Dalla mostra internazionale del Bianco e Nero
Acquisti per le gallerie
Firenze 1914
La mostra “Il colore
dell’ombra”, aperta alla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti, nell’Andito
degli Angiolini fino all’8 marzo (
catalogo Sillabe), a cura di Rossella Campana, si inserisce nell’ambito delle
manifestazioni volte a celebrare il centenario dell’inaugurazione della
Galleria d’arte moderna di Firenze e si collega quindi strettamente a “Luci sul
‘900”, la grande rassegna di pittura e scultura inaugurata lo scorso 28
ottobre.
È la primavera del 1914, quando non lontano dalle sale
presso la Galleria
dell’Accademia dove è allestito il primo nucleo della Galleria d’arte Moderna,
apre i battenti a Firenze, nei locali espositivi della Società di Belle Arti in
via Colonna, un’importante esposizione internazionale dedicata esclusivamente
alla grafica, che comprende disegni, ma anche acqueforti, xilografie e
litografie.
Il titolo, voluto dagli
organizzatori di questa esposizione, vuole essere un’allusione alla favola
antica sull’invenzione del disegno narrata da Plinio il Vecchio, nella quale
una fanciulla traccia sul muro il profilo dell’ombra dell’amato per serbarne il
ricordo, ma anche un omaggio a quell’evento di cento anni fa che offrì l’opportunità
di conoscere quasi duemila opere di grafica.
Fra coloro che furono
selezionati allora dalla Galleria d’arte moderna, per la quale fu deciso di
circoscrivere la scelta degli artisti italiani, oltre ad alcuni nomi illustri
del recente passato, come Antonio Fontanesi e Gaetano Previati, entrambi con
disegni di grande qualità, venne dato spazio a personalità di spicco della
ricerca contemporanea quali; Adolfo De Carolis, Celestino Celestini, Piero
Bernardini o Francesco Chiappelli.
La storica raccolta degli
Uffizi si arricchì invece, prevalentemente, di opere di artisti
stranieri. Tra questi, nomi illustri della grafica di fine ottocento, quali Alphonse Legros e Robert Goff, ma anche di contemporanei che si facevano notare alle Biennali veneziane (pittori come Charles Cottet o Eugène Carrière), o ancora personalità già affermate il cui ruolo d’illustratori della realtà sociale contemporanea già indicava la direzione non più elitaria verso cui il genere si stava ampiamente orientando (il belga Costantin Meunier o lo svizzero Théophile Steinlen, la tedesca Käthe Kollwitz, coi loro minatori e operai in rivolta), o, infine, giovani sconosciuti come Ernest Collebout, le cui due opere acquisite, poetici paesaggi delle Fiandre, sono esemplari invece di come la stampa d’arte potesse mantenere anche, e anzi esaltare, un ruolo di opera d’arte autonoma.
stranieri. Tra questi, nomi illustri della grafica di fine ottocento, quali Alphonse Legros e Robert Goff, ma anche di contemporanei che si facevano notare alle Biennali veneziane (pittori come Charles Cottet o Eugène Carrière), o ancora personalità già affermate il cui ruolo d’illustratori della realtà sociale contemporanea già indicava la direzione non più elitaria verso cui il genere si stava ampiamente orientando (il belga Costantin Meunier o lo svizzero Théophile Steinlen, la tedesca Käthe Kollwitz, coi loro minatori e operai in rivolta), o, infine, giovani sconosciuti come Ernest Collebout, le cui due opere acquisite, poetici paesaggi delle Fiandre, sono esemplari invece di come la stampa d’arte potesse mantenere anche, e anzi esaltare, un ruolo di opera d’arte autonoma.
Per la grande varietà di
opere, di soggetti e di tecniche che caratterizzò l’esposizione del 1914 e
conseguentemente le acquisizioni delle Gallerie, la mostra è stata divisa in
nove sezioni che intendono individuare alcuni temi portanti.
Il percorso parte proprio
dall’afflato ideale del grande
Gli
ostaggi di Cremona (1900) (il tema è tratto da un episodio delle guerre
comunali contro l’Impero e ha una forte valenza di contemporaneità,
nell’imminenza del conflitto mondiale), cui si contrappone l’elegante
‘manifesto’ dell’inglese Spencer-Pryse, prodromo del ruolo di comunicazione
sociale che la grafica assumerà nel nuovo secolo, la sezione “Artisti e
ritratti” presenta volti e opere di protagonisti della grafica di primo
novecento (come Adolfo De Carolis e Steinlen), ma non solo: se infatti il bel
ritratto a sanguigna della pittrice Evangelina Alciati parla ancora il
linguaggio di una nobile tradizione figurativa, Gli occhi chiusi, di Eugène Carrière, ci introduce alla sezione
successiva, intitolata “Incubi e sogni”, nella quale soggetti disparati sono
tuttavia accomunati dalla capacità propria del mezzo grafico nelle sue diverse
accezioni anche tecniche di evocare l’ignoto o meglio quello che, visti i
tempi, con Jung potremmo definire l’inconscio.
Per contro, se l’inquietante La morte e la donna della Kollwitz o lo
scheletro arlecchino che sega il portone su cui danzano incoscienti mascherine
dell’austriaco Von Divecky ben interpretano un mondo alle soglie della
catastrofe bellica, il clima della sezione “Presenze” rispecchia un universo
vario e prevalentemente femminile, nel quale sono già in nuce spunti e tematiche di stile e sociali che saranno
ampiamente sviluppati nel dopoguerra.
Analogamente nelle “Vedute”,
nei “Paesaggi d’acqua” e nei “Paesaggi urbani”, è possibile apprezzare il
trascorrere del paesaggio ‘romantico’ delle finezze grafiche di Fontanesi e
della scuola inglese sulla scia do Whistler, , o belga, fino alle sintesi
squisite influenzate dal giapponismo e dal linguaggio elegante della Secessione
viennese, ma anche fino alla semplificazione astrattiva derivata da Cézanne nel
sorprendente
carboncino del giovane toscano Guido Ferrosi che già parla il linguaggio del decennio a venire. Di tale linguaggio, che aveva il suo punto di riferimento ideale nel magistero di Giovanni Fattori, e quindi interprete Celestino Celestini, la cui Cupola bella c’introduce a una sezione interamente dedicata al tema delle grandi “Cattedrali” urbane, immagini di grande suggestione visiva per gli artisti oltre che emblematiche, in quel momento storico, dell’acceso dibattito intellettuale al ruolo della Chiesa nella società civile e sulla laicità dello stato.
carboncino del giovane toscano Guido Ferrosi che già parla il linguaggio del decennio a venire. Di tale linguaggio, che aveva il suo punto di riferimento ideale nel magistero di Giovanni Fattori, e quindi interprete Celestino Celestini, la cui Cupola bella c’introduce a una sezione interamente dedicata al tema delle grandi “Cattedrali” urbane, immagini di grande suggestione visiva per gli artisti oltre che emblematiche, in quel momento storico, dell’acceso dibattito intellettuale al ruolo della Chiesa nella società civile e sulla laicità dello stato.
Il passo successivo è
dedicato infine al “Lavoro”, con una rassegna che dai campi alle officine ci
presenta una varietà di volti e di situazioni di grande pregnanza espressiva,
rassegna che ci segnala una sensibilità non effimera per un tema sempre
attuale, ma cui proprio allora la grafica cominciò a dare ampio spazio
adottando dimensioni che se oggi ci sono familiari, all’epoca costituivano
ancora una novità, collocandosi autorevolmente in un ruolo di comunicazione
attiva intermedio fra stampa d’arte e manifesto che fa ormai parte della storia
visiva del novecento.
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