Michelangelo e l’assedio di Firenze
Si è aperta
a Firenze a Casa Buonarroti, fino al 2 ottobre (catalogo edizione Polistampa)
la mostra Michelangelo e l’assedio di Firenze, a cura di Alessandro
Cecchi.
Il 12
agostro del 1530 Firenze assediata capitolava, arrendendosi alle truppe
imperiali. Aveva resistito per dieci lunghi mesi, anche grazie ai bastioni
apprestati da Michelangelo sulla collina di San Miniato, centro nevralgico
della difesa della città repubblicana. Fin dall’estate-autunno del 1528
l’artista era stato chiamato, per la sua esperienza di architetto militare, a
fornire pareri e progetti per ammodernare le fortificazioni fiorentine e
renderle atte a resistere all’impatto devastante delle artiglierie imperiali;
ma all’inizio di aprile nel 1529 fu nominato dai Dieci di Balia “generale
governatore et procuratore” delle opere di fortificazione per la durata di un
anno, con una scelta che riconosceva in lui una indubbia competenza
accompagnata da una sicura fede repubblicana. A testimonianza suprema di questa
sua attività restano i venti disegni conservati in Casa Buonarroti, databili
agli anni 1528-1529, con progetti di fortificazioni tesi a rinforzare e
ammodernare le Porte alla Giustizia e al Prato d’Ognissanti, e altri settori
delle mura. I fogli, “carichi
d’avvampante furore e dirompente energia” secondo la felice definizione di
Carlo Giulio Argan, “sono soltanto
planimetrie, ma non vanno considerati come studi preparatori in vista di una
futura costruzione”. Non lo furono che in minima parte, per la spesa che
comportavano e la mancanza di tempo a disposizione.
Nell’estate-autunno del
1529 si preferì ripiegare su fortificazioni effimere ma efficaci come i
bastioni che sorsero nei punti deboli della cinta muraria trecentesca. Da
questo gruppo di studi unico al mondo si prende l’avvio con la prima sezione
della mostra, per mobilitazione e di impegno civile e religioso, attestato
dall’esposizione di documenti, libri, dipinti, disegni, monete e medaglie. Se
ne trae la veritiera immagine della seconda repubblica fiorentina, pronta, con
la protezione di Cristo re, all’estremo sacrificio in difesa della “dolce
libertà”, che si rifaceva allo spirito della prima (1494-1512), trovando tra
l’altro un supporto ideologico negli scritti di fra Girolamo Savonarola, che
era stato uno degli ispiratori, e che era morto come un martire, nel 1498. “Ecco la spada di Dio sulla terra”, sembra
gridasse fra Girolamo Savonarola quando un fulmine colpì la cupola di Santa
Maria del Fiore.
La seconda
sezione della mostra è dedicata ai combattenti di entrambe le parti: i
mercenari al soldo di Firenze, come capitani traditori ritratti impiccati in
effige per un piede, presenti in disegni di Andrea del Sarto provenienti dagli
Uffizi; e i giovani della Milizia e Ordinanza fiorentina che si distinsero
invece per il loro valore nella difesa della libertà repubblicana, ripresi con
le loro armi dal Pontormo e dal Sarto.
A dar conto di come si combatteva nel
primo trentennio del Cinquecento, troviamo tra gli oggetti più tipici e
interessanti la spada col fodero, detta Katzbalger,
dei Lanzichenecchi, presenti anche in un’incisione del tempo, un corsaletto
da cavallo leggero, uno splendido spadone a due mani.
L’ultima
sezione è dedicata al connubio fra arte e fede e, in particolare, al Savonarola
e alla pittura di soggetto religioso che vide la luce durante l’assedio. Si
trattò di opere, tutte presenti in mostra, come la cosiddetta Sacra Famiglia Medici di Andrea del
Sarto, o come la Madonna col Bambino e San
Giovannino, eseguita forse dal Pontormo per il “Rossino muratore” che gli
aveva costruito la casa in quei tempi difficili e procellosi. Lo stesso artista
dipinse per le donne dello Spedale degli Innocenti una tavola col Martirio dei Diecimila. Significativa è
la tavoletta di Giovanni Antonio Sogliani (attr.) Ritratto di fra Girolamo Savonarola come martire. Il minuscolo
dipinto, un vero e proprio “quadretto di minio”, raffigura il predicatore
domenicano con il capo raggiato, un libro e la palma del martirio nelle mani,
ad attestazione del culto privato che si stabilì fin dalla sua morte, il 23
maggio del 1498, in piazza della Signoria e dette luogo alla commissione di
molte immagini del frate, oggi in gran parte disperse. In mostra la preziosa
edizione di fra Gerolamo Savonarola Operetta
del amore di Jesu. L’opera è un vero e proprio trattato di preghiera e di
disciplina contemplativa, risalente agli anni più celebri della predicazione di
Savonarola.
L’argomento, fra quelli prediletti dal Frate, trovava poi una sponda evidente nel culto di Cristo secondo le direttive ideologiche e politiche dell’ultima Repubblica. Attenti anche negli aspetti letterari, che già si intravvedono nella xilografia del frontespizio, gli editori ponevano a fine testo, alcune importanti composizioni poetiche. Nella tavola I Diecimila Martiri di Pontormo ricordata da Vasari, è ricavata la leggenda del generale romano Acacio e dei suoi soldati; i quali inviati a sedare una rivolta in Armenia dagli imperatori Adriano e Antonino, si erano convertiti al cristianesimo per ottenere la vittoria promessa loro da un angelo. Sconfitti i nemici e ricevuto il battesimo, ad Acacio e i novemila soldati fu ingiunto di abiurare, ma essendosi rifiutati, l’esercito imperiale procedette al martirio.
Ѐ stato più volte sottolineato dalla critica come l’episodio del martirio
di massa dei valorosi seguaci di Acacio, potesse evocare la condizione che i
fiorentini vivevano al tempo dell’assedio, quando la Repubblica consacratasi a
Cristo, oltre a sopportare il flagello del morbo della peste, lottava per
conservare la propria libertà, a costo dell’estremo sacrificio.
Maria Paola
Forlani
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