La Collezione Gelman:
arte messicana del XX secolo
Frida Kahlo
Diego Rivera
Rufino Tamayo
Marìa Izquierdo
David Alfaro Siquieros
Ángel Zàrraga
Un racconto
bellissimo, struggente, emozionante quello che si è aperto a Bologna a Palazzo
Albergati fino al 26 marzo 2017.
Attraverso
l’esposizione delle opere della Collezione Gelman, tra le più importanti
raccolte d’arte messicana del XX secolo in cui primeggiano Frida Kahlo e Diego Rivera, è
narrata la “Rinascita messicana” (1920-1960) e la storia degli artisti che ne
sono protagonisti.
Curata da
Gioia Mori, la mostra “ La collezione Gelman: Arte messicana del XX
secolo.
Frida Kahlo, Diego Rivera, Rufino
Tamayo, Maria Izquirdo, David Alfaro Siquieros, Angel Zárraga “ (catalogo Skira) è composta da dipinti, fotografie, abiti,
gioielli, collages, disegni.
Alla
collezione si aggiunge una “chicca” assoluta: per la prima volta sono esposti
gli abiti dei più grandi stilisti di fama internazionale che si sono ispirati a
Frida Kahlo: Gianfranco Ferrè, Antonio
Marras, Valentino sono solo alcuni nomi della moda che hanno voluto
partecipare a questa mostra.
Da questa
sezione L’identità vestita. Frida Kahlo
e la moda nasce una lettura diversa ed affascinante di questa artista “icona
dai mille volti e dalle mille suggestioni”.
Se a
Elisabetta d’Inghilterra si può riconoscere il primato di aver fatto della
propria immagine una chiara rappresentazione di sé e della propria personalità
sottolineando con acconciature, trucco e abbigliamento il proprio carattere intransigente
e la devozione totale del popolo inglese e a Dio, è però a partire dalla fine
del XIX secolo, con la diffusione della stampa, della fotografia e del cinema, che si assiste alla nascita di
molte icone che oggi vengono riproposte ciclicamente sulle passerelle e sulle
riviste di moda. Donne che hanno fatto della loro emancipazione uno stile di
vita, capaci di promuovere la propria personalità e tradurla in autonomia di
linguaggio e originalità espressiva: dalla marchesa Luisa Casati, a Claudia Cahun,
passando per Evita Peròn, Diana Vreeland, Anna Piaggi fino ad arrivare alle più
contemporanee Madonna e Lady Gaga, solo per citarne alcune. Personalità della
cultura del jet set, della politica, che hanno materializzato la propria
identità in un’immagine originale e mai ripetitiva, divenendo protagoniste del
proprio tempo e del proprio stile, riverberato costantemente attraverso l’arte,
la fotografia, la cinematografia e l’editoria.
Frida Kahlo
è sicuramente una di queste, una donna che ha saputo tradurre ogni sua
imperfezione e menomazione in motivo di forza, un punto di partenza per
costruire la propria identità e, soprattutto, per divenire protagonista della
cultura messicana.
La vicenda e
l’opera di Frida Kahlo si collocano, infatti, in un momento cruciale della
storia e della costruzione dell’identità del suo paese e ne fanno una figura
che come una sorta di manifesto esistenziale, ne riflette un’autentica
rappresentazione. L’artista racchiude in sé quasi tutti i caratteri che
plasmano la cultura messicana di quel periodo. Dapprima l’infanzia vissuta nel
pieno della lotta armata contro il regime del generale Porfirio Diaz e
successivamente l’identità civica alimentata dai circoli comunisti, che
attraggono personalità provenienti dalle élite intellettuali e politiche
d’oltreoceano. Fondamentali, poi, nella formazione come pittrice, l’esposizione
al mondo della fotografia e dell’arte, inizialmente grazie al padre e poi alla
condivisione degli interessi del marito Diego Rivera, tra i massimi interpreti di
una nuova arte messicana in dialogo con le avanguardie europee.
Il fascino e
l’interesse suscitati da Frida Kahlo nel mondo dell’arte e della cultura vanno
ricercati, in gran parte, nella sua vicenda umana che diviene, in modo
piuttosto singolare, una perfetta metafora di molte battaglie, rivendicazioni e
trasformazioni di valori che investono la cultura occidentale nel secolo scorso.
Prima di
tutto, e in un momento precoce rispetto alle rivendicazioni del movimento
femminista, Frida Kahlo adotta nella propria rappresentazione uno “sguardo
femminile”, abbandonando per naturale attitudine il cosiddetto “male glaze”: la
posa immobile, l’espressione introspettiva, la rappresentazione cruda del corpo
e della sua nudità sono infatti molto lontani dall’atteggiamento seduttivo
delle donne raffigurate da gran parte dei pittori occidentali. A partire dalla
ridefinizione dell’identità di genere, che Frida rappresenta pienamente in
un’ostentata accettazione dell’ambiguità, il cui simbolo divergono i “baffi da
Zapata”, che mescola ad aspetti femminili come il mai nascosto desiderio di
maternità, drammaticamente negato dall’incidente subito all’età di diciotto
anni.
L’immagine,
il modo di porsi, di acconciarsi e anche di vestire diventa per Frida Kahlo un
vero e proprio linguaggio, parola non scritta e non pronunciata, che prende
forma nei tessuti, nei colori, nei decori e nei ricami, e che si fa discorso
completo solo attraverso il volto dell’artista, quasi sempre presente nei suoi
quadri con tutte le sue imperfezioni (il sopracciglio pesante e i baffi) che
diventano in lei rappresentazione della propria identità e autonomia, e che
danno vita a un nuovo concetto di bellezza.
Edna Woolman
Chase e Diana Vreelandd – storiche direttrivi dell’edizione americana di
“Vogue” – furono tra le prime a riflettere sul discorso politico trasmesso da
Frida Kahlo e a interpretarlo in termini sia di moda sia sociali sulle pagine
della loro rivista.
L’Europa e
Parigi, in particolare, diventano la seconda terra di conquista della
Señora Diego
Rivera, che qui arriva nel 1919 per la mostra “Mexique”, organizzata da André
Breton, suscitando immediatamente interesse e curiosità nei circoli culturali
parigini, tanto da stimolare Elsa Schiaparelli a disegnare un abito-omaggio
chiamato “robe Madame Ribera”.
Dagli anni
quaranta in poi, Frida Kalho diventa e incarna sempre più la perfetta
rappresentazione del Messico che si avvia a sancire la propria emancipazione di
una storia millenaria di violenze e depauperamento culturale e identitario,
trasformandosi nel tempo da icona di riferimento delle élite intellettuali a
icona globale che investe tutte le espressioni della produzione culturale
moderna e contemporanea: dalle arti visive al cinema, dalla musica alla
fotografia.
Come
illustrano attraverso il lavoro e le collezioni di molti designer, la “passion
por Frida” è stata negli anni una fonte inesauribile d’ispirazione, tra
citazioni e rimandi, che hanno reso la Kahlo una vera e propria icona popolare.
E volendo osservare più complessivamente la trasformazione della moda a cavallo
tra il XX e il XXI secolo non è difficile comprenderne le ragioni.
E,
nonostante l’iper-esposizione, l’artista continua tuttora a essere punto di
riferimento di stilisti e marchi come, nel 2015, per Alessandro Michele, designer
di Gucci, che collabora con Madonna per la realizzazione dei costumi per il
“Rebel Heart” tour. O infine per Carol Lim e Humberto Leon, designer di Kenzo,
autori, per il colosso svedese H&M, di una special edition (2016) che molto deve al lavoro di Frida Kahlo, non
solo per l’estetica di alcuni abiti, ma per la natura meticcia dei capi, un mix
di culture diverse, dall’Africa, al Giappone, al Sudamerica, che, piace
pensare, non sarebbe dispiaciuta all’eclettica “mestizia”.
Maria Paola
Forlani
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