I Grandi Maestri.
100 anni di fotografia Leica
Si è aperta
a Roma nel Complesso del Vittoriano la mostra I Grandi Maestri. 100 anni di
fotografia Leica (unica tappa italiana, fino al 18. febbraio 2018) che rende omaggio alla
prima macchina fotografica 35 mm provvista di pellicola, alla fotografia
d’epoca e a tutti gli artisti che hanno utilizzato la Leica dagli anni venti ai
giorni d’oggi, celebrando le loro immagini.
Oltre 350
opere dei maggiori e più prestigiosi autori – da Henri Cartier-Bresson a Gianni
Berengo Gardin, da William Klein a Robert Frank, a Robert Capa a Elliot Erwitt
e molti altri ancora – decine di documenti originali, riviste e libri rari,
fotografie vintage, macchine fotografiche d’epoca, compongono questa ricca
esposizione.
Nel 1914,
quando costruì la prima macchina compatta con pellicola cinematografica 35 mm,
Oskar Barnack aveva già individuato alcune soluzioni che si ritrovano come
tratti distintivi anche nei modelli di Leica digital più recenti.
Molto prima
della Leica, Oskar Barnack (1879 – 1936) era un appassionato fotografo
amatoriale, ma pare sia stata proprio la pesante e inflessibile macchina a
lastre 13x18 a spingerlo a cercare qualcosa di più maneggevole. Insomma Barnack
aveva già una certa esperienza quando nel 1914 adattò quella che chiamava “la
macchina lilipuziana” – poi “Leica” – alla pellicola cinematografica. Forse
all’inizio voleva solo capire come inserire e far scorrere la pellicola, ma
presto cedette al desiderio di esporre una striscia con l’aiuto di questo nuovo
apparecchio.
Barnack si
cimentò nella fotografia di ritratto, riprese individui ma anche gruppi;
realizzò foto di paesaggi e di animali – una produzione di cui ci restano
duecento fotografie in tutto – mostrando un’ampia gamma di possibilità
fotografiche, presentate in bianco e nero e in formato sia verticale che
orizzontale.
Ciò che
conta, tuttavia, non è solo questa capacità di spaziare tra generi diversi. Ben
più importante è lo sguardo fresco, innovativo con cui il taciturno ingegnere
tedesco riuscì ad anticipare quel movimento di avanguardia fotografica che più
di dieci anni dopo si diffuse con il nome di “Neues Sehen” (“Nuova Visione”).
L’invenzione
della Leica non ha solo rappresentato la “nascita” di un nuovo apparecchio
fotografico. Con il suo corpo macchina piccolo ma estremamente efficiente, la
Leica ha rivoluzionato la pratica fotografica e allo stesso tempo ha spianato
la strada a nuovi scenari visivi.
Chi aveva
una Leica sempre “al collo” non era più un osservatore distaccato del mondo ma
parte degli eventi intorno a lui e questo portò alla nascita di un universo
visivo che infrangeva ogni regola per spalancare lo sguardo su una nuova era.
Certamente,
anche prima della nascita della Leica sono state realizzate molte fotografie di
valore e impatto giornalistico. Eppure, questa macchina ha rivoluzionato
profondamente il fotogiornalismo. Piccola, del peso di appena 400 grammi ed
estremamente compatta grazie all’obiettivo retrattile Elmar: la Laica era
sempre a portata di mano. Non dava nell’occhio e permetteva anche di scattare
fotografie in rapida successione, aspetto che ben si adattava al nuovo genere
del reportage. Inoltre, gli obiettivi intercambiabili (dagli anni Trenta in
poi) consentivano di cogliere aspetti diversi della realtà senza cambiare punto
di osservazione.
Nel 1930
Erich Salomon fu il primo a portare la Leica negli Stati Uniti e, durante la
Guerra civile spagnola, divenne uno strumento indispensabile per autori come
Henri Cartier-Bresson, David Seymour e Robert Capa.
Mentre in
Germania il dibattito tra le due guerre era monopolizzato dalla “Neues Sehen” e
dalla “Nuova Oggettività”, in Francia la fotografia intraprese una strada che
entrò nella storia del mezzo come “fotografia umanista”.
Il riformismo sociale,
il trauma della Prima guerra mondiale e la letteratura sempre più coinvolta
nella descrizione della vita quotidiana delle persone comuni crearono le
premesse per la nascita di un’arte fotografica meno interessata agli
esperimenti formali che alla vita “vera”: il mondo cittadino come proscenio, la
vita di ogni giorno come teatro – riflesso diretto di stati di aggregazione
profondamente umani – furono ciò che spinsero i fotografi a lavorare
vagabondando per le strade, in un’affinità intellettuale con scrittori come Mac
Orlan e in seguito come Jacque Prévert.
Se da un
lato non esistono più riviste illustrate che possano o vogliono permettersi di
assumere in pianta stabile i fotografi, dall’altro le fotografie sono entrate
nella collezione dei musei, nelle gallerie d’arte, negli smisurati archivi
delle banche immagini, e gli autori con una maggiore sensibilità artistica sono
diventati, volenti o nolenti, un punto di riferimento della cultura visiva
postmoderna.
Nell’esaminare il settore con un occhio particolare alla fotografia Leica contemporanea, viene naturale distinguere sei diversi generi di fotografie d’autore – le cui linee di demarcazione sono, ovviamente, piuttosto sfumate.
I giovani
fotografi continuano a essere fedeli al reportage, ma non viaggiano più su
commissione, spesso si dedicano per lunghi periodi a progetti personali
cercando di elaborare uno stile riconoscibile che li distingua nella massa di
immagini usa e getta veicolato dai media elettronici.
Il reportage
fotografico – solitamente di viaggio – si è trasformato in un’analisi critica e
sofisticata di un mondo in subbuglio. Eppure resta attuale, così come lo studio
delle tematiche sociali, che tuttavia è ora contraddistinto da un personale
punto di vista narrativo.
I fotografi
utilizzano la loro macchina per superare traumi individuali o anche solo per
esplorare la realtà circostante, creando una sorta di diario visivo: alcuni di
loro usano intenzionalmente l’attrezzatura per violare le regole riportate
sulle istruzioni, spingendo sempre più in là i limiti del mezzo, alla ricerca
di un modernismo classico che potremmo forse chiamare “visualismo”. Altri,
fotocamera alla mano, si pongono domande fondamentali: in che modo ci serviamo
delle immagini? In che modo le immagini si servono di noi? Come influenzano i
nostri pensieri, la nostra conoscenza? Il materiale esistente viene recuperato,
classificato e riattivato in questo contesto. “Citazionismo” è lo slogan del
momento: le sue manifestazioni spaziano dalle istantanee alle foto iconiche,
arrivando fino al cinema.
Maria Paola
Forlani