L'arte del Concilio
Dialogo tra arte e fede nella Chiesa del
Vaticano II
La mostra L'arte del
Concilio. Bodini / Borgonzoni / Vignoli / Manfrini / Manzù / Messina / Nanni /
Poggeschi / Scorzelli / Tavernari – proposta dalla Raccolta Lercaro
nell'ambito del progetto “Musei in rete 2015”, voluto e promosso dall'AMEI
(Associazione Musei Ecclesiastici Italiani) – è una riflessione rivolta alla
Chiesa di oggi sul dialogo arte-fede a partire dal Concilio Vaticano II. La Raccolta Lercaro è particolarmente lieta di presentare
questa mostra che, senza avere la pretesa di essere esaustiva, vuole tuttavia
riflettere su alcuni artisti italiani del Novecento che hanno accettato la
sfida di ripercorrere i temi della narrazione cristiana secondo lo spirito di
novità auspicato dal Concilio Vaticano II. Non si tratta di un fatto scontato.
Se oggi l’arte sacra conosce un momento di grande difficoltà, significa che
molti problemi non sono mai stati sufficientemente affrontati. Come affermò
Paolo VI, occorre che la Chiesa rinnovi il proprio appello agli artisti e, al
di là dei proclami, li coinvolga realmente e concretamente nella realizzazione
di opere che possano manifestare la gloria di Dio.
Il
Concilio si apre l'11 ottobre 1962 per volere di papa Giovanni XXIII.
Nell'ambito
della discussione riguardante l'arte sacra, la Chiesa conciliare è chiamata a
ripensare il rapporto arte/fede. Infatti se, per secoli, la relazione tra
cristianesimo e arti visive si è configurata, pur tra alterne vicende, come la
storia di una stretta e feconda alleanza, a cominciare dal XVIII secolo questa
relazione appare allentarsi sempre più.
Il Novecento si apre con il tragico annuncio della morte di Dio. Gli
artisti attingono sempre meno all’ispirazione cristiana e molti di loro, non a
caso, propongono come modello interpretativo del fenomeno estetico lavori sul
carattere autonomo dell’arte, concentrandosi sul proprio gesto creativo.
In
questo nuovo contesto storico-culturale, l’atteggiamento della Chiesa sembra
segnato da un senso di confusione e di smarrimento. L’arte sembra ora
percorrere sentieri inesplorati e fin dall'inizio del Novecento, con
l'affermarsi delle Avanguardie, il mondo cattolico si sente sempre più escluso.
Nel
1919, all'interno del dibattito che ne deriva, si inserisce il contributo del
filosofo francese Jacques Maritain che, a partire dalla consapevolezza di una
drammatica separazione tra arte e Chiesa e muovendo dalle riflessioni di san
Tommaso sulla stretta relazione tra Bello e Bene, teorizza l'inscindibile
connessione tra arte e trascendenza: i processi dell’intuizione creativa,
grazie ai sensi e attraverso la materia, portano in sé un “germe” divino.
Più tardi, nel 1931, sul
primo numero della rivista «Arte Sacra» Giovanni Battista Montini, futuro Paolo
VI, invita a un rinnovamento dell'arte sacra: non ci può essere una semplice
imitazione di modelli del passato, ma ogni epoca deve creare le proprie forme
espressive poiché, riprendendo le parole di Stanislas Fumet, «il bello è il
bene che si dona come spettacolo per far amare l’essere».
Qualche anno dopo, nel 1936,
padre Marie Alain Couturier, domenicano formatosi negli ateliers di Denis e di
Desvallières, pone un problema che
attraverserà tutto il XX secolo e che continua ancora oggi: l’arte cristiana è
figurativa o non-figurativa? E apre agli artisti non credenti, ma il cui cuore
è attraversato, come quello di ogni uomo, dalla percezione dell’esistenza di un
altro. Ogni artista ha la sua
modalità d’espressione, il suo modo di interpretare la propria esperienza in
relazione all’assoluto. Qualunque sia il linguaggio, nell'atto creativo c’è
l’affermazione di una presenza.
Il Concilio Vaticano II
manifesta quindi una particolare attenzione alla frattura esistente tra il
mondo dell’arte e quello della Chiesa, cercando di dare risposte in direzione
di una ricomposizione.
Al n. 62, la Gaudium et Spes sottolinea, con un
atteggiamento prudente ma al tempo stesso desideroso di aprirsi alla
contemporaneità, l’impegno da parte della Chiesa nel sostenere gli artisti: «Bisogna
perciò impegnarsi perché gli artisti si sentano compresi dalla Chiesa nella
loro attività e, godendo di un’ordinata libertà, stabiliscano più facili
rapporti con la Comunità cristiana. Siano riconosciute dalla Chiesa le nuove
tendenze artistiche adatte ai nostri tempi secondo l’indole delle diverse
nazioni e regioni. Siano ammesse negli edifici di culto, quando, con un
linguaggio adeguato e conforme alle esigenze liturgiche innalzano lo spirito a
Dio».
Il 7 maggio 1964, nel famoso
discorso della Sistina papa Montini invita gli artisti a essere protagonisti
della vita della Chiesa. Esiste una stretta relazione tra evento della salvezza
e creazione artistica: «Noi abbiamo bisogno di voi. Il nostro ministero ha
bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il nostro ministero è
quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente,
il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa
operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili,
voi siete maestri. È il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è
proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di
parola, di colori, di forme, di accessibilità».
Tuttavia
occorre un rapporto di responsabilità reciproca: «Dobbiamo lasciare alle
vostre voci il canto libero e potente di cui siete capaci. E voi dovete essere
così bravi da esprimere, da venire ad attingere da noi il motivo, il tema, e
qualche volte più del tema, quel fluido segreto che si chiama ispirazione, che
si chiama grazia, che si chiama carisma dell’arte. E, a Dio piacendo, ve lo
daremo».
È in questo contesto che
artisti provenienti da esperienze culturali e da ambiti sociali diversi, si
avviano su sentieri di creazione e ispirazione artistica che, negli anni,
condurranno a esiti anche molto differenti tra loro, ma orientati tutti alla
ridefinizione di un volto nuovo della fede.
Le opere esposte sono una
piccola testimonianza del clima di quegli anni, attraversato da una promessa di
cambiamento che, per molti artisti, si è tradotta in un fermento creativo senza
pari.
Si tratta in prevalenza di
opere a carattere sacro, rese attraverso iconografie che non sempre si pongono
in continuità con la tradizione, come nel caso delle “crocifissioni laiche” di
Giacomo Manzù o delle sculture di Floriano Bodini. O che, pur facendo
riferimento a modelli tradizionali, sono però tradotte con una freschezza che
testimonia il desiderio di ricerca di nuove forme espressive della fede, come
nel caso dei “chierichetti” di Francesco Messina, degli Evangelisti di Enrico
Manfrini o degli intensi ritratti di Giovanni XXIII e del cardinale Giacomo
Lercaro realizzati in bronzo da Lello Scorzelli.
Non solo sculture – tecnica
per eccellenza in cui l'artista può letteralmente “plasmare” la materia e dare
forma al soggetto – ma anche pitture caratterizzate da colori accesi, quasi
violenti, e segni incisivi, come appare dalle opere di Aldo Borgonzoni o nella
drammatica Crocifissione di Mario Nanni.
Accanto a questi lavori se ne
pongono altri a tema profano, mettendo così in luce la trasversalità del
rinnovamento auspicato dal Concilio: è la spiritualità dell'uomo, in tutte le
sfumature della sua realtà, a chiedere un cambiamento, non solo le forme di
espressione della fede. È così che nascono gli studi sul volto condotti da
Scorzelli o il percorso che conduce Manzù alla rappresentazione delle
danzatrici o dell'artista mentre attinge a un luogo “altro” per ritrarre la sua
modella. È la ricerca di un volto nuovo dell'umanità.
La
mostra è realizzata nell'ambito di:
PROGETTO MUSEINRETE
ARTE E FEDE: DAL CONCILIO DI TRENTO AL
VATICANO II E OLTRE
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