Adolfo Wildt.
L’ultimo simbolista
Alla GAM – Galleria d’Arte
Moderna di Milano si è aperta fino al 14 febbraio 2016 la mostra Adolfo
Wildt. L’ultimo
simbolista (catalogo Skira).
Cinquanta sculture, in gesso,
marmo e bronzo, e dieci disegni di Adolfo Wildt, insieme a sette opere di
confronto di Antonio Canova, Fausto Melotti e Lucio Fontana (questi ultimi
allievi dell’artista alla Scuola del Marmo da lui fondata nel 1922), sono
esposte nelle sale della galleria in occasione della mostra dedicata all’artista
milanese, scultore di straordinaria potenza ed eleganza.
L’esposizione, sotto
la direzione di Paola Zatti, realizzata con la collaborazione dei Musées
d’Orsay, l’Orangerie di Parigi e nell’ambito della partnership fra GAM e
l’istituto bancario UBS, presenta un percorso espositivo diviso in sei sezioni
cronologiche-tematiche che segue la carriera di Wildt degli anni della sua
formazione presso la bottega di Giuseppe Grandi e l’Accademia di Belle Arti di
Brera, sino quasi alla sua morte, avvenuta nel 1936, passando per il periodo
dell’adesione al movimento del Novecento italiano (1922-1926) durante il quale
l’artista si dedicò soprattutto a monumenti e ritratti. La mostra inoltre si
propone di valorizzare tutte le testimonianze wildiane ancora esistenti a
Milano attraverso un itinerario tematico diffuso per la città dedicato a questo
grande artista che il critico Ugo Ojetti nel 1926 sulla pagina della rivista
“Dedalo” definì capace <<d’esprimere
l’invisibile e di torcere il corpo umano finchè ne sprizzi l’anima>>.
Nonostante il cognome
d’origine germanica, Wildt nasce e muore a Milano dove trascorre larga parte
della sua vita e svolge la sua intera attività artistica. La sua opera infatti
è ampiamente rappresentata nelle raccolte della GAM che, pur esponendo nel
percorso permanente il solo Uomo antico (marmo,
1914),
conserva in deposito numerose opere e bozzetti e la magnifica composizione in marmo della Trilogia
( il Santo, Il Giovane, Il
Saggio), esposte alla Triennale di Brera nel 1912 e giunta nel parco della GAM
nel 1926 dopo molte traversie.
Adolfo Wildt è senza dubbio
il maggiore scultore del principio del secolo scorso, ma ciò nonostante è stato
ed è ancora oggi sconosciuto al grande pubblico, vittima, dopo la sua morte, di
una condanna all’oblio decretata dalla critica, che non condivideva la sua
poetica né il suo stesso concetto di scultura, e dalla cultura del secondo
dopoguerra, che lo accusava erroneamente di essere stato un artista di regime.
Durante la sua vita
d’artista, infatti, Wildt è stato amato e odiato dagli uomini e dalle donne del
suo tempo, osannato e disprezzato dalla critica, suscitando ammirazione e
ribrezzo, commozione e ripulsione, mai lasciando, però, indifferenti.
Wildt nasce e svolge la sua
intera attività artistica in una Milano in fermento, terreno fertile della
Scapigliatura di Giuseppe Grandi, ma anche della scultura impressionista di
Medardo Rosso, poi del giovane movimento futurista affascinato dall’industriale
<<città d’oro e di ferro>>.
Personalità indipendente,
Wildt rimane al margine delle avanguardie e conserverà sempre un solido legame
con la tradizione artistica italiana, dall’Antichità al Barocco, con una netta
predilezione per la pittura del Rinascimento. Questa mostra monografica pone in
risalto tali rapporti, come pure l’unicità di Wildt e le sue affinità con i
contemporanei, attraverso una selezione di opere dello sculture, a cui fanno da
contrappunto quelle di altri artisti.
Tuttavia fino dagli anni intorno
al 1890, quando Wildt comincia a lavorare per suo conto, il realismo di
impronta alla Grandi che caratterizza il suo fare, già è infarcito di troppe
astruserie letterarie o sovraccaricato di troppi significati.
La vedova, Il Martirologio, Quando l’uomo
tace, L’uomo che dorme, sono i titoli delle sue prime sculture fin che nel
1900 crea Sulla terra ogni animale tace
quando l’uomo tace, oggi a Köenigsberg.
Nella quale scultura, ove
appaiono evidenti i richiami all’arte classica, l’impressionismo pittorico di
Grandi si risolve nella definizione di piani e volumi sui quali la luce si
diffonde serena.
Poi, nei primissimi anni del
Novecento, Wildt ha un periodo di involuzione e di turbamento spirituali che,
nella sua maniera, si riflettono in saltuari ritorni al Grandi, allo studio
degli antichi, dei quattrocentisti lombardi ed anche di Michelangelo.
È anche il tempo nel quale lo scultore incontra Franz
Rose
un ricco signore tedesco che gli assicura l’indipendenza economica
permettendogli di lavorare senza preoccupazioni d’ordine pratico. In questo
momento Wlldt evolve ancora il suo stile nel quale gli elementi già acquisiti
si pongono su di un piano che ha molti contatti con l’espressionismo perfino
con il surrealismo.
Evoluzione sempre
accompagnata da un continuo affinarsi della tecnica per cui il marmo scavato,
assottigliato, reso trasparente, levigato, lustrato con pazienza infinita,
finisce con l’essere snaturato, e divenire all’apparenza materia che talvolta
dà l’impressione dell’avorio prezioso tal’altra della celluloide. La Trilogia (1912) nel giardino della villa
Reale di Milano, il <<Vir temporis
acti>> (1913) che è nel museo di Küenigsberg, Un rosario (1915) nella collezione
Oberti a Genova, la Madre adottiva (1918)
nel cimitero di Milano, Maria dà luce ai
pargoli cristiani che è a Rebbio
nell’Istituto di Maternità e Infanzia.
La Concezione della collezione
Poi gradualmente, forse anche confortato dal successo e dai pratici riconoscimenti, le concezioni di Wildt sempre infarcite di letteratura sembrano rasserenarsi, le forme divenire meno involute e contorte mentre la tecnica, spinta ormai ai vertici delle proprie possibilità, assume essa stessa dignità di stile, Alcuni suoi ritratti quale quello di Toscanini (1925) della Galleria d’Arte Moderna di Roma, ove è anche un suo S.Francesco,
quello di Mussolini della Galleria d’Arte Moderna
di Milano, quello di Pio XI (1926) e
di Vittorio Emanuele III,
come il S. Ambrogio nel monumento ai Caduti di Milano (1929) sono con La Casa del Sonno (1927), il monumento Körner (1928) e quello della Famiglia Rovera (1929) nel cimitero milanese, le espressioni più caratteristiche e raggiunte dell’ultimo periodo dell’attività dello sculture, conclusasi con l’efebico
Puro Folle (1930),
un marmo nel quale, dopo tante esperienze e ricerche per rendere trasparente,
traslucida la materia, intenda egli medesimo consolidare le forme semplificate,
classicheggiando secondo la tendenza in quegli anni anche codificata dal
Manifesto del gruppo del <<Novecento>> al quale lo scultore, pur
essendone spiritualmente lontano, volle aderire.