mercoledì 24 dicembre 2014

Omaggio a Piero Tosi

Omaggio al Maestro Piero Tosi
L’arte dei costumi di scena dalla donazione Tirelli


Fino all’11 gennaio 2015 la Galleria del Costume di Palazzo Pitti ospita la mostra dedicata a Pietro Tosi nell’anno del conseguimento del premio Oscar onorario alla carriera con la seguente motivazione “Pietro Tosi, un visionario i cui incomparabili costumi superano il tempo facendo vivere l’arte nel film”.
Il Maestro ha lavorato per anni come costumista teatrale, poi affermandosi soprattutto nel cinema a fianco di grandi registi fra i quali vanno ricordati Luchino Visconti ed altri che hanno contribuito a fare la storia del cinema italiano come Vittorio De Sica, Federico Fellini, Mauro Bolognini, Liliana Cavani, Franco Zeffirelli e Pier Paolo Pasolini. Tosi si è avvalso di sartorie teatrali di prestigio, come quella di Umberto Tirelli, con la quale collabora ancor oggi a distanza di anni dalla scomparsa di quest’ultimo.

La mostra dal titolo “Omaggio al Maestro Piero Tosi. L’arte dei costumi di scena dalla Donazione Tirelli” a cura di Cristina Chiarelli (catalogo Sillabe), propone una quindicina di abiti di scena di Piero Tosi; questi sono esposti nella sala da ballo del museo, nell’allestimento coordinato dall’architetto Mauro Linari, e costituiscono un nucleo di grande importanza storica e di innegabile fascino della ricca donazione fatta da Umberto Tirelli alla Galleria del Costume nel 1986, comprendente abiti storici, costumi teatrali e cinematografici.

Tra i costumi di scena disegnati da Tosi che è possibile ammirare in mostra ricordiamo Medea (film; Medea, regia di Pier Paolo Pasolini, interprete: Maria Callas), Elisabetta (Sissi) (film: Ludwig, regia di Luchino Visconti, interprete Romy Schnaider), Giuliana Hermil (film: L’innocente, interprete: Laura Antonelli); questi due ultimi sono frutto di un sodalizio con Luchino Visconti che diede vita a vari capolavori fondati su un rigore filologico perfetto.

La mostra si presenta come un palcoscenico animato da figure di epoche diverse; ricche di colori, queste si riflettono negli specchi della sala e sembrano raccontare ciascuna la sua storia, sebbene in stretta relazione fra loro, unite dal fatto di essere tutte costumi di scena realizzati dallo stesso artista. È interessante scoprire singolarmente l’aderenza al vero, raggiunta dal Maestro attraverso un’attenta osservazione dalla realtà e una profonda conoscenza supportata da una ricca documentazione storica e iconografica. Ancor più interessante è osservare come Piero Tosi, sempre partendo dall’osservazione della realtà, raggiunga livelli altissimi nella sintesi geometrica del costume di Mirandolina o nell’evocazione della cultura ancestrale in cui si svolge il dramma di Medea nel film di Pasolini, espressa dalla materia dei tessuti e dei decori.
Mentre l’abito storico è legato alla persona per cui è stato confezionato, della quale illustra una parte di vita e la sua posizione nella società, nel costume di scena alla valenza storica del personaggio che si intende rappresentare, sia esso oggetto di un riferimento storico, sia esso frutto della fantasia dell’autore del testo, si aggiunge quella dell’attore che lo interpreta.

Il costume di scena diviene così testimone del legame che si stabilisce fra il protagonista letterario e l’attore e acquisisce quindi una duplice valenza: quella storica legata al personaggio rappresentato e quella personale dell’attore, sia che egli indossi un abito appositamente costruito per lui, sia che si metta addosso un costume originale. Così nei costumi del Ludwig, dove moderno e antico si fondano per completare l’illusione del vero, l’immagine della principessa Elisabetta, Sissi, rimarrà sempre legata all’interpretazione di Romy Schneider, mentre la figura iconica di un’arcaica Medea nel film di Pasolini, non verrà mai scissa dal personaggio di Maria Callas. Per Medea
Pasolini aveva chiesto a Tosi “un assemblaggio delle cose più antiche, delle civiltà più lontane nel tempo e di tutte le tradizioni popolari”. Ma il lavoro divenne subito faticoso – ricorda Tosi – per i mutismi totali di Pasolini” sulle scelte del costumista. Solo dinanzi ai prototipi veri e propri, il regista aveva dato piena libertà al lavoro di Tosi. E rischiare sui materiali, reinventare il corpo del costume, sperimentare materiali inusuali completò la ricerca di Tosi verso quell’arcaicità della materia che più aveva convinto Pier Paolo Pasolini. Per i costumi della Colchide, delle sequenze che furono girate in Capadocia, vennero usate “terre naturali, ocre, marroni. Per quelli di Corinto mi ispirai al Pontormo, a Rosso Fiorentino: rosa, rossi, verdi pistacchio”.

Il risultato, visibile ancora oggi, è impressionante e unico: questi costumi, nella fattura, nei mantelli, nei copricapo, nei gioielli, restituiscono una visione lontana dagli stereotipi della Grecia antica. Il lavoro di Tosi ha come filo conduttore le civiltà arcaiche del Mediterraneo (Ittiti, Fenici, Greci), ma il risultato è un’interpretazione libera di queste forme, unite a suggestioni dal folklore e dai retabli spagnoli del Cinquecento. Al colore delle vesti di Medea (Maria Callas), quasi una Madonna, si contrappone la pazienza dai ricami blu e oro come paramenti sacri, con sopra gioielli in filigrana, quasi un tutt’uno con la corona e il velo che chiudono l’abito in una drammatica icona senza tempo.
Tosi ricorda come alcuni registi, per primo Visconti, erano soliti assistere alle prove del costume. Con Visconti decidevamo addirittura insieme “la ampiezze, i volumi, i  tagli”. Come per rivivere un’epoca di dettaglio in dettaglio; almeno nella resa visiva, almeno nella reale consistenza formale delle stoffe e dei materiali.

Tosi non ha mai creduto ad un figurino perché il figurino è sottoposto a una infinità di ripensamenti affinché aderisca al personaggio. “La scelta definitiva di un costume dipende dall’ambientazione, dallo stato sociale del personaggio, dalla sua azione”. Solo costruendo l’interno dell’abito si può arrivare a una architettura non visibile e raggiungere la forma precisa che restituisce la fedeltà dell’epoca.
È la forma a darti la verità – sostiene Tosi – se uno deve raggiungere quella forma precisa, quella forma che inquieta perché lontana dai nostri occhi, pochi centimetri sono tutto. La forma determina questo impatto, una cosa estranea che ti dà l’inquietudine e t’inquieta perché ci credi”.


Maria Paola Forlani

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