HAYEZ
Si è aperta a Milano la
mostra su Francesco Hayez, alle Gallerie d’Italia a cura di Fernando Mazzocca,
fino al 21 febbraio 2016.
Con oltre 100 dipinti
provenienti dalle più importanti istituzioni museali italiane e collezioni
private, la mostra si presenta come la più grande retrospettiva mai dedicata ad
Hayez (Venezia 1791 – Milano 1882) dopo quella tenutasi a Brera nel 1983.
<<il capo della scuola
di pittura storica che il pensiero nazionale reclamava in Italia>>,
scrive di lui Giuseppe Mazzini (1840).
Con la sua arte Francesco
Hayez ha attraversato, da vincitore, l’intero ‘800, esordendo nel 1807 nel
segno del Neoclassicismo, diventando poi il campione (non solo in Italia) del
Romanticismo e accostandosi infine al Naturalismo.
Questa ultima mostra milanese
lo segue lungo l’intera vicenda creativa, dando conto nelle diverse sezioni,
ritmate da autoritratti, dei suoi tanti talenti, nella pittura di storia come
in quella civile o religiosa, nei ritratti come nell’orientalismo.
Il percorso si apre con la
formazione, tra Venezia e Roma. Qui, sotto l’ala del Canova - al quale era
stato affidato dal presidente dell’Accadamia di Venezia – il
Giovane studiò l’arte
classica e seppe guadagnarsi subito eccellenti risultati: il primo lo conseguì
a Milano, in quella che per lui, veneziano, sarebbe diventata la vera
“patria”. Fu qui infatti che
nel 1812 vinse con il Lacoonte il
Grande concorso di pittura dell’Accademia di Brera, prima di una serie
lunghissima di premi.
Prima però di trasferirsi a
Milano (nel 1823), Hayez rientrò a Venezia, dove tra il 1818 e il 1819 affrescò
14 lunette in Palazzo Ducale, dieci delle quali, restaurate, sono esposte nella
seconda sezione della mostra: opere ancora di tema mitologico, in cui traspare
lo studio degli affreschi romani di Raffaello, Giulio Romano, Sebastiano del
Piombo, non meno dell’influsso del Canova.
È con la terza sezione che si entra nel pieno della
<<rivoluzione romantica>>.
Ciò che veniva apprezzato in
lui era la scelta di temi tratti dalla storia italiana, tali cioè da evocare
momenti di antica gloria
nazionale , momenti di riscatto popolare contro gli stranieri,
tali, in altri termini, da poter essere considerati risorgimentali.
È la stessa tematica del grande melodramma popolare
verdiano. Poco dopo che Hayez ha dipinto I
Vespri Siciliani (1846), anche Giuseppe Verdi musica un’opera lirica con lo stesso
soggetto (1855) e già aveva fatto rappresentare melodrammi in cui il popolo
italiano oppresso riconosceva se stesso e le proprie aspirazioni alla libertà,
dal Nabucco (1842) ai Lombardi alla prima crociata (1843) (il
cui coro, come scrisse
il Giusti, <<tanti
petti ha scossi e inebriati>>), dall’Attila
(1845) alla Battaglia di Legnano (1849).
Ed anche Hayez concepisce teatralmente le storie che narra.
Possiamo ammirare tutto ciò
nei già citati Vespri Siciliani. È
il momento immediatamente seguente il fatto che scatena la rivolta popolare
contro lo straniero all’uscita della funzione religiosa vespertina una donna
palermitana è stata oltraggiata da un francese. Immediata è la reazione :
l’oltreggiatore è ferito a morte da un giovane. I protagonisti come i cantanti
di un melodramma, sono in primo piano, prossimi al <<boccascena>>:
la donna in deliquio, amorosamente sostenuta e confortata dal fratello; il
francese (se ne riconosce l’origine dal giglio di Francia ricamato sul petto)
cadente a terra, una mano istintivamente appoggiata sulla ferita, quasi a
contenere la fuoruscita del sangue; il giovane, la punta della spada sguainata
ancora intrisa di sangue, si
ritira guardando il nemico caduto. Ognuno è in posa studiata registicamente.
Intorno è il coro, ossia il popolo, pronto a riacquistare coscienza di sé, sul
fondo il Monte Pellegrino sorgente dal mare (elemento indispensabile per
localizzare il fatto a Palermo), a sinistra l’abside della chiesa (per
ricordarci il momento
storico), al centro la
croce. Dio e popolo, Dio e patria: gli ideali del
Risorgimento.
Ma il paragone con il
melodramma verdiano, per Hayez, si ferma, soprattutto, all’aspetto esteriore.
Verdi dà vita al fatto attraverso la forza trascinante della musica, con la
quale colpisce e commuove gli spettatori collettivamente, a qualunque livello
culturale appartengano, così da impersonare la coscienza nazionale e poter
essere considerato il più grande artista del Risorgimento italiano. Hayez, in
questo momento, si presenta innovativo per il tema non più mitologico, ma anche
per lo stile in cui la vera protagonista della svolta diventa la figura
shakespeariana di Giulietta.
A lei Hayez dedica nel 1823 L’ultimo bacio a Giulietta e Romeo. In
mostra è presente anche una seconda versione, del 1833, dove però non troviamo
la stessa sensualità della prima, molto più ispirata. Infatti il pittore era
stato colpito dallo scandalo con cui il quadro del 1823 era stato accolto,
quando fu presentato all’esposizione di Brera. Era stato accusato di aver
raffigurato una Giulietta troppo carnale e discinta, addirittura in ciabatte,
che bacia con eccessivo trasporto il suo innamorato. Le sue fattezze erano del
resto quelle di Carolina Zucchi, modella e amante di Hayez, protagonista di
numerosi dipinti e di disegni erotici più che espliciti. L’opera era stata
esposta insieme ad un altro dipinto, ritornato in questa occasione a Milano,
dove è rappresentata la scena del matrimonio
dei due infelici amanti veronesi celebrato dal frate Lorenzo.
Ma non meno scandalose per
molti contemporanei erano le sue superbe Maddalene, ispirate a Canova, ora al
centro della sezione <<Sacro e profano>>.
Hayez non si curò delle
polemiche e zittì tutti con la pala d’altare Un crocefisso con la Maddalena, dai modi tizianeschi,
mentre
continuava a coltivare il suo gusto per la provocazione in Gli apostoli Giacomo e Filippo: in realtà i ritratti di due
patrioti esiliati.
Sarà nel corso degli anni ’20,
con la maturità, che si affacceranno le scene corali della <<pittura
civile>>, come le due versioni di Pietro
l’Eremita che predica la
prima Crociata , dove cavalca il tema diffuso nell’Europa
post-napoleonica, del ritorno alle radici cristiane,
presente anche nella Maria Stuarda (letta allora come martire),
protagonista del dipinto che nel 1827 sbalordì Milano anche per la presenza in
quella vasta scena storica dei protagonisti della buona società del tempo.
E fu proprio grazie a questi
fortunati dipinti se Hayez divenne il ritrattista-principe delle classi
dirigenti, che seppe lusingare con i suoi <<ritratti ambientati>>,
allusivi anche al loro status sociale. A essi è dedicata la sesta sezione, dove
figura anche il chiacchierato ritratto della ballerina Carlotta Chabert,
ritratta per il nobile amante, poi rovinato a causa sua, nella (pingue) nudità
di Venere che scherza con le colombe.
Intanto, l’artista, lavorava
a grandi opere di tema civile e politico,
come I profughi di Praga, o a riflessioni di potere,
come le due versioni dei Due Foscari (soggetto byroniano poi reso celebre da Verdi),
dall’altro si lascia catturare dalle seduzioni dell’Oriente biblico (Rebecca,
Ruth, Sansone).
Entra ora in scena l’Italia
attraverso il “padre della patria” Alessandro Manzoni, ritratto da Hayez senza
alcuna enfasi e alle due versioni della Malinconia:
in realtà dolenti riflessioni sulle vicende italiane, al pari della
splendida Meditazione, 1851,
trasparente allegoria dell’Italia sconfitta del 1848.
Il riscatto si realizzò nel 1859 e fu allora che Hayez dipinse tre versioni (due in mostra) del celebre Bacio: tutt’altro che zuccheroso dipinto d’amore ma inno alla nuova nazione che abbracciava la Francia, alleata nella sua lotta di liberazione.
In questo percorso fitto di
capolavori, che prima di congedarsi, tuttavia, ci mostra un confronto tra la
sua pittura e la scultura: quella di Canova, alla quale da giovane s’ispirò e
quella di Vincevo Vela e di Alessandro Puttinati, che invece guardarono a lui
come un modello da imitare.
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