Italia Pop
L’arte negli anni del boom
Siamo troppo scettici per credere
Nelle proteste anarchiche.
Troppo disincantati per credere
Negli inquadranenti collettivistici.
Semplicemente amiamo il mondo
E tutto quanto esso contiene.
Cesare
Vivaldi, in “Crak”, Milano 1960
Si è aperta,
fino all’11 dicembre 2016, presso la Fondazione Magnani Rocca (Mamiano di
Traversetolo – Parma) una grande mostra sulla Pop Art italiana, composta da
circa settanta opere provenienti da importanti istituzioni pubbliche e
prestigiose collezioni private a cura di Stefano Roffi e Walter Guadagnini
(catalogo Silvana Editoriale).
La mostra
vuole fornire una lettura articolata e innovativa delle vicende che hanno
portato alla nascita e alla diffusione di una “via italiana” alla Pop Art, pienamente
in sintonia con le analoghe esperienze maturate in ambito internazionale e al
tempo stesso linguisticamente autonoma rispetto ai modelli statunitensi ed
europei del periodo.
Per
evidenziare la specificità della declinazione italiana della Pop, la mostra
prende avvio con due opere esemplari provenienti dalle stesse collezioni della
Fondazione, una ‘Piaza d’Italia’ Di Giorgio de Chirico e un ‘Sacco’ di Alberto
Burri, due fonti primarie storiche, dell’approccio italiano alla
contemporaneità, alla figurazione dell’oggetto.
Non a caso, d’altra parte,
inizialmente la critica aveva parlato di una stagione “neo-metafisica” a
proposito dell’opera di autori come Mario Schifano o Tano Festa, e lo stesso
Schifano, come è noto, omaggerà esplicitamente Giacomo Balla e il Futurismo in
due serie pittoriche centrali nello sviluppo del suo percorso.
La mostra
procede poi con quelli che si possono considerare i precursori del linguaggio
Pop propriamente detto, una serie di autori che, a partire dagli anni
dell’immediato secondo dopoguerra hanno affrontato i temi del nuovo paesaggio
visivo in un paese che andava uscendo dai traumi della guerra e aprendosi a
nuovi, inediti stili di vita, capaci di generare naturalmente anche nuove
immagini: Gianni Bertini, Enrico Baj, Mimmo Rotella, Fabio Mauri, hanno saputo
cogliere per primi la nuova temperie culturale, il nuovo clima anche sociale
che andava maturando negli anni Cinquanta, e le loro opere si pongono,
stilisticamente e temporalmente, a fianco di quelle dei neo-dadaisti
statunitensi come Jasper Johns e Robert Rauschenberg o dei coevi esponenti del
francese “Nouveau Réalisme”.
Assieme a
loro, alla fine degli anni Cinquanta anche autori come Schifano, Renato Mambor,
Gianfranco Baruchello riflettono sui temi dello schermo e dell’oggettualità
della pittura, ponendo le basi per lo sviluppo della vera e propria stagione
d’oro della Pop Art italiana tra il 1960 e il 1966.
Un momento
di straordinario fervore artistico che investe l’intera penisola, che ha i suoi
centri nevralgici nella città di Milano e di Roma, ma che trova luoghi di
diffusione estremamente significativi anche a Torino e in Toscana, per non
citare che i centri dove maggiore è l’incidenza di tale tendenza sulla scena
artistica. In questa sezione si vedono i capolavori di Mimmo Rotella ed Enrico
Baj, degli autori romani riuniti sotto l’etichetta di “Scuola di Piazza del
Popolo”, i già citati Schifano, Festa, Mambor, Mauri e Cesare Tacchi, Claudio
Cintoli, le opere degli operanti a Milano come Valerio Adami, Lucio Del Pezzo,
Piero Manzoni, Emilio Tadini, Antonio Formez, i torinesi Piero Gilardi, Aldo
Mondino, Michelangelo Pistoletto, i toscani Roberto Barni, Adolfo Natalini,
Gianni Ruffi, Roberto Malquori.
Una lettura
che si conclude con la presentazione di un altro fenomeno cruciale
nell’evoluzione del linguaggio Pop in Italia a dire quella declinazione che, a
partire dal 1966 e almeno fino ai primi anni Settanta utilizza le immagini e
gli stilemi della cultura di massa per realizzare un’arte esplicitamente
politica, che riflette il nuovo clima sociale diffuso in tutto il mondo alla
fine del decennio: in questa sezione si trovano opere di alcuni autori presenti
in quelle precedenti come Schifano, Angeli, Bertini, ma soprattutto degli
esponenti di quella “figurazione critica” – come Giangiacomo Spadari, Paolo
Baratella, Fernado De Filippi, Sergio Sarri, Umbrto Mariani, Bruno di Bello o
Franco Sarnari – che si rivelano oggi come un’ulteriore, originale contributo
alla diffusione del “popism” in ambito internazionale.
Ciò che
rende questa mostra un autentico unicum, irripetibile
nel panorama espositivo non solo nazionale, è la possibilità di ammirare una
serie di sculture nelle straordinarie sale della Villa dei Capolavori, la
dimora storica di Luigi Magnani, artefice della Fondazione Magnani Rocca: gli
animali in metacrilato di Gino Marotta, le sculture di Pino Pascali, i legni di
Mario Ceroli, la “Prima televisione a colori” di Gianni Ruffi dialogano con gli
arredi e i dipinti della Fondazione, in un sorprendente confronto tra il mondo
classico e la cultura popolare degli anni Sessanta. Anche uno splendido e
rarissimo quadro di Domenico Gnoli, grande artista morto giovanissimo,
proveniente da un’importante collezione privata, entra in dialogo con i
capolavori della pittura antica della Fondazione.
In mostra,
accompagnano le opere pittoriche e scultoree alcuni significativi pezzi di
design dell’epoca, oltre a rimandi all’editoria e alla discografia, che
permettono allo spettatore di immergersi appieno nel clima culturale del tempo,
momento cruciale di svecchiamento della cultura italiana in chiave
internazionale, al confronto diretto con la nuova cultura di massa, analizzata
in quegli stessi anni da grandi intellettuali attivi nel nostro paese come Pier
Paolo Pasolini o Umberto Eco. Nel periodo della mostra, il video sul mondo del
Piper Club di Roma, vero tempio della musica e del costume giovanile anni
Sessanta, completa l’affresco di questo periodo.
Maria Paola
Forlani
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