Il
Rinascimento di
Pordenone
Secondo
una voce che godette di un certo credito tra i contemporanei ”Porsenone” Giovanni Antonio de’Sacchi,
questo il suo vero nome – esuberante, sorprendente, eclettico protagonista
della stagione artistica della prima metà del Cinquecento, non solo in Friuli e
in Veneto ma in un più ampio contesto padano – sarebbe morto avvelenato dal suo
eterno rivale, Tiziano, mentre si trovava a Ferrara su richiesta del duca
Ercole II, che gli aveva commissionato una serie di cartoni per arazzi.
Di
leggenda in realtà si tratta, ma capace di farci percepire da un lato le
tensioni e lo spirito di “concorrenza” – per usare un’espressione cara a Vasari
– che dovettero caratterizzare il mondo artistico, dell’epoca, dall’altro la
fama e il valore già allora riconosciuti al Pordenone, in grado di far
ingelosire perfino il sommo Tiziano. Era dunque tempo che, a distanza di oltre
trent’anni dall’ultima mostra dedicatagli, si organizzasse una nuova rassegna
che permettesse non solo di fare il punto degli studi, ma anche presentare
l’artista da un diverso punto di vista: non più egemone in un ambito
provinciale, bensì grande tra i grandi del suo tempo.
Curata
da Caterina Furlan e Vittorio Sgarbi, con l’organizzazione di Villaggio Globale
International, la spettacolare mostra ospitata negli spazi della Galleria
d’Arte Moderna/Parco Galvani sarà aperta fino al 2 febbraio 2020, così, il
pubblico può ammirare, accanto a quaranta dipinti e disegni dell’artista, quasi
altrettante opere spettanti a esponenti di spicco della pittura veneta e padana
del XVI secolo: da Giorgione, Sebastiano del Piombo, Lotto, Romanino a
Correggio a Dosso Dossi, Savoldo, Moretto, Schiavone, Bassano, Tintoretto e altri
ancora.
Fanno
parte integrante del percorso espositivo un cospicuo numero di dipinti
conservati in Duomo e presso il Museo Civico di Pordenone, dove sono presentati
in un rinnovato allestimento, insieme con una selezione di stampe, libri e
documenti d’archivio.
È un “viaggio”
affascinante quello proposto al visitatore, non privo di sorprese ed emozioni,
perché Pordenone, senza rinnegare il suo background veneziano, ha
saputo assimilare e rielaborare con assoluta originalità gli stimoli
provenienti non solo dalla cultura figurativa centro-italiana e in particolare
da Michelangelo e Raffaello, ma anche dal mondo d’oltralpe e dall’ambito
padano.
Il
risultato è una pittura potente, caratterizzata da un vigoroso plasticismo e
ricca di effetti illusionistici, che susciteranno, già all’epoca, una vasta eco
non solo a Venezia, ma anche in aerea padana.
Le
numerose opere in mostra, comprese imponenti e delicate pale provenienti da
chiese e parrocchiali, oltre a scandire il percorso dell’artista (dalla
giovanile paletta della sacrestia di Santa Maria della Salute a Venezia,
proveniente dal castello di San Salvatore di Collalto, alle fondamentali opere
delle chiese di Susegana e Torre di Pordenone, fino alla Madonna e santi della
cattedrale di Cremona, su commissione dell’arciprete Giacomo Schizzi)
permettono di comprendere appieno il ruolo svolto dal Pordenone nella precoce
introduzione in ambito veneto di stilemi provenienti da culture figurative
diverse, seguendo lo sviluppo della sua arte. Ma non solo.
Com’è
risaputo, egli esercitò un notevole influsso oltre che in Friuli (dominato,
dopo la sua morte, dal genero e allievo Pomponio Amalteo), anche su diversi
artisti veneziani della generazione successiva, quali Giulio Licino,
Tintoretto, Jacopo Bassano e Giovanni Demio. Senza dimenticare che stando a
Vasari, egli avrebbe insegnato “il buon modo di dipingere ai Cremonesi”.
Con
importanti prestiti concessi dai vari musei italiani e stranieri, la mostra si
è dunque posta un obbiettivo che la differenzia dalle precedenti, del 1939 e
del 1984, incentrate sul Pordenone e sull’ambiente friulano mostrare,
attraverso le sue opere più significative, alcune delle quali mai esposte prima
in Friuli, un artista in dialogo con alcuni tra i più importanti esponenti
nella cultura figurativa del suo tempo.
Ecco
allora la possibilità di confrontare nientemeno che la Nuda di Giorgione –
prestito eccezionale delle Gallerie dell’Accademia di Venezia – con la Madonna della
Loggia dei
Civici Musei di Udine, frammentaria superba opera del Pordenone su cui
s’incentra il dibattito dei suoi contatti con Roma e sul rapporto con il
Maestro di Castelfranco, oltre che testimonianza dell’attività del Pordenone
frescante; ecco ancora l’ Eterno Padre del de’ Sacchis – lunetta superiore
di un’Annunciazione
già
nella chiesa udinese di San Pietro Martire
con il Padre
Eterno benedicente del Boccaccino (prestato dal Museo “Ala Ponzone di
Cremona) databile tra il 1525 e il 1530 e dunque spettante a un momento in cui
i punti di riferimento del cremonese sono Tiziano e per l’appunto il Pordenone.
Cuore
spettacolare della mostra sono le monumentali portelle della chiesa veneziana
di San Rocco (San Cristoforo e San Martino), esposte accanto alla grande pala
realizzata da Lorenzo Lotto per la basilica di Loreto, San Cristoforo
tra i santi Rocco e Sebastiano, dove evidenti appaiono i richiami al
gigantismo del Pordenone, che forse ebbe modo di incontrare a Venezia sullo
scorcio degli anni Venti
Tuttavia
“L’’apice del patetismo espressivi” lo si raggiunge con la grande Deposizione proveniente dalla
chiesa dei Francescani di Cortemaggiore, affiancata dal Compianto eseguito da
Correggio per la cappella del Bono, nella chiesa parmense di San Giovanni
Evangelista.
Nello
spazio esagonale ricavato a pianoterra della Galleria d’Arte Moderna, oltre a
tali dipinti, trovano posto altre opere provenienti da Cortemaggio e alcuni
frammenti di un Compianto di Guido Mazzoni conservati nei Musei
Civici di Padova, che dimostrano come Pordenone abbia saputo infondere nuova
linfa in una tradizione figurativa particolarmente radicata in area padana.
Non
poteva mancare naturalmente il riferimento alla “concorrenza” con Tiziano, con
l’esposizione della paletta con I santi Caterina, Rocco e
Sebastiano, dipinti
da Pordenone per l’altare dei Corrieri nella chiesa veneziana di San Giovanni
Elemosinario, posta dal Vasari in relazione al “San Giovanni elemosinario” del
Vecellio – opera satura di calore e atmosfera – collocata sull’altar maggiore
della stessa chiesa. Ulteriori confronti sono proposti con artisti dell’aerea
bresciana, come Romanino e Moretto, mentre la prova dell’importanza della
lezione raffaellesca è affidata a una copia ottocentesca della celebre Madonna di
Foligno,
spettante al pittore Enrico Bartolomei.
Il
percorso espositivo si sostanzia anche di una serie di opere volte a
evidenziare l’influsso esercitato dall’artista non solo in Lombardia e in
Emilia, ma anche sugli esponenti della più giovane generazione in Friuli e in
ambito veneto, accanto alle figure di Pomponio Amalteo, Giulio Licino e
Giovanni Demio, emergono quelle di Tintoretto e di Jacopo Bassano.
A
tale proposito, poiché nella Venezia del Cinquecento il Pordenone si era
distinto anche come decoratore di soffitti, (tra cui quello perduto della Sala
della Libreria in Palazzo Ducale), i curatori hanno ritenuto opportuno
presentare in mostra anche alcuni esempi delle soluzioni proposte in questo
ambito da Tintoretto – con uno degli scomparti del soffitto del palazzo di San
Paternian, su commissione di Vettor Pisani – e da Vasari che, circa nello
stesso periodo (1542), lavorò in palazzo Corner Spinelli.
Per
quanto riguarda Jacopo Bassano, l’interesse per Pordenone si manifesta molto
chiaramente nella pala asolana raffigurante Sant’Anna con la Vergine Maria
bambina in trono e santi (1541) dello stesso Museo Bassano, che,
insieme con il Martirio di santa Caterina (1544) dello
stesso Museo, segna l’avvio delle sperimentazioni manieriste degli anni
Quaranta.
Anticlassico,
manierista, proto barocco, precaravaggesco: tutte etichette della critica
stanno in realtà strette al Pordenone, artista dalla “ Lingua
tumultuosa e gigante” – come ebbe a dire Longhi – che, attraverso Tintoretto,
avrà comunque un ruolo importante nello sviluppo dell’arte barocca.
“Ecco
il Pordenone – scrive l’Aretino nell’edizione veneziana della
Cortigiana (1536) – le cui opere fan dubitare se la natura dà
rilievo all’arte o l’arte alla natura”
M.P.F
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