martedì 23 dicembre 2014

L'altra metà del cielo

L’altra metà del cielo
Sante e devozione privata

Nelle grandi famiglie fiorentine
Nei secoli XVII – XIX

Si è aperta a Firenze, fino all’8 marzo, la mostra “L’altra metà del cielo. Sante e devozione privata nelle grandi famiglie fiorentine nei secoli XVII – XIX” (catalogo Sillabe). In tutto si possono ammirare 165 opere – tra cui vari inediti – tra dipinti, sculture, reliquiari, oggetti sacri, elementi curiosi di una sacralità ormai lontana.
L’esposizione è composta da due sezioni che hanno luogo rispettivamente al Museo di Casa Martelli (via Zannetti 8) ed a Villa La Quiete (via di Boldrone 2).
Diretta da Monica Bietti e curata da Francesca Fiorelli Malesi, l’esposizione nasce dalla collaborazione tra la soprintendenza per il Polo Museale Fiorentino e l’Università degli Studi di Firenze. La mostra propone al pubblico il tema della devozione privata delle grandi famiglie fiorentine fra Seicento e Ottocento, declinata soprattutto al femminile, con approfondimento in particolare sulla famiglia Martelli.

Il felice convergere di molti studi sui rapporti tra fede, arte e storia ha visto fiorire in questi ultimi tempi vari e qualificati eventi ospitati nei musei fiorentini, come la mostra Sacri Splendori allestita nel Museo degli Argenti di Palazzo Pitti, (da poco conclusa) accanto si è aperta presso il Museo Martelli e il Conservatorio di Villa
La Quiete, questa nuova esposizione poeticamente intitolata L’altra metà del cielo.
Se nel primo caso il tema affrontato è stato quello della devozione della famiglia Medici e del ‘tesoro’ di reliquie un tempo raccolto nella Cappella del palazzo (che certo per ricchezza delle teche e dei vasi destinati a contenere i sacri resti di santi e beati assolveva anche al compito di esibire il potere e il fasto del granducato.

 In questo ultimo evento dedicato alla devozione delle grandi casate fiorentine, (con ovvia e necessaria attenzione alla famiglia Martelli), la storia si tinge ora di toni più intimi e familiari e, se vogliamo, di una fede meno conclamata e forse più profonda. La mostra si concentra specialmente sui culti dedicati alle sante e alle beate fiorentine e pone lo spettatore di fronte ad agiografie poco note e a culti desueti, attorno ai quali fiorì un attività artistica a scopi devozionali tracciabile anche attraverso cappelle, altari,
suppellettili e memorie nelle chiese di Firenze; fin alla corte, dove le reggenti vedove del primo Seicento, poi Vittoria della Rovere, infine l’Ellettrice, esercitarono complesse pratiche religiose supportate da una quantità strabiliante di oggetti per il culto pubblico e privato, personale e collettivo. Una storia di sante e di principesse che, valorizzando il passato della famiglia Martelli strettamente legato alla Chiesa fiorentina schiude una finestra sul vivido scenario delle arti applicate nell’età barocca, dalle lavorazioni preziose di metallo o d’avorio ai modesti manufatti in legno o perline, inducendo una volta di più all’ammirazione per la sapienza progettuale e manuale che ne guidò la creazione.

La prima sezione della mostra che ha sede a Casa Martelli inizia con un’introduzione storica sulla devozione a Firenze e sul culto che la famiglia Medici e il patriziato fiorentino riservarono, tra XVII e il XIX secolo, ai santi loro concittadini e alla Santissima Annunziata di cui si espongono testimonianze della devozione all’immagine attraverso i riti, le cerimonie e i doni di cui il santuario è stato testimone.
Il percorso prosegue con l’illustrazione, nei suoi aspetti più privati, del culto come la spiritualità vissuta nell’intimità dei palazzi – espressa attraverso il possesso di reliquie, libri, piccoli altari portatili e immagini devozionali – per i grandi santi fiorentini, ma soprattutto per la santità femminile di cui le maggiori testimoni sono
Maria Maddalena de’Pazzi (Firenze, 1566 – 1607), Caterina de’ Ricci (Firenze, 1522 – Prato, 1590), illustre ava della Caterina che sposò nel 1802 Niccolò Martelli, e
Giuliana Falconieri ( Firenze, 1271 – 1341).

Allestita presso alcuni ambienti di Villa La Quiete, si apre una sezione che approfondisce le origini e i caratteri di un importante aspetto della devozione femminile fiorentina tra Sei e Settecento. La Quiete, istituzione secolare d’ispirazione religiosa fondata da Eleonora Raminez de Montalvo alla metà del XVII secolo, accoglieva donne per lo più provenienti dalla nobiltà, desiderose di vivere liberamente, senza voti, nella separatezza e nella preghiera; a questo si aggiungeva la missione educativa delle bambine, che venivano loro affidate dalle famiglie affinché

si formassero secondo la morale cristiana e, giunte alla maggiore età, decidessero se sposarsi oppure prendere i voti. Fondatrici e, pertanto figure – chiave di questa istituzione furono Eleonora Raminez de Montalvo (Genova, 1602 – Firenze, 1659) e la Granduchessa Vittoria della Rovere (Pesaro, 1622 – Pisa, 1694): l’una ispiratrice della congregazione e autrice delle sue costituzioni; l’altra superiora e “madre” della stessa. La spiritualità che emerge dalle Costituzioni è piuttosto austera – si sarebbe tentati di scrivere che appare molto gesuitica – perché privilegia la meditazione e la devozione trinitaria e dell’incarnazione e, pur riservando una forte attenzione alla Madonna, non sembra scivolare in nessun devozionismo.
La fede e la scienza convivono organicamente nel medesimo habitat concettuale e fattuale. Parimenti la fondatrice raccomandava alle “Ancille” di tenere comportamenti benevoli e pazienti, in modo da testimoniare l’amore di Dio con il loro esempio, e di favorire l’espressione delle migliori virtù di ciascuna. Nel testo normativo trova spazio anche il teatro: Eleonora considera la rappresentazione teatrale un mezzo educativo estremamente efficace. Se è vero che coltiva la passione per la scrittura – come
dimostrano la composizione della propria autobiografia in versi e la scrittura di numerose operette letterarie – e se ciò avrà sicuramente pesato nell’assunzione della drammaturgia quale sistema formativo, nondimeno è assai probabile che la frequentazione dei Gesuiti di San Giovannino l’abbia ulteriormente persuasa della potenza educatrice della recitazione. Il teatro gesuitico costituisce, infatti, uno dei capitoli più interessanti per la storia della cultura e della formazione delle coscienze nell’Europa Moderna. Il fine dell’azione teatrale, per Eleonora così come per i gesuiti, è la predisposizione dell’anima all’azione della grazia.

La sezione si sviluppa in alcuni ambienti, fra cui la chiesa e il coro basso. Nella chiesa sono esposte – in aggiunta alle opere d’arte già presenti – alcune testimonianze sulle due fondatrici appena ricordate, contestualmente ai monumenti loro dedicati che qui hanno luogo, nonché sulla vita del conservatorio nel XVII secolo.

Nel coro basso, si possono ammirare le commissioni di Anna Maria Luisa de’Medici, nipote di Vittoria, ultima dei Medici, legatissima alla Quiete, e alcuni manufatti di eccezionale valore artistico e documentario per la spiritualità delle Montalve.


Maria Paola Forlani

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