Lampi sublimi a Ferrara
Tra Michelangelo e Tiziano
Bastianino e il cantiere di San Paolo
Il 20 e il 29 maggio del 2012
il terremoto non ha risparmiato Ferrara. Nella chiesa carmelitana della
Conversione di San Paolo, chiusa da tempo, gli effetti del sisma si sono
aggiunti ai dissesti precedenti. Nel 2014 un finanziamento del Ministero dei
Beni e delle Attività Culturali e del Turismo ha permesso l’avvio delle
operazioni che porteranno al restauro dell’edificio di culto e intanto ha
consentito disinfestazione, primo consolidamento delle parti pericolanti,
protezione delle opere inamovibili, rimozione della maggior parte dei dipinti,
depositati al Centro di raccolta e cantiere di primo intervento delle opere
danneggiate dal terremoto in Palazzo Ducale a Sassuolo e alla Pinacoteca
Nazionale di Ferrara.
Da questo lavoro nasce la
mostra dal titolo Lampi sublimi a
Ferrara tra Michelangelo e Tiziano: Bastianino e il cantiere di San Paolo, con
l’intento di comunicare il patrimonio ferrarese, e di sensibilizzare sulle sue
difficoltà conservative..
Ma portare i dipinti di
Bastianino alla Pinacoteca Nazionale di Ferrara non è stato un semplice atto
pratico, ma ha dato la possibilità di avviare uno straordinario racconto
dell’adesione del pittore al linguaggio di Michelangelo e alla sua
monumentalità egemonica. Emerge allora l’evidenza di un peculiare
michelangiolismo proprio della Ferrara di Alfonso II d’Este, emozionato di
sensibilità veneta e tizianesca; così contrastante con la tradizione di Taddeo
Zuccari o con la tradizione in voga a Bologna, per mano di Pellegrino Tibaldi o
Bartolomeo Passerotti. Nitido e scultoreo, quello dei bolognesi, che impone
immobilità e eternità alle forme, come immobile e eterna, chiara e verisimile,
risulta loro la verità rivelata.
Per Bastianino invece la
verità si rivela dal sentimento più vaporoso e magmatico della coscienza. Due
maniere così vicine geograficamente e così lontane nello spirito.
Lampi sublimi è la concisa
descrizione con cui Roberto Longhi (Officina ferrarese, 1934) tradusse sia
l’essenza visiva delle opere che questo pittore eseguì in san Paolo, sia il
loro processo creativo ed esecutivo: i lampi sono quelli che agitano una scena
figurativa post rinascimentale e controriformata che si è infoscata, non ha
limpidezza e chiarore e s’immerge in drammatici effetti luministici. Il
sostantivo evoca anche rapidi movimenti di un pennello veloce, libero dalla
forma chiusa, una emancipazione ispirata dai veneti, da Tiziano in particolare
e applicata a Bastianino con effetti dirompenti, alla umanità eroica e irriducibile
di Michelangelo. L’attributo sublime coglie, infine, l’altezza e l’emozionante
effetto che ci procura la visione di questa esperienza artistica così personale
e originale sullo sfondo del secondo Cinquecento.
“Sebastiano Filippi è, per allora, un personaggio unico, non dico per
Ferrara, ma nella pittura italiana del tempo” Francesco Arcangeli
Si sa poco di Sebastiano
Filippi detto il Bastianino: sconosciuto l’anno di nascita, che dovrebbe cadere
tra il 1528 e il 1532. Il padre Camillo (1523 – 1574) guidava una azienda
familiare attiva negli anni del ducato di Ercole II d’Este (1534 – 1559) a
decorare le residenze estensi, assieme alle botteghe ferraresi di Dosso e
Battista Dossi, Garofalo, Gerolamo da Carpi.
Con il fratello Cesare,
Bastianino fu provvisto di buone basi per l’esercizio del mestiere. Tuttavia
dovette trovare antiquato il moderato raffaelismo paterno che tentò di
rinnovare con un morbido irrobustimento delle figure e con un colore sfumato
dall’ombra. Lui guardava il geniale ed eccentrico idioma di Dosso Dossi,
fondato su Giorgione e Michelangelo. Per approfondire la sua scelta, lontano
dalla leadership paterna, se ne andò a Roma. Non si ha alcun documento sui
viaggi di studio, ma più di una volta Sebastiano partì.
A Roma la cappella Sistina e
la cappella Paolina di Michelangelo erano una grandiosa fonte di nudi, di
scorci, di gesti, di modi di comporre e furono una esperienza vitale. A Venezia
Sebastiano poteva studiare il superamento del disegno netto delle forme grazie
a un annebbiamento dei contorni. Più avanti, negli anni settanta, si interessò
all’ultima, bruciante pittura di Tiziano, a quei drammatici effetti luministici
e di dissoluzione della forma.
Il passaggio generazionale fu
lento. Nel 1565 Camillo, Sebastiano e Cesare furono incaricati di due pale per
San Cristoforo alla Certosa in cui l’impronta del pensiero del Bastianino è
evidente. L’Ascensione di Cristo è
del padre (pur influenzato dal figlio). Nel Giudizio
universale Sebastiano esplicita, nel lento
ribollire di corpi, la dimensione spaziale e mentale del suo michelangiolismo,
che è esibito nel ciclo di
Sibille, Profeti e Santi di contorno. Il San
Cristoforo, per l’abside della stessa chiesa,
“larva smisurata”, ormai
negli anni settanta, segna l’incontro con Tiziano: con il
San Cristoforo (Venezia,
Palazzo Ducale) e con le tinte brune e rosse del
San Giacomo (Venezia,
San Lio).
Proseguono con il duca
Alfonso II (1559 al 1597) le decorazioni estensi. Dopo il terremoto del 1570,
insieme ad altri pittori, Sebastiano affresca il Castello, i Giochi ginnici dell’antichità. Ben
diverso il contesto e il contenuto del Giudizio
Universale
della Cattedrale di Ferrara
(1577 – 81): qui, potenzialità, esperienze, genio si manifestano francamente in
confronto, non sottomesso, con Michelangelo e Tiziano.
L’opera è straordinaria nel
modo di riempire il catino absidale con grandi cerchi
concentrici attorno al
Cristo e nella calcolata gradazione, a fini espressivi, del disfacimento della
forma plastica. Non mancarono lodi, tuttavia Bastianino rimase nei vent’anni
successivi, che furono al contempo quelli dell’autunno del Rinascimento, della
fine del ducato estense di Ferrara e della sua vita, un artista appartato, che
rifletteva lungo piste misteriose, come dimostrano i tre altari della chiesa
della Conversione di san Paolo, dai
quali inizia la mostra, o
(1598) per santa Maria in
Vado (Ferrara, Pinacoteca nazionale), estrema opera conosciuta del pittore che
morì nel 1602.
Nessun commento:
Posta un commento