Olimpia Biasi
Viriditas
Promossa
dall’Università di Padova, si è aperta nell’Orto Botanico la mostra dei più
recenti lavori di Olimpia Biasi, aperta fino al 1 maggio 2018, a cura di
Virginia Baradel.
Dal
visionario universo di Ildegarda di Bigen alla rappresentazione vitale del
sapere naturalistico; dell’espressività informale alle opere che, recuperando
il valore del fare femminile, esprimono il mistero della natura e
dell’infinito.
“Natura è ciò che conosciamo ma non
possiamo esprimere. La nostra saggezza è impotente di fronte alla sua
semplicità”.
(Emily
Dickinson)
Viridità,
ovvero la forza della natura; quel brivido vitale presente in tutte le
creature, che rende sottili le differenze tra animale e vegetale, perfino tra
animato e inanimato.
“Viriditas” è il titolo scelto da Olimpia Biasi
(Treviso 1947) per raccontare nella sua ultima fase creativa, quell’universo in
cui oggi confluiscono visioni cosmiche, linfa e umori di sapore medioevale e le
nuove frontiere del sapere naturalistico; una natura magmatica e pulsante, arti
femminili e poteri ancestrali e un mondo animale di antica potenza.
La mostra si
pone in dialogo con il luogo sia attraverso le opere collocate negli spazi
espositivi interni – le garze, gli erbari, i disegni, i teleri – sia con tre
mirabili installazioni inserite all’aperto, tra gli alberi, le piante e
l’acqua.
Concentrato
di varietà botaniche e conoscenze scientifiche e filosofiche, di sapienze
medicinali e influenze esoteriche, l’Hortus Patavinus (primo orto
botanico universitario al mondo, istituito nel 1545, e da vent’anni Patrimonio
Unesco) ben si presta infatti a far emergere le suggestioni che muovono la
creatività della Biasi in questa più recente stagione.
Suggestioni
che riverberano nei suoi lavori, ove il viscerale amore dell’artista per la
natura – lo stesso che la spinge a prendersi cura di un meraviglioso
giardino-ispiratore nella sua casa atelier di Lovadina – non si traduce in
mimesi, bensì nella ricerca profonda del “senso”, di quell’essenza che è
interiore e universale.
Questa sua
creatività in mostra prende due strade: quella dell’espressività informale, già
indagata da diversi anni, e la tessitura di forme leggere (le Garze),
composizione aeree, blande nel peso, fluide nelle tracce ma precise nel
dettaglio.
Garze
popolate di figure che appartengono alla natura ma sono sottratte ad ogni forma
di naturalismo come se la natura tornasse regno e visione e dimenticasse di
essere stata sfondo e veduta; vere quanto le “creature” di Ildegarda di Bingen,
la mistica tedesca da cui provengono i fili dell’immaginazione, che affiancati
dal fare manuale e sollecito del lavoro femminile e di cultura ispirano gli
ultimi lavori della Biasi.
Nel Liber divinorum operum, in particolare
nella visione II, che corrisponde ad una vera e propria sintesi cosmologica di
Ildegarda di Bingen, compaiono alcuni animali a simboleggiare i venti che,
soffiando nel creato, ne assicurano la circolazione ed il sostegno vitale,
influenzando anche gli umori corporei dell’uomo e delle creature viventi. I
quattro venti-animali principali sono il leopardo, il leone, il lupo, l’orso,
affiancati ciascuno da due venti collaterali, che si ripetono a coppie:
granchio e cervo, agnello e serpente.
Queste
immagini Olimpia Biasi li descrive con segno forte, nero dinamico di
visionarietà. Il disegno è, per sua natura di segno lineare, affine
all’incisione, prova di perizia e di riscontro concettuale per la Biasi che con
la linea e il tratteggio, solco o traccia di grafite, lavora in negativo
evocando figurazioni che la luce argina e confina. Più della forma colore,
questa dimensione di ricerca cela un indizio di profondità investigativa che va
oltre le apparenze, una visionarietà capovolta che spigola nel mondo delle
ombre. E che di fatto si pone come antecedente al processo che inoltrerà la
ricerca aldilà del visibile, approdando alle creature di Ildegarda.
Signore, dammi per tua forza il dono
del fuoco,
che in me estingua la passione della
perversità, per
bere con giusti sospiri all’acqua
della fonte viva,
che mi faccia godere della vita
eterna, io che sono
cenere e polvere, che guarda più alle
opere delle
tenebre che a quelle della luce.
Ildegarda Di
Bighen, Scivias, Visione X
La pittura
della Biasi porge schermo alla potenza della natura, al suo travolgente impatto
sensoriale. I colori si accendono e si dispiegano senza remore compositive,
tanto meno figurative. Il prodigio di sganciare la pittura dalla figura e
persino dalla forma definita, e di penetrare dentro alle “viscere della
pittura”, cioè della materia e, nello stesso tempo, della luce cromatica che
sintetizza il valore proprio di ogni colore. Tutto ciò diventa espressione,
stesura e andamento che, non è altro, che il percorso della pittura del ’900.
Paradossalmente,
bisogna dire che di natura si è occupato anche il surrealismo.
Inizialmente
i surrealisti tentano la via difficile e affascinante dell’espressione
impremeditata (non mediata, cioè, da consapevolezze razionali o culturali)
dell’inconscio; una sorta di <<presa diretta>> fra la fantasia e la
mano. Ciò avviene nelle prove di <<scrittura automatica>>, spesso
ricami inconsci di segni e di parole, proprio come i lunghi rotoli di nylon di Olimpia
Biasi composti di segni, macchie acquose, gorghi di luce, tra le trasparenze
avvolgenti della natura.
La scrittura
automatica surrealista trovò, poi, una splendida realizzazione pittorica con
l’Action Painting americana, così come Biasi nei suoi teleri fatti di frammenti
esplosivi e rilevanti di colore materico, con fondi ruvidi e sgranati,
ripercorre l’azione libera e svolge suggestivi interventi nell’atmosfera
impressionata, che sembra, quasi, evocare la terra in un cromatismo sempre
fluente, per coglierne il dinamismo della metamorfosi della natura e delle
stagioni.
Ѐ il big bang dell’immaginario sub-visibile o sovra-visibile ed è la
sperimentazione con le Garze di un medium
in grado di incontrare l’universo mistico di Ildegarda.
Maria Paola
Forlani
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