire
l’universo di immagini che popolavano la mente di Ariosto mentre componeva il Furioso.
Cosa vedeva
dunque il poeta, chiudendo gli occhi, quando si accingeva a raccontare una
battaglia, un duello di cavalieri o il compimento di un prodigioso incantesimo?
Quali libri e quali opere d’arte furono le muse del suo immaginario?
A partire
dai temi salienti del poema, la ricerca condotta dai curatori Guido Beltrame e
Adolfo Tura, affiancati da Maria Luisa Pacelli e Barbara Guidi, rispettivamente
direttrice e curatrice di Palazzo dei Diamanti, e da un autorevole comitato
scientifico, è stata indirizzata all’individuazione puntuale delle fonti
iconografiche, note ad Ariosto o coerenti con la tradizione figurativa a lui
familiare, che ne hanno ispirato la narrazione.
Posto al
centro del percorso espositivo l’Orlando
furioso è il perno di un itinerario ordinato in sezioni tematiche che
alternano le fonti dell’immaginario ariostesco al contesto in cui è nato il
poema: dall’universo delle battaglie all’evocazione di
un’ elegante
vita cortese, dalla fascinazione per i viaggi alle immagini di condottieri
reali e leggendari, oltre ottanta opere, tra cui diversi capolavori del nostro
rinascimento, sono riunite a Palazzo dei Diamanti per dare vita ad una mostra
irripetibile che rievoca il fantastico mondo cavalleresco di Orlando e dei
Paladini.
IN PRINCIPIO FU BOIARDO (Sala1)
L’Orlando furioso di Ariosto inizia dove
finisce l’impresa letteraria del suo predecessore, l’Orlando innamorato, o, meglio, l’Innamoramento de Orlando di Matteo Maria Boiardo, romanzo
cavalleresco pubblicato a Ferrara trent’anni prima.
Le gesta dei
paladini di Carlo Magno, protagoniste di una tradizione letteraria di lunga
data, si trasferiscono nelle pagine di Ariosto, che con ironia e sensibilità
moderne metterà in crisi le certezze di un mondo cavalleresco ormai
irrimediabilmente distante. Questo passaggio di testimone è rappresentato in
mostra da un esemplare mitico del capolavoro del Boiardo, perché il più antico
sopravvissuto, e da due simboli comuni all’universo dell’Innamorato e del Furioso:
il labirinto
in cui i protagonisti delle “audaci imprese” si smarriscono e il bivio, la
scelta tra il bene e il male, che si pone continuamente innanzi ai cavalieri.
Il primo raffigurato sulla giubba di un misterioso ed elegante cortigiano,
ritratto di Bartolomeo Veneto, il secondo appare sulla specchiera istoriata con
l’emblema di Alfonso I d’Este, squisito esemplare dell’arte dell’intaglio
ligneo del primo Cinquecento.
LA BATTAGLIA E LA GIOSTRA (Sale 2 E
3)
A condurre
il visitatore nel vivo del racconto della mostra è il tema della battaglia,
reale e letteraria. Dovendo raccontare guerre e combattimenti svoltisi
nell’VIII secolo, Ariosto potè dare libero corso alla propria immaginazione
attingendo dall’universo visivo rappresentato da quelle opere e da quegli
oggetti che costituivano i veicoli privilegiati per la diffusione delle
immagini degli arazzi, libri e manoscritti miniati. L’epico combattimento di
Roncisvalle del 778, uno degli episodi più celebri dell’epopea della Chanson de Roland, fonte dei successivi
poemi cavallereschi fino al Furioso, è
evocato dall’olifante in avorio dell’XI secolo, che la leggenda vuole sia il
corno che Orlando fece risuonare tra i Pirenei, e da un monumentale arazzo, del
tutto simile a quelli che impreziosivano le dimore estensi,
che congela,
in una scena di grande impatto visivo, il cruento scontro tra il paladino e un
manipolo di saraceni.
LO SPECCHIO
DELLA CORTE (SALE 4 E 5)
L’Orlando furioso è espressione di quel
mondo delle corti al quale l’opera era indirizzata e in cui Ariosto stesso si
era formato. I signori di Ferrara, e delle città ad essa legate come Mantova,
furono infatti i primi destinatari dell’opera e le loro vicende si intrecciano
con le storie fantastiche che ne animano le pagine. Il poema e la corte si
specchiano dunque l’uno nell’altro.
L’intento di
celebrazione dinastica della casata estense che caratterizza la prima edizione
del Furioso è rappresentato in mostra
da uno dei più celebri ritratti del quattrocento italiano, il Leonello d’Este di Pisanello.
Paradigmatico
del raffinato universo della corte è lo “studiolo” o camerino, spazio privato
dove il signore si ritirava e custodiva raccolte d’arte e di oggetti preziosi
accuratamente selezionati. A testimoniare in maniera emblematica questo luogo –
che vide Isabella prima e Alfonso poi tra i committenti più sofisticati del
tempo – è un grande capolavoro: Minerva
che scaccia i Vizi dal giardino delle virtù di Andrea Mantegna.
La corte è
di per sé un luogo teatrale, vive di una continua rappresentazione di se
stessa, attraverso le proprie immagini di vita elegante. Se nella Roma
umanistica gli intellettuali come Fedra Inghirami – di cui è esposto l’intenso
ritratto di Raffaello – si dilettavano a mettere in scena le commedie antiche
recitando in latino, a Ferrara nasce il teatro moderno in lingua volgare
ispirato a modelli classici, che dalla Fabbula
de Cefalo di Niccolò da Correggio giungerà alle commedie di Ariosto come i Suppositi.
L’IMMAGIENE
DEL CAVALIERE (SALA 6)
Come poteva
un letterato del Cinquecento immaginare un guerriero dell’VIII secolo? A quali
immagini potè ispirarsi verosimilmente Ariosto, ma ancora più i suoi lettori,
per figurarsi l’aspetto dell’intrepido
Orlando, del valoroso Rinaldo, di Bradamante, bellissima donna guerriera, o,
ancora, di Ruggero, il saraceno convertito cui spetta il ruolo di progenitore
della stirpe estense?
Il cavaliere
“moderno”, ritratto nella sua luccicante armatura, è il protagonista di una tra
le più suggestive effigi di guerrieri del primo Cinquecento, il Ritratto di guerriero con scudiero, noto
anche come Gattamelata, di Giorgione.
Espressione di un nuovo genere di ritrattistica di uomini d’arme fiorito
nell’ambito della cultura di corte dell’Italia del Nord, questa tela rappresenta
un modello cavalleresco idealizzato e romantico, tratteggiato con grazia, languore
e stilizzata bellezza.
UNA
FULMINANTE FORTUNA (SALA 10)
Il 22 aprile
del 1516 nell’officina Mazzocchi a Ferrara si concludeva la stampa dell’Orlando Furioso. Composto di 40 canti,
il poema che ambiva a cantare
<<le donne, i cavalier, l’arme, gli
amori, le cortesie, l’audaci imprese>> di un mondo lontano, conobbe da
subito un ampio successo, raccogliendo l’ammirazione di molti contemporanei.
Dipinta a
due anni di distanza dalla prima edizione del Furioso, la Melissa di
Dosso Dossi costituisce il primo esempio della secolare fortuna figurativa del
poema. Il pittore di corte di Alfonso I traduce in pittura una delle
protagoniste della narrazione, la maga Melissa. Colta nell’atto di utilizzare
il cerchio magico, il libro ed il fuoco per annullare il sortilegio della
malvagia Alcina e liberare i cavalieri che questa aveva trasformato in fiori,
alberi e animali, la maga di Dosso è qualcosa di più della trascrizione di uno
splendido episodio, è un omaggio al poema attraverso la celebrazione del
personaggio al quale Ariosto affida il ruolo di buona madrina e profetessa
della discendenza estense. Il dipinto, impareggiabile per capacità di tradurre
contenuti e forme della prima redazione dell’Orlando nel linguaggio della pittura, è un capolavoro dalla
temperatura fantastica, accesa da un sontuoso cromatismo tanto nel
lussureggiante paesaggio quanto nella veste della maga.
Maria Paola
Forlani
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