La seduzione
dell’Antico
Da Picasso a Duchamp da De Chirico a Pistoletto
La mostra La
seduzione dell’Antico. Da Picasso a Duchamp, da De Chirico a Pistoletto narra
quanto sia rimasto ininterrotto il richiamo dell’antico lungo tutto il secolo,
come confermano le opere esposte al MAR
–Museo d’Arte della città di Ravenna – fino al 26 giugno 2016, di grandi
protagonisti italiani e stranieri a cura di Claudio Spadoni, attraversa
l’intera storia del Novecento documentando artisti e vicende che testimoniano
una ripresa della tradizione in una restituzione moderna di modelli e valori
dell’antico – talora attraverso la citazione esplicita, o in forma evocativa, o
come pretesto per una rilettura inedita di opere e figure mitizzate del passato
– altre volte con la loro riproposta in veste di icone contemporanee, fino alle
operazioni ironiche o dissacrante condotte da alcuni artisti.
Il clima italiano fra le due guerre non è certo
propizio alle avanguardie. Esso rimane sostanzialmente provinciale. Ad
aggravarlo sono le mitologie nazionalistiche agitate dal fascismo che nel 1922
conquista il potere. Il clamore delle manifestazioni futuriste, relativamente
vicine nel tempo, va ormai spegnendosi: scomparso Boccioni, ritiratosi Carrà,
che dopo l’esperienza della Pittura Metafisica si rivolge a una pittura
caratterizzata da una severa sintesi arcaizzante, abbandonato virtualmente
anche da Severini che riconduce il proprio linguaggio in una diversa sfera di
interessi, il Futurismo veniva a mancare dei contributi più qualificati.
Così alle speranze dei novatori, si sostituisce un
desiderio di ripensamento e di revisione dei valori ritenuti tradizionali. Quel
vasto fenomeno che passa sotto il nome di <<retour à l’ordre>> e
che investe tanta parte dell’arte europea si manifesta in Italia subito dopo
l’armistizio. Nel novembre del 1918 viene pubblicata a Roma a cura di Mario
Broglio, la rivista <<Valori plastici>>, alla quale collaborano fra
gli altri Carrà, Savinio e De Pisis. <<Valori plastici>> insiste
sulla necessità di un ritorno alla linea italiana e propone quali modelli
Giotto e Masaccio.
Ѐ
in quest’aria di restaurazione che nasce il Novecento. Il movimento viene
fondato a Milano nel 1922. La denominazione di Novecento è coniata da Anselmo
Bucci (1887-1955) e tosto accettata da un primo gruppo di aderenti: Leonardo
Dudreville, Achille Funi, Pietro Marussig, Emilio Malerba, Ubaldo Oppi e Mario
Sironi.
Ed è denominazione ambiziosa, che di proposito intende
associarsi alle grandi epoche storiche – come dire: il Quattrocento, il
Cinquecento – con ciò rendendo palesi gli intenti conservatori. Carlo Carrà
dimostrava ai tanti adepti di una tradizione malintesa quale fosse l’autentica lezione
di Giotto e dei primitivi: un sapiente governo dei rapporti di linee, forme e
colori nello spazio, una disciplina costante vissuta in pari tempo a livello
artistico e morale.
L’agire di Carrà nelle stagioni fra le due guerre illumina
la misura raggiunta dal proprio linguaggio, la sua volontà cioè di costruire
l’immagine sul dettato di una geometria ideale, capace comunque di assorbire i
moti dell’animo, le variazioni del sentimento, l’urgere dell’emozione per
fissarli in un ordine superiore e incontaminato dall’accademismo esistenziale.
Carrà, dopo essere stato un pioniere delle avanguardie, avvertiva il bisogno di
un ripensamento e di una revisione, soprattutto di ricondurre l’opera a quella
<<durata>> che l’artista riconosceva appunto negli antichi. Sironi
e Carrà: due casi, cui pochi altri s’aggiunsero.
Morandi, nell’ambito della nota limitatezza tematiche
- le composizioni con bottiglie, pochi paesaggi – egli ha saputo condurre il
processo di interiorizzazione dell’immagine fino ai gradi più fondi,
legittimandolo poeticamente attraverso sottili e sempre rinnovate combinazioni
spaziali e rapporti tonali con un rigore morale:<<…una lunga
instancabile, solenne “elegia luminosa” – com’ebbe a dire Roberto Longhi - …una
così poetica ricognizione del mondo di natura da non trovar pari nel
cinquantennio che egli toccò attraversare con la sua ombra densa di alto,
austero viandante la cui <<vox clamantis>> raggiungeva anche le
plaghe più desertiche dell’arte che gli fu contemporanea>>.
Con Campigli poi, all’arte italiana viene proposta una
nostalgia di moduli arcaico-micenei passati attraverso la raffinatezza di un
gusto coltivato nella temperie parigina: una magistrale eleganza di ritmi in
un’aria di <<tempo perduto>>; con De Pisis, la miracolosa facoltà
di concludere nel volgere rapidissimo di una <<scrittura>>
stenografica il senso poetico di un paesaggio, di una figura, di un interno,
colti all’improvviso e fissati nella retina un istante appena sufficiente per
essere eternati.
La mostra ravennate attraverso una sequenza di sezioni
tematiche, presenta oltre 130 opere di grandi protagonisti e di alcuni ‘outsider’ particolarmente significativi,
oltre ad un video di Bill Viola.
A introdurre la prima sezione, che riprende le parole
di Carrà “Quel non so che di antico e di moderno” sono opere notissime come “Il figliol prodigo” di Martini,
“Il vecchio e il nuovo mondo” di Savinio,
“Composizione metafisica” di De Chirico, “Bagnanti” di Carrà, “Maternità” di
Severini.
Attraverso
le opere rappresentate in questa sezione, che coprono quasi l’intero arco del
Novecento, si comprende come il tema della seduzione dell’antico non alluda a
un recupero di temi o forme del passato in chiave nostalgica, ma si riferisca
piuttosto a un’inconsapevole o deliberata rielaborazioni di forme classiche che
si trasformano in temi nuovi e “originali”.
L’ultima
sezione racconta la sorprendente continuità delle neoavanguardie al postmoderno
attraverso alcuni grandi esponenti del
rapporto tra Modernità e Antico, con opere e installazioni. L’Antico – rappresentato dall’arte
classica e rinascimentale – è ormai veramente lontano e il distacco
inevitabile.
Ecco
allora Luigi Ontani, poetico Narciso, che si cala nei modelli
del passato; modelli proposti in chiave concettuale anche da Giulio Paolini. La sua
scultura, intitolata Mimesi due busti classici Ermes posti in posizione
speculare, si guardano e sembrano interrogarsi l’un l’altro.
Non di minore importanza Andy
Warhol con la “Nascita di Venere di Botticelli”
In versione pop e l’istallazione
di Pistoletto, in cui una copia della
“Venere con mela” dell’artista neoclassico Bertel Thorvaldsen, sembra
lentamente avanzare verso un cumulo di stracci colorati
Maria Paola Forlani
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