Pietro Chevalier
Vedute da
Padova
E Nel Veneto
dell’Ottocento
Ѐ nel passaggio dal Grand Tour settecentesco, riservato alla giovane èlite
Europea,
alle prime forme di un “turismo” più diffuso, che s’inserisce la figura di
Pietro Chevalier (Corfù 1795 – Padova 1864),
disegnatore, incisore, giornalista e scrittore d’arte tra Venezia, Padova e
Trieste.
Egli fu
partecipe di una nuova sensibilità nella rappresentazione dell’immagine urbana,
legata certamente a una visione romantica, ma anche a rinnovate dinamiche
sociali, a nuovi modi di visita e di conoscenza delle città e a un mercato
editoriale in evoluzione.
Come afferma
l’Assessore alla Cultura Matteo Cavatton, “L’acquisto operato nel 1978 del
Comune di Padova di un nucleo consistente di disegni e stampe di Chevalier,
grazie al determinante contributo dell’allora Cassa di Risparmio Padova e
Rovigo, permette di ricostruire – in una bella mostra ai Musei Civici agli
Eremitani fino al 26 febbraio 2017 – il processo creativo dell’artista,
offrendo nel contempo un’interessante testimonianza dei principali monumenti e
delle trasformazioni di Padova e di molte altre città venete nel XIX secolo”
(catalogo Skira).
Partecipe di
un fenomeno ben più vasto italiano ed europeo, fatto di disegnatori, vedutisti
e illustratori che andavano incontro alle esigenze di mercato, Chevalier nei
suoi lavori diede spazio al romanticismo, al gusto popolare, allo storicismo,
alla ripresa del Medioevo, ma fu attratto anche dall’esotismo, donandoci uno
spaccato unico di realtà urbane in evoluzione e di un mondo che stava
rapidamente cambiando. Il gusto orientalista, insieme allo spirito
risorgimentale, può richiamare alla memoria la più famosa esperienza di
Ippolito Caffi.
Tra i
discepoli prediletti di Giannantonio Selva – titolare della cattedra di
Architettura all’Accademia di Belle Arti a Venezia – Chevelier collaborò alla
realizzazione de Le fabbriche più
cospicue di Venezia, che uscì nel 1815 – 1820 a cura dello stesso Selva, di
Leopoldo Cicognara e di Antonio Diedo.
Nei fogli
che riproducono le vedute veneziane più note, pur cercando spunti personali,
appaiono ancora evidenti il richiamo alla tradizione e il debito del giovane
nei confronti soprattutto di Luca Carnevarijs e Francesco Guardi.
Tuttavia il
legame di Chevalier con la città lagunare si ripresenta in modo più originale
in imprese come Porto franco, Città di
Venezia presumibilmente del 1831,
Panorama di Venezia del 1836 (ristampata di Ricordi su Venezia 1834), Annali urbani di Venezia di Mutinelli
(1838) e Siti storici e monumentali (1838),
in cui suggerirà al suo editore di dar conto al pubblico di luoghi meno noti e
alternativi rispetto a quelli più famosi e conosciuti.
Negli anni
venti, a Padova, Chevalier prestò la sua opera per gli editori Gamba – che
nell’ottobre del 1811 avevano aperto una libreria in piazza delle Erbe – per i
quali disegnò, incise e scrisse; è allora che iniziarono a emergere la
modernità del suo ruolo e la complessità della sua personalità artistica.
“Scrive in
un modo, attento anche alle esigenze turistiche – spiega Davide Banzato,
curatore della mostra insieme a Elisabetta Gastaldi e a Vicenza Cinzia Donvito
– e dalle sue righe traspaiono conoscenze storiche adeguate a mettere a punto
notizie sintetiche ma precise, spesso arricchite da non banali pareri
personali”.
A Padova
Chevalier ebbe modo di addentrarsi in un terreno figurativamente molto meno
indagato rispetto alla città lagunare, sottolineando soprattutto il richiamo
romantico all’antico: scorrono davanti ai nostri occhi La Tomba di Antenore, il Santo, gli Eremitani, le porte cinquecentesche
ecc. Non manca l’orgoglio per le realizzazioni più recenti, poste su un
piano non certo inferiore a quelle antiche nello sviluppo del tessuto abitato: Ospedale, Macello, Pedrocchi.
Il successivo
Memorie architettoniche sui principali
edifici della città di Padova, edito nel 1831, è strutturato in itinerari
come guida vera e propria e le immagini ne costituiscono il corredo.
Qui, come in
N. 16 principali vedute della città di
Padova pubblicate ancora prima sempre dai fratelli Gamba e nelle più tarde Vedute di Padova disegnate per
Prosperini – in cui si possono apprezzare i progressi tecnici ed espressivi
legati al nuovo strumento della litografia – Chevalier percorre una strada
personale nell’intento di far conoscere l’unicità di Padova a un più vasto
pubblico di nuovi viaggiatori colti e sensibili.
Veduta reale
e veduta ideata ormai si mescolano, così come non mancano espedienti
rappresentativi alla ricerca di grandiosità pur nella ridotta dimensione.
Chevalier è
ormai consapevole dell’importanza del rapporto stretto tra figura e ambiente
(le sue vedute sono spesso animate dalla fitta presenza di un’umanità
variegata, intenta nelle più svariate attività) e del dialogo tra gli aspetti
naturalistici e quelli monumentali.
Un approccio
presente anche nella descrizione di altri luoghi del territorio del Veneto e
dell’Italia del Nord, dove ebbe modo di viaggiare e risiedere, come nel caso di
Trieste.
Nella città
giuliana Pietro si trasferì nel 1840 e vi rimase fino al 1852 per poi fare
ritorno a Padova. Erano anni inquieti dal punto di vista politico e Chevalier
non era tipo facile ai compromessi. A Trieste sviluppò soprattutto un’intensa
attività editoriale, collaborando con numerose riviste e fondandone egli stesso
di nuove, spesso usando lo pseudonimo Luca
de Zaba.
Carattere
non sempre conciliante con la politica o le lobby artistiche – Chevalier vivrà
gli ultimi anni in difficoltà.
Dell’attività
del periodo padovano ricordiamo Un
viaggio da Venezia a Possagno per Padova, Vicenza, Bassano e ritorno a Treviso pubblicato
nel 1860 dai Fratelli Gamba e Il
territorio padovano illustrato di Andrea Gloria, primo direttore del Museo
Civico di Padova, edito da Prosperini. Molte delle tavole dell’opera, pur non
firmate, grazie ai disegni esposti per la prima volta in questa mostra, possono
essere infatti attribuite con certezza a Chevalier, dando conto della ormai
sapiente simbiosi tra figura e scenografia: pensiamo alla Porta Cittadella, a
Montagnana, al Catajo, al Palazzo Vescovile di Luvigliano ecc.
Ancora una
volta è Padova al centro delle sue attenzioni, la città di cui seppe, meglio di
chiunque altro, interpretare l’anima traducendo in bianco e nero l’unicità del
suo passato. Concentrandosi sui luoghi della memoria ne alimentò e interpretò
il mito,
legandolo
nel modo più compiuto alla realtà quotidiana.
Maria Paola
Forlani
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