Umberto Boccioni (1882-1916)
Genio e Memoria
Nel primo
centenario della morte di Umberto Boccioni (1882-1916),
il Comune di
Milano celebra l’artista con una grande mostra a cura di Francesca Rossi con
Agostino Contò che ne evidenzia, alla luce anche di documenti inediti, il
percorso artistico e la levatura internazionale, presentando circa 280 opere
tra disegni, dipinti, sculture, incisioni, fotografie d’epoca, libri, riviste e
documenti.
Frutto di un
progetto di ricerca curato dal Gabinetto dei Disegni della Soprintendenza del
Castello Sforzesco. Umberto Boccioni
(1882-1916). Genio e Memoria è una mostra promossa da Castello Sforzesco,
Museo del Novecento e Palazzo Reale.
Umberto
Boccioni nasce all’insegna del nomadismo; vede la luce – infatti – lui, di
famiglia originaria di Romagna – a Reggio Calabria, il 19 ottobre 1882; il
padre è un modesto funzionario di prefettura e gira l’Italia in continuazione,
tirandosi dietro la famiglia, la moglie Cecilia Forlani e i due figli. Così,
nel 1888 troviamo i Boccioni a Padova e nel 1897 a Catania, dove Umberto prende
il diploma presso il locale istituto tecnico. Ma comincia a manifestare
interessi artistici e il padre lo manda a Roma, presso un parente, iscrivendolo
ai corsi di un mediocre pittore di cartelloni pubblicitari. Fortunatamente, il
giovane Boccioni, da solo sceglie un maestro ben più credibile, e utile in
senso artistico, Giacomo Balla, di undici anni più anziano di lui e immigrato a
Roma da Torino fin dal 1895. Presso Balla Boccioni conosce e incontra il suo
primo amico d’arte e di pensiero, Gino Severini.
L’incontro
con Balla e l’ambiente della pittura romana avviene nel 1901; del 1903 è il
primo quadro datato di Boccioni, Campagna
romana,
del quale l’influenza del Divisionismo del maestro è piuttosto
evidente. Poi, per motivi che non sono mai stati ben chiariti, il sodalizio si
incrina, Boccioni lascia Roma e nell’aprile del 1906 va a Parigi, dove si ferma
fino all’agosto, e quindi va addirittura in Russia e ci resta fino al mese di
novembre. Al ritorno si stabilisce a Padova, con la madre e la sorella (il
padre li aveva abbandonati da tempo). Da Padova si iscrive all’Accademia di
Bell Arti di Venezia; studia molto, disegna, comincia a incidere, ma non è
soddisfatto.
“Cerco,
cerco, ma non trovo…” scrive nel diario. Decide di recarsi di nuovo in Russia,
ma si ferma a Monaco, dove si sta sviluppando l’importante stagione della Secessione
e la cultura è pienamente simbolista.
Alla fine
del 1907, decide di andar di nuovo a Milano, questa volta e qui, nella città
allora più ricca e agiata d’Italia, Boccioni trova finalmente un punto fermo
per l’arte e per la vita.
A Milano il
ritmo è dato dall’industria, dai commerci, la città intera è un cantiere e
un’officina. Sul piano culturale, accanto agli esangui cantori della borghesia
e agli illustratori, operano due personalità di ben altra tempra, il pittore
Gaetano Previati e il poeta-romanziere- giornalista Filippo Tommaso Marinetti. Con la sicurezza del rabdomante Boccioni si
avvicina a questi due personaggi: da Previati assimilerà il colorismo audace, estrema
declinazione del Divisionismo di Segantini e di Pelizza da Volpedo; da
Marinetti – che dirige e redige la rivista Poesia
– aggiornerà la sua cultura letteraria, artistica, filosofica.
Nel febbraio
del 1910 su Poesia esce il Manifesto dei pittori futuristi, firmato
da Balla, Boccioni, Carrà, Russolo, Severini.
Per meglio
chiarire l’aspetto figurativo del Manifesto,
nell’aprile dello stesso anno esce il Manifesto
tecnico della pittura futurista, firmato da Boccioni, Carrà, Balla,
Severini, Russolo, nel quale si precisano forme e contenuti dell’arte del
futuro.
In Boccioni
i risultati di questa rivoluzione pittorica si colgono a pieno nella
Città che sale, il capolavoro del 1910, vero
manifesto delle sue convinzioni.
Il 1911 è
intensissimo per Boccioni e per il gruppo futurista, fondamentale di quell’anno
è il viaggio a Parigi, su invito di Severini, che spinge il gruppo a vedere dal
vero le novità cubiste.
I futuristi
vengono invitati a una mostra da tenersi presso la Galleria Bernheim di Parigi;
in seguito , per il successo, verrà richiesta in molte altre capitali europee.
In
quell’anno cruciale, Boccioni ha il tempo di dipingere alcuni tra i suoi
massimi capolavori e di iniziare a scolpire.
L’11 aprile infatti aveva
pubblicato il Manifesto tecnico della
scultura futurista, veramente rivoluzionario per concezioni e aperture
sul
futuro. Ma il 1914 è l’anno della
guerra: l’assassinio dell’arciduca Ferdinando a Sarajevo apre il conflitto,
l’Italia per il momento è neutrale ma l’Europa intera è in fiamme. I futuristi
sono per l’intervento, in omaggio alle convinzioni tanto rumorosamente
proclamate nel Manifesto del 1909
(“guerra sola igene del mondo”). Ma dovranno attendere fino al 24 maggio del
1915 per l’ingresso italiano nel conflitto; nel luglio dello stesso anno
Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant’Elia si arruolano nel Battaglione Volontari
Ciclisti.
Il soldato
Boccioni viene inviato a Verona e nelle brevi licenze riesce a organizzare
altre serate futuriste e dipingere. Ma le opere ultime sono diverse da quelle
di solo un anno prima e segnano un ritorno all’immagine.
Non avrà il
tempo di evolvere questo suo nuovo mondo e ricerca: il 17 agosto del 1916
Boccioni cade da cavallo e muore per ferite riportate.
La mostra si
apre e si chiude con l’Autoritratto (1907-1908)
di Boccioni che sembra sorvegliare l’intero percorso espositivo che si sviluppa
in ordine cronologico e per nuclei tematici.
Esplicite sono le fasi di
formazione dell’artista, nei riferimenti al divisionismo, simbolismo e
espressionismo, attenzione al Rinascimento e al barocco, tutte radici dell’arte
contemporanea. I disegni preparatori e i documenti esposti confermano la grande
attenzione del giovane pittore per l’opera di Dürer, Balla, Segantini, Previati e
Fornara.
Ai limiti
tra realtà e sogno-incubo, Boccioni supera ogni concezione dell’arte come bellezza
ed esprime una concezione della vita intesa come ansia, come urto e incubo.
Boccioni
porta nel Futurismo una nota che è tutta sua, la nota di una malinconia
esistenziale, di una gravità che lo rendono il più dialettico e complesso degli
artisti del gruppo. Nel 1908, quando ancora si dibatteva tra suggestioni del
divisionismo e le tentazioni del Simbolismo, Boccioni scriveva: “ Sono per
tutto ciò che grandioso, sinfonico, sintetico, astratto…Non posso chiudere
senza una preghiera all’ignoto…”
Maria Paola
Forlani