I Nabis, Gouguin e la pittura
italiana
d’avanguardia
Si è aperta
a Rovigo, nella sede di Palazzo Roverella fino al 14 gennaio 2017 la mostra I Nabis, Gouguin e la pittura italiana
d’avanguardia, a cura di Giandomenico Romanelli (catalogo Marsilio).
Un centinaio
di opere, molte conosciute, altre da scoprire, quattro grandi “isole” e tanto
colore. Ѐ una mostra di emozioni. E di storie
intense. Storie di artisti in fuga, da città, da legami, da loro stessi, in
molti casi, che trovano rifugio in riva al mare, quello potente della Manica o
quello dolce e casalingo della Laguna veneziana. Quasi fossero alla ricerca del
valore purificatore dell’acqua e degli elementi naturali.
A Pont Aven,
sulla costa della Bretagna, Paul Gauguin giunse nel febbraio del 1888.
Vi era già
stato per un breve soggiorno due estati prima. Il sodalizio con Van Gogh nel
frattempo era finito, l’olandese aveva scelto il sud della Francia, lui la
Bretagna. Qui si era andato formando un eden primitivo e quasi incontaminato,
popolato da una comunità internazionale di giovani artisti che, dipingendo
spesso insieme, traevano ispirazione dal paesaggio e dalle comuni esperienze e
riflessioni.
Il
linguaggio espressivo e antinaturalistico del gruppo entrò anche in contatto
con le poetiche del primitivismo e dell’esotismo assai in voga nell’Europa di
fine Ottocento. Confluì in varie correnti artistiche e ne influenzò nascita e
caratteri.
Su tutti
spicca l’esperienza parigina dei Profeti, o meglio Nabis, dall’antico
testamento ebraico. L’inizio si deve a un viaggio in Bretagna di un giovane
pittore parigino, Paul Sérusier (Parigi 1864 – Morlaix, Bretagna, 1927), il
quale alloggiando casualmente, anche Gouguin con i suoi amici, il giorno prima
della sua partenza, superando il proprio timore reverenziale di fronte al
grande artista, osò rivolgergli la parola, ricevendone un’accoglienza cordiale
e l’invito a dipingere insieme.
Da questo
rapido incontro Sérusier trasse la lezione che doveva indirizzarlo verso un
nuovo tipo di pittura, antinaturalistica e soggettiva. La conseguenza di
queste poche ore di pittura en plein air è una tavoletta che
Sérusier portò con sé a Parigi, facendola vedere a un gruppo di compagni,
stanchi, come lui, dell’insegnamento accademico e che servì a tutti loro per
rafforzarli nel convincimento di doversi affrancare dai vincoli della
tradizione scolastica.
La stagione nabis è breve, non più di una decina
d’anni fra il 1890 e il 1900, ma importante. Se anche i risultati artistici non
sono sempre di eccezionale livello, le idee avranno un largo seguito in tutta
la cultura del Novecento. L’arte secondo i Nabis,
non è descrizione di un fatto o di un paesaggio, è espressione interiore;
qualunque
cosa rappresenti una pittura, ciò che conta non è il tema, è il modo con cui
l’autore ha posto i colori l’uno in rapporto all’altro, determinando un
accordo, che acquista, proprio perché costituito da quel rapporto e non da un
altro, un significato unico e irripetibile: come scrisse uno dei principali
esponenti del gruppo, Maurice Denis (Granville, 1870 – Parigi 1945), <<un
quadro prima di essere un cavallo in battaglia, una donna nuda, o qualsiasi
fatto, è essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori organizzati
secondo un certo ordine>>. Ѐ facile intuire come questa celebre
frase sia, nella sua concisione, la base, fra l’altro, dell’estetica
<<astratta>>.
Nella loro
pittura comunque i Nabis non cercano
la forza espressiva di Gauguin, ma
la Purezza
dei <<primitivi>> italiani, la bidimensionalità, la sintesi
formale, la flessibilità della linea, la morbidezza del colore.
Questi
stimoli innovativi contaminarono l’Europa, senza tralasciare l’Italia. Ed è
proprio sul versante nazionale che si concentra la seconda parte della
rassegna.
La “stagione
bretone” dell’arte italiana tra gli anni ’80 dell’Ottocento e i primi decenni
del secolo successivo è ben individuabile. La si incontra in diversi artisti, o
meglio in precise fasi della loro produzione. Sono pittori che in molti casi
hanno vissuto a Parigi e che nella capitale francese, o comunque oltralpe,
hanno acquistato caratteri e cadenze linguistiche di inequivocabile qualificazione
gauguiniana a Pont-Aven.
Non a caso
la rassegna continua con Gino Rossi e la sua Burano. Rossi, uomo e artista
pregno di illuminazioni e di tenebre, “straordinario campo di forze, di
polarità, di tensioni, di urgenze e di riflessioni”. E, con lui, il grande Arturo
Martini e il gruppo gravitante su Ca’Pesaro.
Gauguin e
Rossi, due storie lontanissime eppure vicine: il primo conquistato, catturato e
tragicamente sedotto dai paradisi tahitiani, il secondo scivolato in un
fulminante itinerario sin dentro i gironi d’inferno di un manicomio di
provincia.
Eppure
capaci, entrambi, di una pittura dove la semplicità è purezza primigenia e
insieme ingenuità, affinamento alchemico e traduzione di un pensiero filosofico
cristallino, lucido e tragicamente fragile.
L’ultima
parte della rassegna è un grande capitolo dedicato agli eredi di questo
universo artistico. Il Sintetismo, calato nella nuova sensibilità borghese e
moderna grazie a protagonisti come Paul Sérusier, Emile Bernard, Paul Elie
Ranson, Maurice Denis e gli svizzeri Cuno Amiet e Felix Vallotton (presenti in
mostra con celebri capolavori), vive una stagione straordinaria anche in
Italia: Gino Rossi, Felice Casorati, Oscar Ghiglia, Cagnaccio di San Pietro,
Mario Cavaglieri.
La lezione
del Sintetismo “borghese” trova in Mario Cavaglieri un adepto originale e
aggiornato (su Bonard e Vuillard, prima di tutti) che si trova anch’egli a
lasciare infine la terra veneta per trovare stimoli e riferimenti nella cultura
artistica francese.
Diversi di
questi percorsi di formazione e poi di affermazione di un altro capesarino
destinato a notevole fortuna, a grande maturazione e ad altrettanto intensa
riflessione critica, Felice Casorati; mentre un sogno di una rigorosa
oggettività nuova si muove il geniale Cagnaccio di San Pietro, armato di
determinazione autoptica e portato a una geometrizzazione ferma e feroce nei
suoi nudi, nelle sue nature morte, nelle sue luci che feriscono l’occhio e
toccano i corpi nudi trasformando la carne in metallo.
Maria Paola
Forlani
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