Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano
Ne catasto fiorentino del 1427, il primo della storia, Palla Strozzi risultava essere il cittadino più facoltoso della città. La pala d’altare di Gentile venne da lui commissionata non appena quest’ultimo giunse a Firenze (ospitato nelle stesse case degli Strozzi), nel 1420 ed era destinata alla nuova cappella nella basilica di Santa Trinita che Lorenzo Ghiberti stava terminando in quegli anni. Terminato tre anni più tardi, con l’aiuto dei pittori venuti al suo seguito quali Arcangelo di Cola da Camerino, Giovanni da Imola e Michele d’Ungheria, il dipinto era una felice espressione dello stile gotico internazionale allora dominante, pur essendo già noti gli esperimenti “rinascimentali” di Masaccio e Brunelleschi. Si conosce il documento del saldo del pagamento, che era per sé un notevole esborso, 150 fiorini d’’oro. Molto si è discusso sulla Pala Strozzi, uomo colto, raffinato umanista e amante della cultura greca, di un’opera in stile internazionale piuttosto che un lavoro più all’avanguardia, nello stile rinascimentale. In realtà si deve tener conto della coesistenza di più di un tipo di gusto nella Firenze dell’epoca, dove il passaggio da uno stile all’altro non fu immediato.
Nel
1806 durante le soppressioni napoleoniche, la tavola venne spostata in un deposito,
per venire poi trasferita nel 1810 alla Galleria dell’Accademia, per
l’istruzione dei giovani allievi. Nel 1812, durante le spoliazioni napoleoniche
del Granducato di Toscana, venne privato dello scomparto della predella con la Presentazione
al tempio, che
da allora si trova al Museo del Louvre. Nel 1919 la pala approdò alla galleria
fiorentina con una copia della predella al posto dell’originale.
Il tema dell’adorazione dei Magi ben si prestava per una messa in scena sfarzosa e opulenta, che celebrasse la ricchezza del committente e la bravura dell’artista. Gentile si trovò a perfetto agio con la commissione, potendosi dedicare ad accostare più singolarmente, secondo il modello letterario offerto dalle ekphrasis bizantine, le descrizioni e interpretazioni di opere d’arte circolanti a Firenze almeno dal 1415. Il committente aveva infatti una vera e propria “passione bizantina”, che manifestava acquistando codici antichi e studiando greco con Emanuele Crisolora da Costantinopoli.
Il
corteo dei Magi si dispiega su tutta la parte centrale del dipinto, sfruttando
la forma tripartita nella parte alta per dare origine a più focolai d’azione,
arricchiti da una di dettagli naturalistici e di costume, che creano un effetto
vibrante dove l’occhio dello spettatore si sposta da un particolare all’altro.
Vi
è una grande profusione di applicazioni in oro e argento, nelle vesti, nei
finimenti dei cavalli, dei cani da caccia, nelle corone, nelle spade e nei
doni. I metalli, applicati in foglie sottilissime, venivano poi incisi a mano
libera, punzonati o coperti da leggere velature, che creano un effetto di luce
diffusa. Altre volte sono ottenuti effetti a rilievo tramite l’applicazione di
“pastiglia” (gesso e colla) rivestita d’oro e di pigmenti.
Lo
spazio prescinde da qualsiasi regola prospettica, nonostante la profondità
della scena, con i personaggi che si sovrappongono in maniera caotica e
festosa, creano un insieme irreale e fiabesco.
Grandissima
abilità di Gentile è inoltre quella di riuscire a rendere l’idea della componente
materica delle stoffe, la morbidezza degli incarnati, la freschezza della
vegetazione.
La pala non rappresenta un’unica scena ma racconta il cammino dei tre saggi orientali che seguirono la stella cometa per giungere al cospetto di Gesù bambino. La narrazione ha inizio nelle tre lunette da sinistra , dove si vedono i tre Magi, vestiti doro, che vedono la stella cometa dall’alto del monte Vettore, raffigurato come una rupe a picco sul mare; subito il corteo si mette in moto ed arriva, nella lunetta centrale, nei pressi della città di Gerusalemme, dipinta in un paesaggio incantato di campi coltivati e boschetti fioriti; infine si vede l’entrata nella città.
Completamente
inedito per Firenze doveva risultare il tono del corteo, che assomiglia più a
gruppi di eleganti aristocratici a una battuta di caccia che a una scena
religiosa.
Il
corteo riappare quindi da destra ed occupa tutta la metà inferiore del dipinto.
A sinistra si trova il punto d’arrivo della grotta della Natività dove si
posano la cometa luminosa e dove si trovano il bue e l’asinello davanti alla
mangiatoia. Davanti al riparo di una capanna diroccata si trovano san Giuseppe,
la Madonna assisa col Bambino e due servitrici. Davanti al Bambino si stanno
inginocchiando i tre Magi: il primo quello anziano, ha già deposto la corona ai
piedi della Sacra Famiglia ed è prostrato a ricevere la benedizione del
Bambino; il suo è già tra le mani delle servitrici; il secondo, di età matura,
si sta per accovacciare e con la mano destra sta sfilandosi la corona, mentre
con la sinistra tiene il calice dorato del suo dono; il terzo è appena sceso da
cavallo, un servitore gli sta infatti ancora smontando gli speroni, ma con lo
sguardo guarda già il bambino e tiene in mano un’ampolla doro da donare. I tre
Magi, sono rappresentati nelle tre età dell’uomo: giovinezza, maturità e
vecchiaia. I loro vestiti sono di incredibile sfarzo, con broccati d’oro
finemente arabescati, copricapi sfavillanti e cinture con borchie preziose,
ottenute a rilievo tramite punzonature e applicazioni.
Dietro
di loro, in posizione centrale, si trovano due personaggi due ritratti ben
riconoscibili: l’uomo col falcone in mano, dal vestito più ricco dopo quello
dei Magi ( un damasco con disegni vegetali, ma privo di dorature), è probabilmente
il suo figlio primogenito Lorenzo, anche se Giorgio Vasari indicava al suo
posto un autoritratto di Gentile, improbabile in una posizione così preminente,
inoltre l’indicazione degli artisti di evidenziare i propri ritratti
dipingendosi con lo sguardo rivolto allo spettatore è leggermente più tarda,
contenuta nelle opere di Leon Battista Alberti.
Numerosi
sono gli animali che animano la scena, a partire dal gruppo di cavalli che,
spaventati da un leopardo, creano un movimento di linee centrifughe. In basso
si trova un levriero, ritratto con precisione naturalistica, che si stira tra
le zampe di un cavallo, con un magnifico collare dorato ottenuto a rilievo. Più
indietro si trovano un altro leopardo, un dromedario, due scimmiette, un
falcone in volo e altri uccelli, che creano un vivace campionario esotico.
Tra i personaggi del corteo spiccano numerosi servitori, tra i quali uno in primo piano che regge la spada di uno dei re ed ha una banda tracolla che ricorda, in lettere dorate a rilievo, i caratteri cufici.
M.P.F.
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