mercoledì 2 novembre 2016

PIETRO CHEVALIER





Pietro Chevalier
Vedute da Padova
E Nel Veneto dell’Ottocento


Ѐ nel passaggio dal Grand Tour settecentesco, riservato alla giovane èlite
Europea, alle prime forme di un “turismo” più diffuso, che s’inserisce la figura di
Pietro Chevalier (Corfù 1795 – Padova 1864), disegnatore, incisore, giornalista e scrittore d’arte tra Venezia, Padova e Trieste.
Egli fu partecipe di una nuova sensibilità nella rappresentazione dell’immagine urbana, legata certamente a una visione romantica, ma anche a rinnovate dinamiche sociali, a nuovi modi di visita e di conoscenza delle città e a un mercato editoriale in evoluzione.
Come afferma l’Assessore alla Cultura Matteo Cavatton, “L’acquisto operato nel 1978 del Comune di Padova di un nucleo consistente di disegni e stampe di Chevalier, grazie al determinante contributo dell’allora Cassa di Risparmio Padova e Rovigo, permette di ricostruire – in una bella mostra ai Musei Civici agli Eremitani fino al 26 febbraio 2017 – il processo creativo dell’artista, offrendo nel contempo un’interessante testimonianza dei principali monumenti e delle trasformazioni di Padova e di molte altre città venete nel XIX secolo” (catalogo Skira).


Partecipe di un fenomeno ben più vasto italiano ed europeo, fatto di disegnatori, vedutisti e illustratori che andavano incontro alle esigenze di mercato, Chevalier nei suoi lavori diede spazio al romanticismo, al gusto popolare, allo storicismo, alla ripresa del Medioevo, ma fu attratto anche dall’esotismo, donandoci uno spaccato unico di realtà urbane in evoluzione e di un mondo che stava rapidamente cambiando. Il gusto orientalista, insieme allo spirito risorgimentale, può richiamare alla memoria la più famosa esperienza di Ippolito Caffi.

Tra i discepoli prediletti di Giannantonio Selva – titolare della cattedra di Architettura all’Accademia di Belle Arti a Venezia – Chevelier collaborò alla realizzazione de Le fabbriche più cospicue di Venezia, che uscì nel 1815 – 1820 a cura dello stesso Selva, di Leopoldo Cicognara e di Antonio Diedo.
Nei fogli che riproducono le vedute veneziane più note, pur cercando spunti personali, appaiono ancora evidenti il richiamo alla tradizione e il debito del giovane nei confronti soprattutto di Luca Carnevarijs e Francesco Guardi.
Tuttavia il legame di Chevalier con la città lagunare si ripresenta in modo più originale in imprese come Porto franco, Città di Venezia presumibilmente del 1831,
Panorama di Venezia del 1836 (ristampata di Ricordi su Venezia 1834), Annali urbani di Venezia di Mutinelli (1838) e Siti storici e monumentali (1838), in cui suggerirà al suo editore di dar conto al pubblico di luoghi meno noti e alternativi rispetto a quelli più famosi e conosciuti.

Negli anni venti, a Padova, Chevalier prestò la sua opera per gli editori Gamba – che nell’ottobre del 1811 avevano aperto una libreria in piazza delle Erbe – per i quali disegnò, incise e scrisse; è allora che iniziarono a emergere la modernità del suo ruolo e la complessità della sua personalità artistica.
“Scrive in un modo, attento anche alle esigenze turistiche – spiega Davide Banzato, curatore della mostra insieme a Elisabetta Gastaldi e a Vicenza Cinzia Donvito – e dalle sue righe traspaiono conoscenze storiche adeguate a mettere a punto notizie sintetiche ma precise, spesso arricchite da non banali pareri personali”.

A Padova Chevalier ebbe modo di addentrarsi in un terreno figurativamente molto meno indagato rispetto alla città lagunare, sottolineando soprattutto il richiamo romantico all’antico: scorrono davanti ai nostri occhi La Tomba di Antenore, il Santo, gli Eremitani, le porte cinquecentesche ecc. Non manca l’orgoglio per le realizzazioni più recenti, poste su un piano non certo inferiore a quelle antiche nello sviluppo del tessuto abitato: Ospedale, Macello, Pedrocchi.
Il successivo Memorie architettoniche sui principali edifici della città di Padova, edito nel 1831, è strutturato in itinerari come guida vera e propria e le immagini ne costituiscono il corredo.

Qui, come in N. 16 principali vedute della città di Padova pubblicate ancora prima sempre dai fratelli Gamba e nelle più tarde Vedute di Padova disegnate per Prosperini – in cui si possono apprezzare i progressi tecnici ed espressivi legati al nuovo strumento della litografia – Chevalier percorre una strada personale nell’intento di far conoscere l’unicità di Padova a un più vasto pubblico di nuovi viaggiatori colti e sensibili.
Veduta reale e veduta ideata ormai si mescolano, così come non mancano espedienti rappresentativi alla ricerca di grandiosità pur nella ridotta dimensione.

Chevalier è ormai consapevole dell’importanza del rapporto stretto tra figura e ambiente (le sue vedute sono spesso animate dalla fitta presenza di un’umanità variegata, intenta nelle più svariate attività) e del dialogo tra gli aspetti naturalistici e quelli monumentali.


Un approccio presente anche nella descrizione di altri luoghi del territorio del Veneto e dell’Italia del Nord, dove ebbe modo di viaggiare e risiedere, come nel caso di Trieste.
Nella città giuliana Pietro si trasferì nel 1840 e vi rimase fino al 1852 per poi fare ritorno a Padova. Erano anni inquieti dal punto di vista politico e Chevalier non era tipo facile ai compromessi. A Trieste sviluppò soprattutto un’intensa attività editoriale, collaborando con numerose riviste e fondandone egli stesso di nuove, spesso usando lo pseudonimo Luca de Zaba.

Carattere non sempre conciliante con la politica o le lobby artistiche – Chevalier vivrà gli ultimi anni in difficoltà.
Dell’attività del periodo padovano ricordiamo Un viaggio da Venezia a Possagno per Padova, Vicenza, Bassano e ritorno a Treviso pubblicato nel 1860 dai Fratelli Gamba e Il territorio padovano illustrato di Andrea Gloria, primo direttore del Museo Civico di Padova, edito da Prosperini. Molte delle tavole dell’opera, pur non firmate, grazie ai disegni esposti per la prima volta in questa mostra, possono essere infatti attribuite con certezza a Chevalier, dando conto della ormai sapiente simbiosi tra figura e scenografia: pensiamo alla Porta Cittadella, a Montagnana, al Catajo, al Palazzo Vescovile di Luvigliano ecc.


Ancora una volta è Padova al centro delle sue attenzioni, la città di cui seppe, meglio di chiunque altro, interpretare l’anima traducendo in bianco e nero l’unicità del suo passato. Concentrandosi sui luoghi della memoria ne alimentò e interpretò il mito,
legandolo nel modo più compiuto alla realtà quotidiana.



Maria Paola Forlani

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