Realismo Magico. L'incanto nella Pittura italiana degli anni Venti e Trena
La
definizione di Realismo Magico identifica non tanto un sodalizio tra artisti
intorno a una rivista o ad una formulazione teorica (come è il caso di “Valori
Plastici” e di “Novecento”), ma un “modo” di concepire l’arte elaborato negli
anni ’20 dallo scrittore Massimo Bontempelli in Italia e dal critico Franz Roh
in Germania: è un filone fondamentale di Novecento che si ricollega
direttamente alla tradizione figurativa della classicità rinascimentale
italiana di cui recepisce la rappresentazione del mondo nei termini di un
realismo meticolosamente mimetico in un linguaggio raffinato ed accurato che
attinge ad un sospeso senso di incanto e di attonita immobilità.
Espressione
più eloquente di questa corrente sono le arcaizzanti composizioni di Giorgio De
Chirico, celebrativi riciclaggi degli stereotipi della pittura classica,
emblema di una classicità che ratifica il tramonto del dinamismo futurista per
una ricerca di assoluto di impronta metafisica che attribuisce all’immagine un
significato al di là di quanto è da essa rappresentato ed insegue la dimensione
mitica della realtà, il suo valore magico.
Fino al 2
aprile 2018 il Realismo Magico è
protagonista di una mostra, a cura di Gabriella Belli e Valerio Terraroli, al
Mart di Rovereto, per poi spostarsi a Helsinki e a Essen, in Germania. Ma i
protagonisti storici del gruppo – da Cagnaccio di San Pietro, rappresentato da
tredici dipinti, a Giorgio de Chirico, Gino Severini, Ubaldo Oppi, Marco Tozzi,
Edita Broglio e Antonio Donghi – si affiancano altri nomi che, come loro,
sublimarono la realtà: sono Felice Casorati, i metafisici e alcuni artisti del
Novecento italiano perché, come aveva scritto Alberto Savinio nel 1918,
<<nella pittura moderna la rappresentazione
della drammaticità è la suprema preoccupazione dei migliori fra i pittori
moderni. A seconda del grado del loro talento o della loro chiaroveggenza, essi
si sono tutti imposti la missione di incidere, nelle loro opere, per mezzo
della linea e del colore, gli innumerevoli drammi che la vita moderna matura e
fa esplodere>>.
Ѐ uno scrittore, Massimo Bontempelli, che nel 1938, quando il Realismo
magico è ormai un ricordo che si va sbiadendo, descrive con precisione clinica
quelle che ne erano state le caratteristiche principali:<< Precisione realistica di contorni, solidità
di materia ben poggiata sul suolo e, intorno, come un’atmosfera di magia che
faccia sentire, traverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in
cui la vita nostra si proietta. E più di fiaba, abbiamo sete di avventura. La
vita più quotidiana e normale vogliamo vederla come un avventuroso miracolo. In
questo senso l’arte deve dominare la natura, in questo senso abbiamo parlato di
“magia”, e abbiamo chiamato l’arte nostra realismo
magico>>.
Era la descrizione di un clima che lo stesso
Bontempelli aveva definito di <<finis avanguardiae>>, ma che di
volta in volta era stato chiamato Rappel
a l’ordre e, perfino Neoclassicismo. Ma
era qualcosa di più complesso. Guardano alla pittura antica, ma invece che
copiarla ci trovano la strada per mettere sulla tela inquietudini
contemporanee. Ѐ ancora Bontempelli a comprendere la novità della ricerca del
Realismo magico:<< Occorre
ritrovare una naturalezza: s’intende che la naturalezza non è la natura>>
perché il <<realismo
preciso>> dei grandi maestri del Quattrocento appare <<avvolto in un’atmosfera di stupore lucido,
che è espressione di magia e vero protagonista della natura del
Quattrocento>>.
Così Carlo Carrà nel 1919 dipinge capolavori
rarefatti come Le figlie di Loth, che
viene subito pubblicato dalla rivista Valori
plastici per illustrare il suo articolo sul <<rinnovamento della
pittura in Italia>>. Per lui Giotto è, senza dubbio, <<l’artista le cui forme sono più vicine al
modo di sentire la costruzione dei corpi nello spazio>>.
Gino
Severini, che era stato futurista e cubista, pubblica nel 1921 un testo teorico
che rivela le sue nuove convinzioni già nel titolo, Du cubisme au claicisme: esthéique du camas et du nombre, e per
<<umanizzare la geometria>>, che ora governa le sue opere, mette in
scena le maschere della Commedia dell’arte.
Cagnaccio di
San Pietro, il cui vero nome è Natale Scarpa, è il più vicino alla temperie
contemporanea della Nuova oggettività tedesca: dipinge le figure, illuminate da
una luce fredda e tagliante, con una stupefacente attenzione per ogni minimo
dettaglio, ottenendo esiti quasi iperrealistici. Anche Ubaldo Oppi dipinge quadri
dalla tavolozza quasi monocromatica, ma la messa a fuoco nitida e il disegno
stilizzato rivelano una lunga meditazione sulla pitture di Cosmè Tura e
Mantegna.
Ma le due
barche dalla vela greca, dietro al Ritratto
della moglie sullo sfondo di Venezia, dipinto intorno al 1921, un elemento
presente nel Saluto degli argonauti
partenti, capolavoro di Giorgio de Chirico del 1917 che era stato esposto a
Milano proprio nel 1921, mostrano l’interesse di Oppi per una rappresentazione
metafisica della realtà.
Edita Broglio il cui vero nome è Edita Walterowna zue
Mühlen (Smiltena 1886 – Roma 1977), è
tra le artiste più significative presenti nella mostra del Mart di Rovereto.
Nel 1917 incontra Mario Broglio, proprio nel momento di elaborazione della
rivista “Valori Plastici” (lo sposerà nel 1927). Edita avrà un ruolo molto
importante nella rivista e ancor più nell’attività editoriale.
Con il gruppo di
“Valori Plastici” espone alla Fiorentina Primaverile (1922), presentata da
Savinio. In questo periodo la sua pittura è ricca di suggestioni
internazionali. Più tardi compie una decisiva svolta aderendo alla corrente del
“Realismo Magico”. Nelle sue opere emerge soprattutto l’esempio di Morandi, in
una libera interpretazione. Un’ideale di purezza cristallina, d’immobile
trasparenza senza vicende domina questa pittura rigorosamente composta e
librata in toni raffinati e contenutissimi. L’adesione a un mondo ideale
proiettato nel passato è completa e sincera e perciò di un lirismo indubitabile
e sereno.
Maria Paola
Forlani
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