Omaggio al Maestro Piero Tosi
L’arte dei costumi di scena dalla
donazione Tirelli
Fino all’11 gennaio 2015 la Galleria del Costume di Palazzo Pitti ospita la
mostra dedicata a Pietro Tosi nell’anno
del conseguimento del premio Oscar onorario alla carriera con la seguente
motivazione “Pietro Tosi, un visionario i
cui incomparabili costumi superano il tempo facendo vivere l’arte nel film”.
Il Maestro ha lavorato per
anni come costumista teatrale, poi affermandosi soprattutto nel cinema a fianco
di grandi registi fra i quali vanno ricordati Luchino Visconti ed altri che
hanno contribuito a fare la storia del cinema italiano come Vittorio De Sica,
Federico Fellini, Mauro Bolognini, Liliana Cavani, Franco Zeffirelli e Pier
Paolo Pasolini. Tosi si è avvalso di sartorie teatrali di prestigio, come
quella di Umberto Tirelli, con la quale collabora ancor oggi a distanza di anni
dalla scomparsa di quest’ultimo.
La mostra dal titolo “Omaggio
al Maestro Piero Tosi. L’arte dei costumi di scena dalla Donazione Tirelli” a
cura di Cristina Chiarelli (catalogo Sillabe), propone una quindicina
di abiti di scena di Piero Tosi; questi
sono esposti nella sala da ballo del museo, nell’allestimento coordinato
dall’architetto Mauro Linari, e costituiscono un nucleo di grande importanza
storica e di innegabile fascino della ricca donazione fatta da Umberto Tirelli
alla Galleria del Costume nel 1986, comprendente abiti storici, costumi
teatrali e cinematografici.
Tra i costumi di scena
disegnati da Tosi che è possibile ammirare in mostra ricordiamo Medea (film;
Medea, regia di Pier Paolo Pasolini, interprete: Maria Callas), Elisabetta
(Sissi) (film: Ludwig, regia di Luchino Visconti, interprete Romy Schnaider),
Giuliana Hermil (film: L’innocente, interprete: Laura Antonelli); questi due
ultimi sono frutto di un sodalizio con Luchino Visconti che diede vita a vari
capolavori fondati su un rigore filologico perfetto.
La mostra si presenta come un
palcoscenico animato da figure di epoche diverse; ricche di colori, queste si
riflettono negli specchi della sala e sembrano raccontare ciascuna la sua
storia, sebbene in stretta relazione fra loro, unite dal fatto di essere tutte
costumi di scena realizzati dallo stesso artista. È
interessante scoprire singolarmente l’aderenza al vero, raggiunta dal Maestro
attraverso un’attenta osservazione dalla realtà e una profonda conoscenza
supportata da una ricca documentazione storica e iconografica. Ancor più
interessante è osservare come Piero Tosi, sempre partendo dall’osservazione
della realtà, raggiunga livelli altissimi nella sintesi geometrica del costume
di Mirandolina o nell’evocazione della cultura ancestrale in cui si svolge il
dramma di Medea nel film di Pasolini, espressa dalla materia dei tessuti e dei
decori.
Mentre l’abito storico è
legato alla persona per cui è stato confezionato, della quale illustra una
parte di vita e la sua posizione nella società, nel costume di scena alla
valenza storica del personaggio che si intende rappresentare, sia esso oggetto
di un riferimento storico, sia esso frutto della fantasia dell’autore del
testo, si aggiunge quella dell’attore che lo interpreta.
Il costume di scena diviene
così testimone del legame che si stabilisce fra il protagonista letterario e
l’attore e acquisisce quindi una duplice valenza: quella storica legata al
personaggio rappresentato e quella personale dell’attore, sia che egli indossi
un abito appositamente costruito per lui, sia che si metta addosso un costume
originale. Così nei costumi del Ludwig, dove
moderno e antico si fondano per completare l’illusione del vero, l’immagine
della principessa Elisabetta, Sissi, rimarrà sempre legata all’interpretazione
di Romy Schneider, mentre la figura iconica di un’arcaica Medea nel film di Pasolini,
non verrà mai scissa dal personaggio di Maria Callas. Per Medea
Pasolini aveva chiesto a Tosi “un assemblaggio delle cose più antiche, delle civiltà più lontane nel tempo e di tutte le tradizioni popolari”. Ma il lavoro divenne subito faticoso – ricorda Tosi – per i mutismi totali di Pasolini” sulle scelte del costumista. Solo dinanzi ai prototipi veri e propri, il regista aveva dato piena libertà al lavoro di Tosi. E rischiare sui materiali, reinventare il corpo del costume, sperimentare materiali inusuali completò la ricerca di Tosi verso quell’arcaicità della materia che più aveva convinto Pier Paolo Pasolini. Per i costumi della Colchide, delle sequenze che furono girate in Capadocia, vennero usate “terre naturali, ocre, marroni. Per quelli di Corinto mi ispirai al Pontormo, a Rosso Fiorentino: rosa, rossi, verdi pistacchio”.
Pasolini aveva chiesto a Tosi “un assemblaggio delle cose più antiche, delle civiltà più lontane nel tempo e di tutte le tradizioni popolari”. Ma il lavoro divenne subito faticoso – ricorda Tosi – per i mutismi totali di Pasolini” sulle scelte del costumista. Solo dinanzi ai prototipi veri e propri, il regista aveva dato piena libertà al lavoro di Tosi. E rischiare sui materiali, reinventare il corpo del costume, sperimentare materiali inusuali completò la ricerca di Tosi verso quell’arcaicità della materia che più aveva convinto Pier Paolo Pasolini. Per i costumi della Colchide, delle sequenze che furono girate in Capadocia, vennero usate “terre naturali, ocre, marroni. Per quelli di Corinto mi ispirai al Pontormo, a Rosso Fiorentino: rosa, rossi, verdi pistacchio”.
Il risultato, visibile ancora
oggi, è impressionante e unico: questi costumi, nella fattura, nei mantelli,
nei copricapo, nei gioielli, restituiscono una visione lontana dagli stereotipi
della Grecia antica. Il lavoro di Tosi ha come filo conduttore le civiltà
arcaiche del Mediterraneo (Ittiti, Fenici, Greci), ma il risultato è
un’interpretazione libera di queste forme, unite a suggestioni dal folklore e
dai retabli spagnoli del Cinquecento.
Al colore delle vesti di Medea (Maria Callas), quasi una Madonna, si
contrappone la pazienza dai ricami
blu e oro come paramenti sacri, con sopra gioielli in filigrana, quasi un
tutt’uno con la corona e il velo che chiudono l’abito in una drammatica icona
senza tempo.
Tosi ricorda come alcuni
registi, per primo Visconti, erano soliti assistere alle prove del costume. Con
Visconti decidevamo addirittura insieme “la ampiezze, i volumi, i tagli”. Come per rivivere un’epoca di
dettaglio in dettaglio; almeno nella resa visiva, almeno nella reale consistenza
formale delle stoffe e dei materiali.
Tosi non ha mai creduto ad un
figurino perché il figurino è sottoposto a una infinità di ripensamenti
affinché aderisca al personaggio. “La scelta definitiva di un costume dipende
dall’ambientazione, dallo stato sociale del personaggio, dalla sua azione”.
Solo costruendo l’interno dell’abito si può arrivare a una architettura non
visibile e raggiungere la forma precisa che restituisce la fedeltà dell’epoca.
“È
la forma a darti la verità – sostiene Tosi – se uno deve raggiungere quella
forma precisa, quella forma che inquieta perché lontana dai nostri occhi, pochi
centimetri sono tutto. La forma determina questo impatto, una cosa estranea che
ti dà l’inquietudine e t’inquieta perché ci credi”.
Maria Paola Forlani
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