Party of Life
Keith Haring
I suoi omini
radioattivi e danzanti, i suoi angeli, i suoi cani, i suoi cuori sono diventati
delle icone senza tempo che hanno lasciato la strada per entrare prima nelle
gallerie d’arte e poi, come motivi decorativi, su oggetti di vita quotidiana.
Ma Keith Haring dietro a quel mondo colorato veicolava messaggi sociali e invitava a lotte contro il perbenismo. Lo si può ammirare nella mostra “Party of Life”, organizzata da Contemporary Concept, fino al 25 febbraio, mostra che fa vivere le opere dell’artista americano a Bologna in Pinacoteca, aperta in occasione di Arte Fiera fino al 25 febbraio, con una sessantina di opere provenienti da collezioni pubbliche e private, a cura di Diana Di Nuzzo.
Keith Haring
nacque il 4 maggio 1958 a Reading, in Pennsylvania, da Allen e Joan Haring,
primogenito di quattro figli. La sua famiglia si trasferì a Kutztown pochi anni
dopo la nascita, e fu qui che trascorse gran parte della sua infanzia; ancora
fanciullo rivelò una forte inclinazione per il disegno, apertamente incoraggiato
dal padre Allen, il quale aveva per tempo intuito le inclinazioni e il talento
artistico del figlio.
Ricorda
Haring: << Mio padre realizzava per
me personaggi dei cartoni animati, e questi erano simili a come disegnavo io –
con un’unica linea e un contorno fumettistico>>.
Furono
proprio i personaggi dei fumetti come di Walt Disney e di Dr. Seuss a
esercitare su lui un’influenza duratura. In ogni caso, divenuto adolescente,
Haring diede prova di temperamento ardente: era insofferente ai freni, e non di
rado consumava droghe e alcool con amici. Malgrado ciò, egli continuò a
coltivare la propria passione per il disegno; decisiva, in tal senso, fu la
visita al museo Hirshhon di Washington D.C., dove era esposta la produzione di
Andy Warhol.
Terminati
gli studi secondari nel 1976, Haring si iscrisse all’Ivy School of Professional
Art di Pittsburgh, dove, persuaso dai genitori, iniziò a frequentare le lezioni
di grafica pubblicitaria. Ben presto, però, il giovane Keith capì che non era
quella la sua strada, e abbandonò il corso dopo due semestri; con
l’allontanamento dagli studi accademici affrontò un periodo di nera miseria e di
attività spuria e si adattò a qualsiasi lavoro per sopravvivere. L’elasticità
d’orario di questi mestieri (importante quello del cuoco in caffetteria, dove
espose per la prima volta i suoi disegni) gli permise di fare copiose letture:
proprio in questi anni, infatti, Haring divorava le opere monografiche su Jean
Dubuffet, Suart Davis, Jackson Pollock, Paul Klee, Alfonso Ossorio e Mark Tobey.
Nel 1977, poi, entrò in contatto con un artista che gli suscitò una grande
emozione, e la <<nuova spinta e confidenza>> necessaria per
assecondare la propria vocazione: si tratta di Pierre Alechinsky, in quell’anno
protagonista di una mostra al museo d’arte di Pittsburgh. Giunto un anno dopo
Haring, forte della conoscenza estremamente variegata raggiunta nel campo
dell’arte, organizzò la sua prima mostra personale riscuotendo un enorme
successo. Nel 1979 stringe amicizia con un artista emergente di Brooklyn:
Jean-Michel Basquiat, col quale rimase amico fino alla morte di quest’ultimo
avvenuta due anni prima della sua.
Intanto da
Pittsburgh si trasferì a New York, alla ricerca di nuove sfide e di artisti con
idee e interessi affini; fu proprio in questo periodo, inoltre, che iniziò a
diventare consapevole del proprio orientamento omossessuale, che avrebbe poi
riconosciuto apertamente in seguito. Nella grande Mela Haring potè seguire i
corsi della School of Visual Art (SVA), dove apprese i rudimenti del disegno,
della pittura e della scultura; in questo periodo crebbe l’amicizia e
collaborazione con Kenny Scharf e Jean.Michel Basquiat e realizzò inoltre
diverse opere, fondendo le influenze esercitate dal poster Truisms di Jenny Holzer con la tecnica di Williiam S. Burroughs e
Brion Gysin.
A New York
il giovane pittore si divideva tra un’intensa attività di studio e gli svaghi
concessi da una grande città: Haring, in particolare, frequentò assiduamente il
Club 57, rendez-vous assai popolare
tra gli artisti, gli attori e i musicisti di Manhattan.
Ormai ben
inserito nella scena artistica newyorchese, Haring decise di non proseguire i
propri studi alla Scool of Visual Art, rinnegando definitivamente la
possibilità di conseguire una laurea (che gli sarà consegnata post mortem nel
2000) Intanto, essendo insofferente alle forme espressive e ai sistemi di
diffusione artistica tradizionali, per esprimere la propria vocazione Haring
scelse la scena urbana cittadina, riconoscendo nel tessuto metropolitano di New
York un luogo ricco di fermenti e di indirizzi. Fu proprio sotto l’egida del
graffitismo che Haring iniziò a definire la propria identità artistica,
divenendo gradualmente consapevole dell’originalità delle proprie creazioni
grafiche; celebre l’icona del cane angoloso che abbaia, immagine di vitalità
per eccellenza.
Nel
frattempo, nel giugno 1980 Haring venne invitato a partecipare al Times Square
Show, la prima mostra artistica dedicata allo spettro dell’arte underground
statunitense; qui ebbe l’opportunità di confrontarsi e stringere amicizia con i
più significativi esponenti della street
art, tra cui Lee Quinones, Fab Five Freddy e Futura 2000. Haring subì
indubbiamente il fascino e l’influsso di questi ultimi, e non nascose affatto
il proprio ardente entusiasmo per il graffitismo.
Successivamente,
forse per caso, forse per scelta, Haring decise di esprimere il proprio estro
artistico intervenendo sugli spazi pubblicitari vuoti della metropolitana di
New York, che divenne un <<laboratorio>> pubblico dove sperimentare
infinite soluzioni.
Intanto,
Haring iniziò ad acquistare una fama sempre più solida, confermata dal successo
riscosso dalla mostra personale che organizzò nell’ottobre 1982 con la
collaborazione del gallerista Tony Dhafrazi, al cui evento parteciparono tutti
gli artisti e galleristi più famosi della Grande
Mela. L’esibizione arricchì notevolmente la fama di Harring, ormai divenuto
noto anche in Europa: in questo periodo l’artista si recò in Italia, in
Germania, nei Paesi Bassi, in Belgio e in Gran Bretagna, lasciando segni di sé
e della propria arte nei paesaggi urbani visitati.
Haring
consacrò definitivamente il proprio talento nell’aprile del 1986 con
l’inaugurazione a SoHo del Pop Shop; si tratta di un punto di vendita di gaget
e magliette ritraenti le sue opere, così da mettere il proprio operato a
disposizione di tutti.
La salute di
Haring, a causa dell’AIDS, si fece via via sempre più malandata, fino a quando
gli fu persino impossibile dipingere. L’ultima opera pubblica che eseguì fu Tuttomondo, sulla parete esterna del
convento di Sant’Antonio a Pisa; si tratta dell’ultimo inno alla vita di Haring,
e di uno dei progetti più importanti che abbia mai fatto. Malgrado la salute
declinante, inoltre, Haring fondò la Keith Haring Fundation, che si propone di
continuare la sua opera di sostegno alle organizzazioni a favore dei bambini e
della lotta contro l’AIDS.
Keith Haring,
morì il 16 febbraio 1990 a New York a causa delle complicazioni legate
all’AIDS: aveva solo trentun anni.
La
versatilità delle opere di Haring trascende i mezzi espressivi tradizionali,
tanto che per dare sfogo al proprio inesauribile estro artistico egli non esitò
a sfruttare qualsiasi elemento avesse a portata di mano: le sue opere sono
tracciate sui muri, carrozzerie di automobili, teloni in vinile, capi di
abbigliamento, carta plastica recuperata dagli scarti, e tele.
<<Mi è sempre più chiaro che l’arte non è
un’attività elitaria riservata all’apprezzamento di pochi: l’arte è per tutti e
questo è il fine a cui voglio lavorare>>
Keith Haring
Maria Paola
Forlani
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