Rivoluzione
Galileo
L’Arte incontra la
scienza
Sidereus Nuncius
Ho visto
Venere bicorne
Navigare
soave nel sereno.
Ho visto
valli e morti sulla Luna
E Saturno
trigesimo
Io Galileo,
primo fra gli uomini;
Quattro
stelle aggirarsi intorno a Giove,
E la Via Lattea
scindersi
In legioni
infinite di mondi nuovi.
Ho visto,
non creduto, macchie presaghe
Inquinare la
faccia del sole.
Quest’occhiale
l’ho costruito io,
Uomo dotto
ma di mani sagaci:
Io ne ho
polito i vetri, io l’ho puntato al Cielo
Come si
punterebbe una bombarda.
Io sono
stato che ho sfondato il Cielo
Prima che il
Sole mi bruciasse gli occhi.
Prima che il
Sole mi bruciasse gli occhi
Ho dovuto
piegarmi e dire
Che non
vedevo quello che vedevo.
Colui che
m’ha avvinto alla terra
Non
scatenava terremoti né folgori,
Era di voce
dimessa e piana,
Aveva la
faccia di ognuno,
L’avvoltoio
che mi rode ogni sera
Ha la faccia
di ognuno.
Primo Levi
11 aprile 1984
Tratto da
Ad Ora incerta Primo
Levi 1984.
Dopo Galileo
nulla fu come prima. E non solo nella ricerca astronomica e nelle scienze, ma
anche nell’arte. Con lui, il cielo passa dagli astrologi agli astronomi.
La mostra
(Padova, Palazzo del Monte di Pietà, aperta fino al 18 marzo 2018), concepita
da Giovanni C.F. Villa per la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
racconta, per la prima volta, la figura complessiva e il ruolo di uno dei
massimi protagonisti del mito italiano ed europeo. In un’esposizione dai
caratteri del tutto originali, dove capolavori assoluti dell’arte occidentale
in dialogo con testimonianze e reperti diversi, consentono di scoprire un
personaggio da tutti sentito nominare ma da pochi realmente conosciuto.
Dalla mostra
emerge l’uomo Galileo nelle molteplici sfaccettature: dallo scienziato padre
del metodo sperimentale al letterato esaltato da Foscolo e Leopardi, Pirandello
e Ungaretti, De Sanctis e Calvino. Dal Galileo virtuoso musicista ed esecutore
al Galileo artista, tratteggiato da Erwin Pamofsky quale uno dei maggiori critici
d’arte del Seicento; dal Galileo imprenditore – non solo il cannocchiale ma
anche il microscopio o il compasso – al Galileo della quotidianità.
Poiché
l’uomo, eccezionale per potenza d’intuizione e genio scientifico, lo era anche
nei piccoli vizi e debolezze, quali gli studi di viticultura e la passione per
il vino dei Colli Euganei – rifiutando la “vil moneta” baratta i suoi strumenti
di precisione con vino “del migliore” – o la produzione e vendita di pillole
medicinali.
Per
documentare “Rivoluzione Galileo” (catalogo
Silvana Editoriale), Giovanni C.F. Villa ha riunito in Palazzo del Monte di
Pietà a Padova un numero impressionante di opere d’arte, a partire dagli
splendidi acquarelli e schizzi dello stesso Galileo, che mostrano la sua
altissima qualità di disegnatore. Lo scienziato era del resto un attento
osservatore dell’arte, come confermano i commenti salaci su delle tarsie lignee
– “prive di morbidezza e fatto di
legnetti” – ma anche su Arcimboldo, autore di “capricci che hanno una confusa ed inordinata mescolanza di linee e
colori”.
L’influenza delle conquiste galileiane e della scienza moderna
sulla cultura artistica è evidente già nel primo Seicento: con la minuziosa
resa della natura, come testimoniano le straordinarie opere dei Brueghel e di
Govaerts, ma anche in una pittura che recepisce immediatamente la prorompente
portata delle “macchine” di Galileo.
Nel 1610
Galileo pubblica il Sidereus Nuncius, e
un effetto immediato si può scorgere nella celebre Fuga in Egitto di Adam Elsheimer, prima raffigurazione della Via
Lattea. E poi in una sequenza di artisti capaci di raffigurare la luna così
come vista con il cannocchiale, tanto che una notevole sezione della mostra
racconta proprio la scoperta della luna fino ai giorni nostri. Anche il genere
della natura morta sviluppa nuove formule compositive: i simboli della vanitas lasciano il posto ad una
raffigurazione documentaristica legata allo sviluppo delle scienze naturali.
E
poi un racconto iconografico per capolavori, tra le quali spicca il dipinto di
Guercino dedicato al mito di Endimione, con una delle prime raffigurazioni del
cannocchiale perfezionato dallo scienziato pisano. Tra gli anni Venti e Trenta
del secolo prende vita una vera e propria “bottega” galileiana, ovvero una
generazione di artisti (Artemisia Gentileschi, l’Empoli, Stefano Della Bella,
ecc,) in grado di condividere le suggestioni offerte dalla lezione dello
scienziato. Come le Osservazioni
astronomiche di Donato Creti ora in Pinacoteca Vaticana: straordinarie tele
raffiguranti stelle e pianeti ritratti in modo da mostrare l’aspetto che
presentano al telescopio, evocando le scoperte galileiane.
Il curatore
Giovanni C.F. Villa porta i visitatori anche dentro alla “costruzione” del mito
galileiano in epoca ottocentesca. Si era nel 1841 quando il Granduca Leopoldo
II di Lorena costruiva, in Palazzo Torrigiani, la Tribuna di Galileo,
straordinario ambiente immaginato quale sintesi iconografica della scienza
sperimentale, da Leonardo a Galileo. Dopo il centrale episodio fiorentino di
Santa Croce, eternato da Ugo Foscolo, l’Ottocento diviene il secolo dei
monumenti dedicati a Galileo. Ecco allora a Pisa, Roma, la Loggia degli Uffizi
a Firenze per giungere alla trentaseiesima statua dei grandi padovani in Prato
della Valle. A sancire il mito di Galileo accanto a quello di Dante, lo
scienziato-umanista capace di una rivoluzione epocale per l’umanità ampiamente
riverberata nell’arte.
La mostra
sviluppa un’ampia sezione d’arte contemporanea che da Previati, Pelizza da
Volpedo e Balla giunge fino ad Anish Kapoor, presente in mostra con l’opera di apertura.
Il poeta e
artista Wiliam Blake (1757 – 1827) presenta una visione romantica e
spiritualizzata delle immagini spaziali: Urizen è un personaggio divino da lui
ideato che nei suoi scritti assume ruoli e significati diversi. La figura
rappresenta lo spirito razionale che riconosce le leggi dell’Universo. Allo
stesso tempo è emblema dei limiti della nostra percezione. Urizen appare come
una specie di Sole che scaccia le nubi dell’ignoto favorendo la conoscenza resa
possibile dalla luce del giorno: al contempo Blake evoca la forma di un occhio
nella cui pupilla appare lo stesso Urizen, che quindi costruisce la natura
nell’atto di riconoscerla. Urizen si presenta come alter ego di Galileo.
Anche
Galileo aveva rivolto il proprio occhio all’universo, pur limitato dalla
posizione terrestre. Verso la fine dell’Ottocento gli artisti lanciarono la
strategia di accostare immagini fantasiose e riferimenti pseudoscientifici,
ricorrendo alla stessa costruzione della realtà che aveva permesso a Galileo di
affiancare alcune immagini alle sue osservazioni scientifiche.
La
possibilità offerte dalle immagini in movimento hanno infine dotato queste idee
di una sintesi figurativa efficace. Le
voyage dans la Lune (1902) di Georges Mélies (1861 – 1938) rielabora gli
spunti letterari di Jules Verne. Il cortometraggio è una delle produzioni più
importanti e famose del cinema delle origini.
Vi si
racconta il viaggio di alcuni scienziati francesi che vanno sulla luna con un
razzo. Il satellite ha un volto in cui si conficca il missile e dalla ferita
cola sangue, primo indizio di come l’avventurarsi dell’uomo nelle sfere oltre
la Terra abbia sempre un che di invasivo e violento.
Nei tre
secoli dopo Galileo l’idea dell’universo diventa un contraltare fantastico e
multiforme della Terra. Le stelle recano tratti antropomorfi e fungono da
teatro di romantiche avventure. Così facendo l’universo si conferma anche,
paradossalmente, uno spazio distante e inaccessibile.
Maria Paola
Forlani
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