FATTORI
Giovanni Fattori (Livorno,
1825 – Firenze, 1908) è stato portavoce di una pittura potente, capace di
interpretare, lungo tutta la seconda metà del XIX secolo, le trasformazioni
della visione moderna.
Promossa dalla Fondazione Bano e dal
comune di Padova, si è aperta un’antologica dell’artista toscano a Palazzo
Zabarella, fino al 28 marzo 2016, ( catalogo Marsilio) che vuole
riproporre al pubblico l’immagine di uno dei maggiori protagonisti dell’arte
europea.
La mostra, a cura di
Francesca Dini, Giuliano Mateucci e Fernando Mazzocca, presenta oltre cento
dipinti, in grado di ricostruire, attraverso un avvincente taglio cronologico e
insieme tematico – dallo spavaldo Autoritratto
del 1854, dove riusciva già a rivelare la forza rivoluzionaria della sua
pittura, agli ultimi capolavori eseguiti agli inizi del Novecento – la
straordinaria versatilità di una lunga vicenda creativa che lo ha visto
cimentarsi con tematiche e generi diversi.
Fattori, infatti passava con
estrema facilità dal paesaggio, di cui è stato uno dei più sorprendenti
interpreti, al ritratto, raggiungendo risultati altrettanto strabilianti, alle
cronache della storia contemporanea, dove è stato testimone di un’epoca, alle
scene di vita popolare, dove ha saputo condividere gli stati d’animo e i
problemi più drammatici dell’umanità.
Il percorso allestito
all’interno di Palazzo Zabarella ripercorre interamente la sua carriera, dalla
rivoluzione dei Macchiaioli, in cui ha avuto un ruolo di primo piano, affidata
ai piccoli formati delle leggendarie tavolette, come La rotonda di Palmieri,
fino al raggiungimento, nei
grandi formati, di una dimensione epica dove si riflettono i mutamenti storici
e sociali che hanno trasformato il nostro Paese, alla sperimentazione infine di
nuovi territori iconografici e formali che lo ha avvicinato, per i risultati
raggiunti, ad altri geni solitari quali Courbet o Cézanne.
Quello che colpisce di più
del piccolo dipinto è la composizione, nella quale ogni elemento figurativo
sembra obbedire ad una legge superiore di equilibrio e convenienza costruttiva.
Il ritmo della composizione, secondo il quale si svolge il gruppo delle
signore; lo straordinario senso di eleganza, determinato da una raffinata
scelta di toni. La pennellata, con la quale il pittore ritaglia le figure
contro il bianco della striscia del cielo, l’azzurro del mare, sull’ocra calda
dell’ombra della tenda, in un gioco raffinato di profili e di riflessi. Infine,
il risalto della visione che cattura l’attenzione e guida alla lettura del
percorso pittorico indicato dai pali in controluce, che tagliano lo spazio
chiaro del cielo unendo le due strisce della tenda e della spiaggia.
Le sue doti, dopo una
formazione in ambito accademico, si sono rivelate piuttosto tardi, quando,
superati i trent’anni, aveva partecipato alle animate serate del Caffè
Michelangelo che è stato a Firenze il vivace palcoscenico della cosiddetta
rivoluzione della “macchia”. Ma rispetto agli altri pittori che hanno fatto
parte del movimento dei Macchiaioli, Fattori si è subito manifestato per la sua
forte e indipendente personalità, capace delle scelte più coraggiose.
Nei drammatici capolavori
della maturità, come Il muro bianco (In
vedetta) o Lo staffato, espressi
con un linguaggio che va oltre la dimensione della denuncia per raggiungere una
prospettiva universale, Fattori è stato lucido interprete della delusione di
una nazione, uscita dal Risorgimento, che non ha saputo realizzare quegli
ideali di giustizia sociale in cui le giovani generazioni avevano creduto.
Questa è la sua grandezza, che ne ha fatto
subito un classico, paragonato ai maestri del Quattrocento, come Beato Angelico,
Paolo Uccello, ma anche a Goya e al contemporaneo Cézanne.
Lo staffato è
una delle più note opere di Fattori, colpisce soprattutto il movimento,
l’irrompere del cavallo al galoppo sfrenato nello spazio del quadro.
Alla corsa del cavallo, resa
da una pennellata realmente motoria, si oppone la disperata resistenza delle
braccia e delle mani dello staffato che lasciano sul terreno una scia di sangue.
La tensione della scena,
caratterizzata dal dinamismo della composizione, è resa in tutta la sua
drammaticità dalle pennellate come “strappate” e dal colore scarno, quasi
monocromo, che “ritaglia” le sagome scure del cavallo e del soldato (fortemente
disegnate in alcuni particolari, come le giberne e i finimenti del cavallo e
come le scarpe e le mani del soldato) sullo sfondo ocra del terreno solcato
dalle tracce rosse di sangue e su quello bianco-azzurro del cielo, macchiato di
nuvole gialline.
Vissuto a partire dal 1846 a Firenze, e però
ritornato spesso nella sua Livorno, ma anche a Castiglioncello, il luogo
prediletto dai Macchiaioli, di cui ha saputo rappresentare, come pochi, la
limpida luce. La sua ultima meta è stata la Maremma toscana, una terra aspra e
selvaggia che, grazie ai capolavori dei suoi ultimi anni, è entrata nel mito,
come la Provenza di Cézanne o la Polinesia di Gauguin.
A contatto con scenari
naturali diversi, con differenti situazioni storiche, quando evoca nei suoi
quadri a tema militare le vicende del nostro Risorgimento, con gli uomini, di
cui sa rendere sia la condizione esistenziale che quella sociale, il suo stile
cambia continuamente: dalla splendida pittura a macchie colorate e abbagliate
delle tavolette giovanili, alle visioni più drammatiche caratterizzate da una
nuova impostazione prospettica e da un disegno sempre più potente dei dipinti
della maturità, sino alla deformazione delle ultime opere che sembrano
anticipare, nella loro sconcertante modernità, le avanguardie del Novecento.
Fattori sempre
particolarmente inquieto, emarginato dai compagni che lo sfuggono quando
addirittura non lo deridono, che lo citano appena nei loro scritti come nel
caso di Signorini e del Cecioni, Giovanni Fattori trova la forza di andare
avanti nel proprio temperamento, e nella sua terra, nei ricordi e negli ideali
sempre presenti.
Nello straordinario Autoritratto del 1894, presente in
mostra, opera capitale dell’artista livornese, si coglie come il Fattori abbia
saputo carpire i tratti essenziali del suo tempo, la parabola delle generazioni
uscite dalla rivoluzione del 1848.
Il patriota, il galantuomo,
l’anima appassionata e schiva, lo spettatore sente presenti ed esaltati in
questo ritratto meravigliosamente privo di retorica, nel quale il Fattori ha
saputo esprimere con commovente semplicità i suoi sentimenti più alti: l’amore
per l’uomo e per la vita, la fiducia nei valori morali, l’intimità familiare,
l’amore per l’arte, la fermezza dei principi ed insieme l’ironia sottile di chi
può giudicare uomini e cose alla luce di una profonda esperienza umana. Fattori
ha lasciato in questo ritratto l’immagine compiuta di se stesso in uno dei
momenti più alti della sua attività creatrice. In mezzo alla corruzione
dilagante fra i ceti dirigenti italiani, di fronte a ciò che egli avverte
sempre più come “tradimento” degli ideali di libertà e di progresso che avevano
dato vita al nostro Risorgimento, questa opera, acquista quasi un significato
di simbolo.
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