Il SIMBOLISMO.
Arte in Europa dalla Belle Époque
alla Grande Guerra
Si è aperta a Palazzo Reale
di Milano, fino al 5 giugno 2016, la mostra
<<Il
Simbolismo.
Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra>>, promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da 24
Ore Cultura e Arthemisia Group ,
a cura di Fernando Mazzocca e
Claudia Zevi in collaborazione con Michel Draguet.
L’imponente rassegna
(disposta in 24 sale) mette per la prima volta a confronto i simbolisti
italiani (Segantini, Previati, Sartorio, Chini ed altri…) con quelli stranieri
attraverso la presenza di dipinti (oltre 100), sculture e un’eccezionale
selezione di grafica che rappresenta uno dei versanti più interessanti della
produzione artistica del Simbolismo.
Il termine Simbolismo è assai
vago e serve del resto a designare un movimento dai contorni fluidi, una
pluralità di tendenze eterogenee; esso caratterizza soprattutto una
comune eccezione dell’arte e
della vita. Il Simbolismo contrappone l’idea alla realtà, la fantasia alla
scienza, il rifugio nel sogno alla volgarità esistenziale. L’artista simbolista
assume infatti un atteggiamento di netta opposizione sia nei riguardi del
realismo sia dell’Impressionismo; escludendo qualsiasi interferenza scientista
– quando anche gli impressionisti allo scientismo erano stati attratti almeno a
livello teorico, nella elaborazione della loro ottica – egli pretende di agire
con l’esclusivo intento di <<risvegliare l’Idea con una forma
sensibile>>.
Le parole sono del poeta
Moréas che sul <<Figaro>> del 18 settembre 1886 pubblicava appunto
il Manifesto del Simbolismo.
Dall’Inghilterra la voce
simbolista giungeva con Wordsworth e con Coleridge - <<L’artista deve
imitare ciò che è dentro alla cosa, ciò che agisce attraverso la forma e la
figura, e parla a noi per mezzo di simboli>> - e dall’America con Edgar
Allan Poe. Per non dire del grande Baudelaire che vedeva l’uomo passare
<<à travers des forêts de symboles>>.
Il Simbolismo – riuscendo ad
abbracciare anche da noi come nel resto d’Europa arti figurative, architettura,
letteratura e musica – ha contribuito a rinnovare profondamente la cultura
italiana, facendola entrare nella modernità e anticipando il Futurismo. Questo
movimento si è manifestato dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento alla
vigilia della Prima guerra mondiale riuscendo a interpretare entusiasmi e
inquietudini della cosiddetta Belle Époque. La forza del
Simbolismo è stata quella di riuscire a rappresentare, penetrando anche nei
territori dell’inconscio, i grandi valori universali dell’umanità – il senso
della vita e della morte, la fantasia, il sogno, il mito, l’enigma, il mistero
– in un momento in cui tali valori sembravano minacciati dall’avanzare del
progresso scientifico e tecnologico.
Se Segantini e Previati hanno
rappresentato le due anime del movimento, una più legata alla dimensione della
realtà naturale, l’altra a quella del sogno. Pelizza da Volpedo e Morbelli
confermano come il Divisionismo italiano, assolutamente all’altezza delle altre
avanguardie europee, abbia raggiunto i suoi risultati più alti proprio quando,
creando l’<<arte per l’idea>>, è passato dal realismo alle istanze
simboliste.
Rispetto al clima milanese,
rappresentato soprattutto da Segantini, Previati, Pelizza e Morbelli, la
situazione appare molto diversa a Roma, dove, anche per l’influenza di
d’Annunzio, i grandi protagonisti come Sartorio e De Carolis hanno elaborato
una pittura che si rifaceva alla tradizione, soprattutto al Rinascimento, e
privilegiava il mito o l’allegoria, seguendo le orme dei preraffaelliti inglesi
come Rossetti, Holman Hunt e Burne-Jones.
Non è mancato un proficuo
rapporto con i grandi simbolisti stranieri presenti in Italia, come Böcklin,
Klinger, von Stuck, Klimt, conosciuti soprattutto attraverso le Biennali di
Venezia, che sono state delle straordinarie occasioni di confronto
internazionale. A questo proposito è stata memorabile la famosa Sala
dell’Arte Sogno
allestita alla Biennale del
1907, che ha rappresentato la consacrazione, suggellata proprio dall’incontro
tra artisti italiani e stranieri, di un movimento che si era affermato come
l’interprete privilegiato dello spirito del tempo. La presenza alla stessa
rassegna dell’impressionante ciclo monumentale di Sartorio Il Poema della vita umana, come la decorazione delle otto vele
della cupola del Padiglione Centrale dei Giardini realizzata nel 1909 da Chini con la
rappresentazione allegorica de
L’Arte attraverso i tempi (o le Allegorie dell’Arte e della Civiltà) e infine i
diciotto panelli sul tema della Primavera
che perennemente si rinnova eseguiti sempre da Chini per l’edizione del
1914 e destinati alla sala che esponeva le sculture del dalmata Ivan Meštrović,
sembravano consacrare il Simbolismo, declinato in due stili molto diversi ma
nella stessa trascinante dimensione eroica e visionaria, come il linguaggio
figurativo in cui l’Italia potesse riconoscersi, ritrovando una sua unità e
grandezza. Del resto era stato lo stesso Sartorio, designato nel ruolo di
pittore vate, a interpretare attraverso un sofisticato e complesso itinerario
simbolico lo spirito della nazione nel monumentale fregio realizzato tra il
1908 e il 1912 nell’aula del Parlamento a Montecitorio.
Contro il fronte
indistruttibile dei tradizionalisti, si affermò una notevole avanguardia
letteraria e artistica che, soprattutto sul versante del movimento simbolista,
seppe farsi interprete dei problemi, del disagio non solo sociale ma anche
esistenziale, e comunque dell’atmosfera contraddittoria di quel periodo pieno
di entusiasmi progressisti e di fiducia nel futuro, ma dominato allo stesso
tempo dalla morte.
Alle vittime del lavoro,
delle rivolte sociali e delle guerre bisogna aggiungere il terrificante
bilancio del terremoto che nel 1908 devastò Reggio Calabria e Messina,
provocando la scomparsa di quasi centomila persone.
Anche sul versante figurativo
si verificava il passaggio di consegne tra il naturalismo dominante nella
pittura e nella scultura più impegnate a denunciare le difficoltà e le
ingiustizie della “nuova Italia”, che non era riuscita a realizzare gli ideali
e le attese del Risorgimento, e un idealismo simbolista che cercherà di andare
oltre questa spietata rappresentazione documentaria, per interpretare il
malessere, condividere le ragioni degli oppressi e intravedere, semmai delle
possibilità di riscatto.
La volontà dell’andare oltre,
di passare da una dimensione all’altra, di rischiare e inoltrarsi in un
percorso conoscitivo che vada al di là della percezione comune, di
rappresentare tutto questo con visioni e un linguaggio nuovi, caratterizza
anche in Italia, se pensiamo a protagonisti come d’Annunzio e Pascoli in
letteratura e a Segantini, Previati, Sartorio, Bistolfi, Martini sul versante
figurativo, le poetiche e le realizzazioni dei simbolisti.
Da questo altro contrasto
interno nasce quella sensazione acuta di manierismo, che affiora da un capo
all’altro della mostra: il manierismo tipico delle grandi crisi e delle
stagioni in cui i miti passano la mano e si forma un senso di vuoto verso il
quale affluiscono mescolandosi sollecitazioni, proposte e inviti diversi, da
ogni direzione; dentro il quale ogni esperienza appare possibile e conveniente.
Un manierismo però dolce e al tempo stesso aggressivo, in guaine di seta e con
unghie di leopardo.
Patetico, e toccante, perché
colloca in primo piano, come un lume brillante che però si consuma, la
coscienza della propria fragilità. Il senso della caduta, il sentimento della
fine e, peggio ancora, della impossibilità di sciogliere tutti i nodi.
Maria Paola Forlani
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