Bentornato
Museo Bailo
La Galleria
Del Novecento
Ha riaperto a Treviso, dopo
quasi 12 anni e dopo interventi architettonici e museografici che ne hanno
completamente cambiato il volto, il Museo civico Luigi Bailo. Si potrebbe dire
– per la straordinaria personalità e forza identitaria acquistata: grande
galleria del Novecento, gioiello architettonico connotante il contesto urbano
nel quartiere storico di Borgo Cavour e scrigno di una collezione d’arte di
indubbio valore, soprattutto per l’eccezionale raccolta Arturo Martini (Treviso
1889 – Milano 1947), la più cospicua tra quelle oggi esistenti, ora pienamente
valorizzata.
Non una semplice
ristrutturazione, ma un museo nuovo in una fabbrica antica – ex convento degli
Scalzi fino al 1866 – polo fondamentale, insieme al complesso di Santa
Caterina, del sistema museale cittadino voluto dall’Amministrazione Comunale.
L’intervento – con un costo
complessivo per i lavori di consolidamento, ristrutturazione e allestimento di
4.600.000 € – ha riguardato buona parte dei corpi di fabbrica
disponibili ed è stato concepito – in attesa di nuovi finanziamenti – in modo
che questo primo lotto (circa 1600 mq) sia autonomo e dotato di tutti i servizi
funzionali di un museo moderno, accessibile e di grande suggestione. Filo
conduttore del progetto espositivo è rappresentato dalla collezione civica di
Arturo Martini (1889 – 1947), riconosciuto come uno dei più grandi scultori
italiani del Novecento, il “maggiore creatore di immagini plastiche del secolo”.
Sono 134 le opere
dell’artista esposte nelle sale del museo: terracotte, gessi, sculture in
pietra, bronzi, opere grafiche e ceramiche, tra cui il gesso originale della “Fanciulla piena d’amore”, le “Allegorie del Mare e della Terra” in
cemento, il famosissimo bronzo della “Pisana”
o l’esemplare unico e stupefacente della terracotta “ Venere dei porti”.
Il percorso museale procede
in senso cronologico, fra il primo piano e il pianterreno, offrendo
l’opportunità d’inediti confronti e relazioni: dai prodromi dell’esperienza
martiniana rintracciabili nel verismo di alcuni artisti veneti della seconda metà
dell’800, in particolare Luigi Serena e Giovanni Apollonio, ai compagni di
viaggio nella sperimentazione e nell’interpretazione delle avanguardie come Gino
Rossi fino agli eredi ed epigoni di Martini nella difficile stagione fra le due
guerre mondiali, da Carlo Conte a Giovanni Barbisan.
Studiato da Maria
E.Gerhardinger, Emilio Lippi, Eugenio Manzato, Marta Mazza e Nicola Stringa,
l’indirizzo museologico – che prevede l’esposizione di circa 350 opere delle
ricche collezioni civiche – ha trovato piena corrispondenza nel progetto
architettonico e di allestimento vincitore della selezione proposto dallo
Stuomas di Padova, con il team di architetti e museografi Marco Rapposelli,
Piero Puggina e Heinz Tesar e la progettazione grafica di Metodo studio.
Trasparenza, apertura verso
l’esterno a rendere evidente il legame tra museo e città, dialogo tra i vuoti
delle arcate dei chiostri e i pieni della scultura martiniana, mantenimento e
valorizzazione delle strutture antiche e introduzione di nuovi elementi
fortemente connotati, a ridisegnare l’edificio in sostituzione delle
ricostruzioni anni Cinquanta: sono le parole chiave di questo nuovo, bellissimo
museo.
Nella definizione dei criteri
allestitivi, la scelta è stata collocare i quadri e la grafica prevalentemente
su pareti interne – anche per esigenze conservative – posizionando le opere
plastiche in prossimità delle vetrate e dei varchi, a interagire con la luce che
è, con evidenza, il carattere distintivo di questa ristrutturazione museale.
L’intervento architettonico –
documentato con grande efficacia dagli scatti di Marco Zanta, fino al 31
dicembre esposti al Museo – ripristina, della situazione urbana originaria, una
sequenza di luoghi dotati di carattere preciso e riconoscibile.
Il chiostro sud dell’edificio
è dominato dal gruppo scultoreo di Arturo Martini
“Adamo ed Eva Ottoleghi” del 1931 che viene restituito alla città grazie
all’apertura di due arcate dell’originale portico e ad una grande finestra
collocata sulla facciata del Museo che consente di vedere dall’esterno la
bellissima scultura di Martini.
I due progenitori sono
rappresentati, mano nella mano, lasciano il giardino dell’Eden e s’incamminano
verso il futuro di un nuovo giorno, sorpresi nell’attimo irrepetibile in cui
l’uomo diventa uomo. Un gesto di speranza: non c’è peccato, né cacciata, ma
solo una pausa estatica prima dell’inizio.
Nelle prime sale sfilano
ritratti e i paesaggi di fine Ottocento dal realismo temperato (con Guglielmo
Ciardi il figlio Beppe) introducono nel contesto artistico trevigiano a cavallo
tra i due secoli, compresi gli echi impressionisti della “macchia” e del
“colore puro” evidenti nelle opere di Luigi Serena, Giovanni Apollonio e
Vittore Cargnel; quindi il percorso si concentra sulla figura di Martini e
degli artisti che con lui furono in rapporto.
Praticamente tutte le sculture più rappresentative del suo periodo giovanile – dalla formazione trevigiana come autodidatta, agli studi veneziani e ai primi riconoscimenti nelle mostre di Ca’ Pesaro del 1908 sono esposte al Balio.
Straordinarie le ceramiche
uniche nel panorama dell’epoca dell’artista ispirati alla Secessione viennese e
al liberty.
Momento fondamentale nella
carriera e nel percorso di Arturo Martini, che partecipa al Salon d’Automne di Parigi nel 1912, è
l’episodio della mostra veneziana di Ca’ Pesaro del ’13 ove presenta la
maiolica dorata della “Fanciulla piena d’amore”, creando scompiglio per la
componente dissacrante e sottilmente erotica del lavoro.
Nel progetto museologico un
rilievo particolare viene assegnato ad Arturo Martini (Oderzo 1878 – Milano
1954), il maggiore artista simbolista dell’ambiente trevigiano, e allo
straordinario Gino Rossi (Venezia 1884 – Treviso 1947).
A Treviso, dunque, la
Galleria del ‘900 apre le sue porte e svela alla città un immenso tesoro. E
mentre celebra Martini, di cui mostra anche un nucleo rilevante d’opere del
periodo estremo, con l’invenzione di strutture inedite e sorprendenti in
risposta all’inadeguatezza della scultura – gli esemplari unici “Donna che
nuota sott’acqua” e “Cavallo alato steccato” e il gesso patinato originale
“Donna sulla sabbia” (1944) – ricorda anche tanti artisti che tra le due Guerre
contribuirono a creare un vivace ed eterogeneo clima culturale: Bepi Fabiano,
Nino Springolo, Juti Ravenna ma anche Giovanni Barbison con la scuola di
incisione trevigiana e Carlo Conte, di cui viene rievocata magistralmente la
gipsoteca.
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