Conobbi Teresa Amendolagine in India, nel corso di un
viaggio alle fonti della cultura buddista.
Svolgeva, in quel periodo, attività giornalistica, uno dei tanti lavori attuati nella vita un po’ tumultuosa e un po’ libertaria di questa scrittrice romana. Ora Teresa pubblica il suo quarto romanzo, che più propriamente lei definisce ‘romanzo autobiografico’. Praticamente il racconto della sua vita, con la riflessione particolare su alcuni degli aspetti che ne hanno caratterizzato lo svolgimento. E questo motivo giustifica anche il titolo, che altrimenti non si capirebbe, e che in effetti non si capisce se non leggendo il libro, e cioè: “La santità non si eredita”.
Il sottotitolo cerca di spiegarne sinteticamente
l’ermetismo, ma – se da un lato definisce il percorso – dall’altro farebbe
apparire il romanzo come un testo che si muove alla ricerca spasmodica di Dio,
un libro cioè in perenne scontro tra lo
spirito e la materialità del denaro, tra anima e corpo, tra bene e male.
Però questa prima impressione - che del resto
potrebbe essere del tutto personale - non è affatto ciò che il libro descrive.
In esso, scritto con un linguaggio semplice e scorrevolissimo, Teresa racconta
sì la sua vita, o almeno i fatti salienti di essa, ma ciò che emerge sono
soprattutto due elementi, o addirittura uno solo, nei suoi diversi aspetti a
volte anche drammatici e laceranti: da un lato la presenza di due genitori
molto religiosi, addirittura inseriti già in un processo di canonizzazione che
dovrebbe portarli, nell'obiettivo finale, alla venerazione e poi alla gloria
degli altari; dall’altro, l’autonomia della scrittrice fin dall’infanzia, la
sua libertà di essere e di vivere seguendo strade non imposte, ma scelte, o
anche subite ma senza imposizioni esterne. Questa autonomia si manifesta
ovviamente come un perenne scontro con il tipo di vita desiderato e seguito dai
genitori e dalla famiglia che, nell’ambito di una visione cattolica della vita,
promuovevano e vivevano anche una serie di comportamenti che per la scrittrice
si presentavano come vincoli entro cui imprigionare bisogni, desideri,
interessi; e soprattutto la libertà di essere se stessa, e di costruire da sé
la propria esistenza, anche a volte sbagliando, ma pur sempre seguendo senza
costrizioni ciò che la ragione e l’istintiva forza creativa le suggeriva. Così
sposa in giovane età un giornalista, se ne separa poi per evidenti egoismi di
lui, rimanendo così senza sussidi economici. Eppure, non rinuncia ad un’etica
di correttezza con se stessa come persona libera, che non intende subire
affronti o patteggiamenti per un futuro più certo ma sicuramente di squallida
mediocrità. Così farà lo stesso più avanti, quando lascerà un regista che amava
il quale, pur apprezzandola e forse ancora amandola, la tradiva tuttavia con
una persona più giovane, ma soprattutto carezzevolmente servile, capace di
blandirne l’ambizione con un esaltazione eccessiva della sua produzione
cinematografica, pur significativa e soprattutto intelligentemente
sperimentale. E così in tante altre situazioni della vita, Teresa affronta le
diverse situazioni senza mai venir meno a se stessa, alla sua libertà di donna
e di intellettuale. I tempi in cui si trova a vivere la propria giovinezza e
prima maturità sono anch’essi tumultuosi e inquieti: si succedono le contestazioni
giovanili del ’68, emergono movimenti libertari per i diritti civili e l’uguaglianza sessuale, si
lotta contro l’emarginazione della donna, del ‘diverso’ in ogni senso
(dall’handicappato, al negro, all’ebreo, all’omosessuale), nasce e poi quasi
subito muore il movimento dei 'figli dei fiori’, ma successivamente si
consolidano altri filoni di comportamento, come i Verdi e le Femministe, tra le
quali non poteva non trovarsi anche Teresa, che poi troverà per un periodo uno
spazio più disteso e produttivo nei
movimenti culturali delle donne, soprattutto delle casalinghe, che tra le donne
erano, e ancora in gran parte sono, quelle meno considerate e più
sottovalutate. Insomma, una vita, tra famiglia, figli, ricerca di lavori
diversi, sempre difficili e purtroppo di breve durata, e quindi il bisogno di
denaro, necessario e desiderato, non per il lusso o il superfluo, ma per la
sopravvivenza. Poi, in tutto questo, la forza creativa, l’impegno volitivo di
crescere per sé, per i figli e per gli altri a cui spesso si dedica con
attività culturali, e la presenza – che Teresa afferma non voluta e non cercata
– di Dio, che però sembra agire anche contro la volontà di lei, per presentarle
prima ostacoli e poi soluzioni per uscirne. Un Dio di Provvidenza, che trapela
anche, con qualche tremito di emozione, nelle ultime pagine, come avviene nei
‘Promessi sposi’. Una provvidenza che “la c’è, la c’è” come dice Agnese
accudendo i nipotini, dopo tutti i drammi e gli sconvolgimenti succedutisi in
quei drammatici tempi, tra guerre, tradimenti, perfidie e perdoni.
Un libro, questo, da leggersi dunque con discrezione
e partecipazione, perché si tratta di un romanzo vissuto, dove il realismo è,
dal punto di vista letterario, costruito secondo uno stile che potremmo
definire ‘minimalista’, e dal punto di vista umano enunciato secondo una
serenità sorretta dalla ragione, dall’affetto per la vita, i figli, la famiglia
stessa; soprattutto dalla decisa e sempre positiva volontà di superare gli
accadimenti e rinnovare ogni giorno se stessi e il futuro. Come dice Dante:
“Incipit Vita Nova”. Sempre, anche nell’ultimo giorno.
Gian Luigi Zucchini
Teresa Amendolagine, La santità non si eredita. Io e il mio rapporto con i genitori, il
Denaro, Dio, Gangemi Editore, Roma, 2015, pp. 205, s.i.p.
Nessun commento:
Posta un commento