sabato 27 febbraio 2016

La santità non si eredita. Io e il mio rapporto con i genitori, il Denaro, Dio. Recensione di Gian Luigi Zucchini

Conobbi Teresa Amendolagine in India, nel corso di un viaggio alle fonti della cultura buddista.

Svolgeva, in quel periodo, attività giornalistica, uno dei tanti lavori attuati nella vita un po’ tumultuosa e un po’ libertaria di questa scrittrice romana. Ora Teresa pubblica il suo quarto romanzo, che più propriamente lei definisce ‘romanzo autobiografico’. Praticamente il racconto della sua vita, con la riflessione particolare su alcuni degli aspetti che ne hanno caratterizzato lo svolgimento. E questo motivo giustifica anche il titolo, che altrimenti non si capirebbe, e che in effetti non si capisce se non leggendo il libro, e cioè: “La santità non si eredita”.
Il sottotitolo cerca di spiegarne sinteticamente l’ermetismo, ma – se da un lato definisce il percorso – dall’altro farebbe apparire il romanzo come un testo che si muove alla ricerca spasmodica di Dio, un libro cioè in  perenne scontro tra lo spirito e la materialità del denaro, tra anima e corpo, tra bene e male.
Però questa prima impressione - che del resto potrebbe essere del tutto personale - non è affatto ciò che il libro descrive. In esso, scritto con un linguaggio semplice e scorrevolissimo, Teresa racconta sì la sua vita, o almeno i fatti salienti di essa, ma ciò che emerge sono soprattutto due elementi, o addirittura uno solo, nei suoi diversi aspetti a volte anche drammatici e laceranti: da un lato la presenza di due genitori molto religiosi, addirittura inseriti già in un processo di canonizzazione che dovrebbe portarli, nell'obiettivo finale, alla venerazione e poi alla gloria degli altari; dall’altro, l’autonomia della scrittrice fin dall’infanzia, la sua libertà di essere e di vivere seguendo strade non imposte, ma scelte, o anche subite ma senza imposizioni esterne. Questa autonomia si manifesta ovviamente come un perenne scontro con il tipo di vita desiderato e seguito dai genitori e dalla famiglia che, nell’ambito di una visione cattolica della vita, promuovevano e vivevano anche una serie di comportamenti che per la scrittrice si presentavano come vincoli entro cui imprigionare bisogni, desideri, interessi; e soprattutto la libertà di essere se stessa, e di costruire da sé la propria esistenza, anche a volte sbagliando, ma pur sempre seguendo senza costrizioni ciò che la ragione e l’istintiva forza creativa le suggeriva. Così sposa in giovane età un giornalista, se ne separa poi per evidenti egoismi di lui, rimanendo così senza sussidi economici. Eppure, non rinuncia ad un’etica di correttezza con se stessa come persona libera, che non intende subire affronti o patteggiamenti per un futuro più certo ma sicuramente di squallida mediocrità. Così farà lo stesso più avanti, quando lascerà un regista che amava il quale, pur apprezzandola e forse ancora amandola, la tradiva tuttavia con una persona più giovane, ma soprattutto carezzevolmente servile, capace di blandirne l’ambizione con un esaltazione eccessiva della sua produzione cinematografica, pur significativa e soprattutto intelligentemente sperimentale. E così in tante altre situazioni della vita, Teresa affronta le diverse situazioni senza mai venir meno a se stessa, alla sua libertà di donna e di intellettuale. I tempi in cui si trova a vivere la propria giovinezza e prima maturità sono anch’essi tumultuosi e inquieti: si succedono le contestazioni giovanili del ’68, emergono movimenti libertari per  i diritti civili e l’uguaglianza sessuale, si lotta contro l’emarginazione della donna, del ‘diverso’ in ogni senso (dall’handicappato, al negro, all’ebreo, all’omosessuale), nasce e poi quasi subito muore il movimento dei 'figli dei fiori’, ma successivamente si consolidano altri filoni di comportamento, come i Verdi e le Femministe, tra le quali non poteva non trovarsi anche Teresa, che poi troverà per un periodo uno spazio più  disteso e produttivo nei movimenti culturali delle donne, soprattutto delle casalinghe, che tra le donne erano, e ancora in gran parte sono, quelle meno considerate e più sottovalutate. Insomma, una vita, tra famiglia, figli, ricerca di lavori diversi, sempre difficili e purtroppo di breve durata, e quindi il bisogno di denaro, necessario e desiderato, non per il lusso o il superfluo, ma per la sopravvivenza. Poi, in tutto questo, la forza creativa, l’impegno volitivo di crescere per sé, per i figli e per gli altri a cui spesso si dedica con attività culturali, e la presenza – che Teresa afferma non voluta e non cercata – di Dio, che però sembra agire anche contro la volontà di lei, per presentarle prima ostacoli e poi soluzioni per uscirne. Un Dio di Provvidenza, che trapela anche, con qualche tremito di emozione, nelle ultime pagine, come avviene nei ‘Promessi sposi’. Una provvidenza che “la c’è, la c’è” come dice Agnese accudendo i nipotini, dopo tutti i drammi e gli sconvolgimenti succedutisi in quei drammatici tempi, tra guerre, tradimenti, perfidie e perdoni.
Un libro, questo, da leggersi dunque con discrezione e partecipazione, perché si tratta di un romanzo vissuto, dove il realismo è, dal punto di vista letterario, costruito secondo uno stile che potremmo definire ‘minimalista’, e dal punto di vista umano enunciato secondo una serenità sorretta dalla ragione, dall’affetto per la vita, i figli, la famiglia stessa; soprattutto dalla decisa e sempre positiva volontà di superare gli accadimenti e rinnovare ogni giorno se stessi e il futuro. Come dice Dante: “Incipit Vita Nova”. Sempre, anche nell’ultimo giorno. 


                                                                                                  Gian Luigi Zucchini


Teresa Amendolagine, La santità non si eredita. Io e il mio rapporto con i genitori, il Denaro, Dio, Gangemi Editore, Roma, 2015, pp. 205, s.i.p.    

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