MIRÓ
L’impulso creativo
“Ciò che conta non è un’opera, ma la
traiettoria dello spirito nell’arco di un’intera vita, ma quello che si è fatto
nel corso di essa, bensì ciò che essa lascia intravedere e permetterà che altri
facciano in una data più o meno lontana”.
Joan Mirò
Si è aperta alle Fruttiere di
Palazzo Te di Mantova la mostra “Mirò. L’impulso creativo”, aperta fino al 6
aprile 2015, realizzata in collaborazione con la Fundaciò Pilar i Joan Mirò a
Mallorca e curata da Elvira Cámara Lòpez, direttore della
Fondazione.
Joan Mirò (Barcellona, 1893 –
Palma di Maiorca, 1983) opera con una pittura che nasce spontaneamente, in uno
stato di grazia che gli permette di immaginare forme, di accostarle, di
colorarle vivacemente, con una fantasia simile a quella del fanciullo, in una
sorta di perenne <<primitivismo>> ingenuo che ha fatto dire di lui
a Breton: la sua <<personalità è rimasta allo stadio infantile>>.
Accettando la poetica del
<<fanciullino>> pascoliano che è istintiva,
si può concludere che Mirò è pittore puro.
Ciò non significa che sia un naïf , anche se, qua e là, affiorano spesso nelle sue opere
elementi che sembrano collegarlo alla pittura ingenua del dilettante.
Per esempio ne La fattoria, l’ultimo quadro di Mirò in
cui è chiaramente riconoscibile il tema paesistico, la cura meticolosa con cui
ogni elemento è realizzato sembra caratteristica del pittore naïf che tende all’analisi piuttosto che alla sintesi.
Ma se si osserva la sapienza
compositiva e cromatica ci si rende conto che, sotto l’ingenuità, c’è al
contrario un’alta professionalità e una profonda maturazione intellettuale.
Questa felicità espressiva,
questa serenità resterà fondamentale per tutta l’attività di Mirò, anche quando
giunto definitivamente a Parigi, dopo avere alternato ai soggiorni nella nativa
Barcellona e nella campagna spagnola quelli nella capitale francese, compie il
salto verso una pittura apparentemente diversa.
Parigi è la meta agoniata da
Mirò per liberarsi dagli impacci provinciali:<< Bisogna andare a Parigi
come un lottatore>>, dice; <<PARIGI, PARIGI, PARIGI>>, scrive
ad un amico in lettere maiuscole; oppure: <<preferisco essere
assolutamente un fallito, mortalmente fallito a Parigi, piuttosto che
galleggiare sulle acque putride di Barcellona>>. Parigi è veramente il centro
culturale più importante d’Europa; a Parigi vivono, o vi hanno soggiornato, gli
ingegni più vivi del mondo, europei e americani, pittori, scultori, poeti,
letterati, filosofi.
A Parigi entra in contatto
con l’avanguardia, a Parigi espone, a Parigi aderisce al surrealismo. Anzi,
prima ancora che Breton pubblichi il manifesto surrealista compone quel Carnevale d’Arlecchino che è opera
altamente rappresentativa del particolare surrealismo di Mirò.
Mirò è pittore fecondissimo;
la sua fantasia non conosce pause, pur restando sempre fedele alla propria
concezione serena, che si incrina soltanto nelle ore drammatiche che vive tutta
l’Europa negli anni successivi al ’30. In modo particolare Mirò, spagnolo,
soffre il terribile momento della guerra civile in Spagna.
In questi anni crea le
cosiddette <<pitture selvagge>> e la serie dei mostri, quasi ricordando Goya, opere in cui non tanto il tema
drammatico, quanto lo stile si ammanta di dolore con i colori che incupiscono e
le forme degli oggetti che si contraggono drammaticamente.
Più tardi, mutata la
situazione, la pittura di Mirò si rasserena nuovamente, per esempio nella serie
delle Costellazioni, nei pannelli per
il Palazzo Unesco a Parigi, nelle ceramiche, sempre con uguale ricchezza nella
<<germinazione spontanea di immagini nuove>> perché, come ha detto
lui stesso, <<la pittura deve essere feconda; dovrebbe far nascere un
mondo>>.
Nella mostra di Palazzo Te,
il visitatore, attraverso 5 sezioni – Il
gesto, la forza del nero, il trattamento dei fondi, L’eloquenza della
semplicità e la sperimentazione con i materiali – può percepire la forza,
il bisogno di ricerca e rinnovamento, nonché l’assenza di vincoli che
rappresentano il fil rouge del processo creativo e realizzativo di Mirò.
Lungo il percorso di visita
sono stati, inoltre, ricostruiti i due atelier in cui, a Maiorca, Mirò realizzò
le sue creazioni: il primo, lo studio Sert, l’ampio salone illuminato di luce
naturale in cui, il maestro catalano, circondato da cavalletti, tele di tutte
le dimensioni e stadi di avanzamento di lavoro, oggetti di uso quotidiano,
terrecotte, piccoli ninnoli, ritagli di giornale appesi alla parete e dalla
natura, creava le sue tele senza eguali; il
secondo, è lo studio Son Boter, uno spazio più spartano e raccolto, voluto fortemente da Mirò per continuare la propria ricerca creativa e la sperimentazione di materiali. È questo un atelier dedicato soprattutto alla scultura e alla realizzazione delle tele di grande formato. La sua particolarità sono i numerosi graffiti lasciati dall’artista sulle pareti degli ambienti: una testimonianza diretta del modo di assembleare elementi diversi e di farli divenire il proprio “punto di partenza”.
secondo, è lo studio Son Boter, uno spazio più spartano e raccolto, voluto fortemente da Mirò per continuare la propria ricerca creativa e la sperimentazione di materiali. È questo un atelier dedicato soprattutto alla scultura e alla realizzazione delle tele di grande formato. La sua particolarità sono i numerosi graffiti lasciati dall’artista sulle pareti degli ambienti: una testimonianza diretta del modo di assembleare elementi diversi e di farli divenire il proprio “punto di partenza”.
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