Tra
Michelangelo
E Caravaggio
Il
Cinquecento fu un secolo di reali o di apparenti certezze? Da questo spunto
prende le mosse il percorso espositivo ai Musei San Domenico di Forlì che, con
uno sguardo inedito, indaga la relazione tra Dio e l’uomo in un’epoca in cui la
Chiesa dava segni evidenti di cambiamento.
Eterna luna, allor che fra ‘l sol
vero
E gli occhi nostri il
tuo mortal ponesti,
Lui non macchiasti, e specchio a noi
porgesti
Da mirar fiso nel suo lume altero:
Non l’adombrasti, ma quel denso e
nero
Velo del primo error, coi santi
onesti
Tuoi prieghi e vivi sui raggi
rendesti,
D’ombroso e grave, candido e leggero.
Col chiaro, che da lui prendi,
l’oscuro
Delle notti ne togli: e la serena
Tua luce il calor sua tempra sovente.
Chè sopra il mondo errante il latte
puro
Che qui ‘l nude i, quasi rugiada,
affrena
Della Giusta ira sua l’effetto
ardente
Vittoria
Colonna (1540)
Gli ardenti
versi di Vittoria Colonna, grande amica di Michelangelo, rendono il coraggioso proposito
da cui è nata la mostra ai Musei San Domenico di Forlì
( L’Eterno e il Tempo. Tra Michelangelo e
Caravaggio, (catalogo Silvana) aperta fino al 17 giugno) in cui i curatori
in un indagine accurata, attraverso lo sterminato mondo delle immagini, tentano
di svelare il cielo e la terra, tra l’infinito e l’umano, e infine tra L’Eterno
e il Tempo in quel secolo di apparenti certezze che fu il Cinquecento.
Gli storici
hanno da tempo contestato, con motivazioni convincenti, il pregiudizio che la
Chiesa cattolica dell’epoca non fosse portatrice che di scelte e di iconografie
reazionarie, nate per contrastare una Riforma protestante, aliena minaccia ai
propri dogmi e simboli; e che le sublimi, complesse esperienze dei grandi
maestri manifestassero i sintomi di imbarazzanti contaminazioni con tendenze
eterodosse.
Ѐ nel secolo scorso dagli studi di Hubert Jedin e poi di Paolo Prodi e di
altri, che è emersa l’opportunità di riconoscere, all’interno della Chiesa,
intense volontà di riforma; già percepibili ben prima della mitica soglia
dell’età moderna.
Allo stesso
modo gli storici dell’arte, per primo Federico Zeri, hanno individuato, vari
decenni prima del Concilio di Trento, le radici del cambiamento. La produzione
dell’immagine, e i suoi effetti, si adeguano a una ricerca di significato che
precorre di almeno un secolo le problematiche “barocche”, e che si fatta a
trattenere negli spazi formali della Maniera.
Entrando nel
vivo del percorso espositivo, oltre a Michelangelo e Caravaggio sono presenti,
tra gli altri, Raffaello, Rosso Fiorentino, Lorenzo Lotto, Pontormo, Coreggio,
Bronzino, Vasari, Parmigianino, Daniele da Volterra, El Greco, Federico
Barocci, Paolo Veronese, Tiziano, Federico Zuccheri, Guido Reni, Rubens.
Per quanto
riguarda le opere in mostra vanno segnalate le sofferte prove del Buonarroti:
in particolare il Cristo risorto, “riscoperto”
non molti anni fa, che rappresenta la versione più antica del tema, affrontato
nel 1521 nella statua oggi a Roma, in Santa Maria sopra Minerva. E ancora i
lavori degli artisti prossimi al gruppo viterbese del cardinale Reginald Pole e
Vittoria Colonna, dove è possibile riconoscere i tratti “spirituali” di discettata
ascendenza valdese.
Proseguendo,
si arriva a Roma e oltre, per ammirare gli esiti formali e concettuali
dell’influsso di Michelangelo.
Nei domini
pontifici e a Firenze, si osserva poi la rivoluzione del modello classico, che
rivela l’esaltazione del corpo tra sacro e profano, con la complice
consapevolezza delle committenze papali. Rimanendo in Toscana non si può
dimenticare la Deposizione di Vasari
per la chiesa del monastero di Camaldoli (Arezzo), dove si realizza una felice
sintesi tra “disegno” e “colore”: la monumentale pala fu eseguita per i monaci
camaldolesi quando l’artista aveva ventotto anni, subito dopo l’esperienza
bolognese, influendo in modo determinante sulle sue fortune.
Dalla
cattedrale di Perugia proviene la Deposizione
di Barocci; il giovane maestro realizzò la grande tela di ritorno da Roma,
sintetizzando le esperienze di Michelangelo e dei suoi, ma anche di Raffaello e
della Maniera fiorentina, in una flagrante novità di contenuti.
Di Scipione
Pulzone – per Federico Zeri, il vero inventore di quell’<<arte senza
tempo>> della quale i trattati costituiscono l’espressione paradigmatica
– dalla Galleria Colonna, a Roma, il Ritratto
di Pio V. Papa dal 1566 al 1572, Antonio Ghislieri fu artefice di una
serrata revisione culturale.
Proseguendo
si riconosce a Bologna la capacità di accogliere ed elaborare, con i Carracci e
oltre, novità sino ad allora impensabili: i decenni successivi al Concilio di
Trento vedranno le città del Nord protagoniste di una cultura figurativa che i
dettami di Borromeo e del Paleotti riescono solo in parte a riassumere e
spiegare.
Dalla
Pinacoteca nazionale di Bologna, in particolare, possiamo ammirare in mostra la
Conversione di Saul di Ludovico
Carracci che esprime l’intervento del divino in tutta la sua potenza,
utilizzando la luce e organizzando lo spazio secondo uno schema che sarà
accolto appieno dalla pittura barocca.
Si
esplorano, infine, i caratteri dello studio della natura, ben più precoce delle
tassonomiche prove successive; in queste prove si riconoscono le emozioni fondanti
delle soluzioni di Caravaggio, rappresentato dalla sublime naturalezza delle
sue principali testimonianze di arte sacra. Esemplare la Madonna dei pellegrini della chiesa romana di Sant’Agostino in
Campo Marzio. Eseguita per Ermete Cavalletti, funzionario pontificio, questa
Madonna di Loreto ritratta “al naturale” sulla soglia della casa di Nazareth
fece irruzione nella storia dell’arte e nella storia sacra come evento epocale.
Tra le opere
letterarie più affine a queste pulsioni è la Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, capolavoro narrativo dentro
il quale trovano collocazione tutte le ambiguità e le contraddizioni del
secondo Cinquecento.
La Gerusalemme Liberata è una costruzione
che indaga il mondo vedendolo nel rapporto complesso tra ciò che appare e ciò
che resta nascosto, come se i vincoli della cultura controriformistica avessero
portato Tasso ad accentuare i contrasti e gli “impedimenti” impliciti nella sua
complessa figura di intellettuale, quello che noi chiameremmo un intellettuale
incapace di integrarsi realmente nel sistema di potere di cui fa parte pur
sentendo la necessità di esservi riconosciuto e apprezzato.
Quanto ci
attira in Tasso, come nelle tele di Annibale Carracci o di Caravaggio, è
proprio l’aprirsi di un mondo che costantemente sfuma tra luce e ombra, tra
visibile e apparenza. Un mondo che allude a una dimensione altra, e un oltre,
ma nello stesso tempo cerca il limite entro il quale tenere sotto controllo un
eccesso di oltranza.
Così la
mostra L’Eterno e il Tempo. Tra Michelangelo
e Caravaggio. Rappresenta un’intensa esperienza estetica e un omaggio
inedito a un secolo non poi così noto, in cui lo spazio tra Dio e l’uomo si
misura e si colma con i mezzi della fede, del pensiero e della tecnica. Un
secolo nei cui fasti e nelle cui incertezze è possibile scorgere “per figure”,
i bagliori di un mondo sensibilmente vicino a noi,
Maria Paola
Forlani
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