La Grande Arte dei Guggenheim
Da
Kandinsky
A
Pollock
Fino al 24
luglio 2016 Palazzo Strozzi ospita una grande mostra che porta a Firenze oltre
100 opere d’arte europea e americana realizzate tra gli anni venti e gli anni
sessanta del Novecento, in un percorso che ricostruisce rapporti e relazioni
tra le due sponde dell’Oceano, nel segno delle figure dei collezionisti
americani Paggy Guggenheim e Solomon R. Guggenheim.
Curata da
Luca Massimo Barbero, la mostra “ La grande Arte dei Guggenheim. Da Kandinsky a
Pollock”, nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Palazzo Strozzi e la
Fondazione Salomon R. Guggenheim di New York e mette in scena uno straordinario
e inedito confronto tra le collezioni di Solomon e Peggy, zio e nipote, in un
percorso che si snoda tra le più grandi figure della storia dell’arte del XX
secolo. Partendo da grandi artisti come Kandinsky,
Duchamp, Max Ernest, la mostra si focalizza poi
sull’arte del dopoguerra a cavallo tra Europa e America, con i cosiddetti
informali europei quali Alberto
Burri, Emilio Vedova, Jean Dubuffet, Lucio Fontana, e
alcune delle maggiori personalità dell’arte americana tra gli anni quaranta e
sessanta, tra cui spiccano Jackson
Pollock, Mark Rothko; Alexander Calder, Willem de Kooning, Robert Motherwell,
Roy Lichtenstein,
Cy
Twombly.
Realizzare questa eccezionale rassegna a Firenze vuol
dire inoltre celebrare un legame speciale che riporta indietro nel tempo. È proprio a Palazzo Strozzi,
infatti, che nel febbraio 1949 Peggy Guggenheim, da poco tornata in Europa,
decide di presentare la collezione che poi troverà a Venezia la definitiva
collocazione.
La mostra testimonia l’importanza delle due collezioni,
confermando Peggy e Solomon Guggenheim quali figure portanti della storia
dell’arte del XX secolo. Da un lato Solomon Robert Guggenehim (1861-1949),
sotto la guida della baronessa e pittrice tedesca Hilla Rebay, che sarà poi la
prima direttrice del Guggenheim di New York, fonda nel 1939 il “Museum of
Non-Objective Painting”, basato sull’idea purista dell’astrazione come assenza
di figura, e sull’arte di Vasily Kandinsky in particolare, affidando quattro
anni dopo all’innovativo e visionario architetto Frank Lloyd Wright il progetto
di costruzione del celebre museo che aprì nel 1959.
Dall’altro lato Paggy
(1898-1979) sembra invece connotarsi secondo una scelta più “trasgressiva”,
aperta, e trasversale. Si avvicina all’arte contemporanea quando aveva quasi
quarant’anni, e attraverso i consigli del grande storico e critico Herbert
Read, nonché di amici come Marchel Duchamp, Howard Putzel, e Nellie van
Doesburg, si orienta verso le avanguardie astratte, arrivando ad includere
nella sua collezione opere dell’Espressionismo astratto americano, di artisti
come Jackon Pollok e Robert Motherwell, che espone a New York, durante la breve
ma intensa e feconda stagione della sua galleria Art of This Century
(1942-1947), che precede la nascita del suo museo a Venezia nel 1951.
Con la morte di Solomon nel 1949, il museo newyorkese acquisisce
il suo nome, e sotto la nuova direzione di James Johnson Sweeney apre a
correnti dell’avanguardia oltre l’astrazione, e in particolar modo all’arte
europea e americana del secondo dopoguerra, ponendosi come museo d’arte moderna
e contemporanea ad ampio raggio.
La mostra è suddivisa in nove sale: la Prima presenta i
due grandi collezionisti della famiglia Guggenheim: da un lato Paggy e la sua
galleria-museo Art of This Century, dall’altro Solomon con il museo Guggenheim
di New York.
La seconda sala approfondisce l’esperienza collezionistica di Peggy e la sua passione per il surrealismo, la terza è dedicata a Jackson Pollok e alla sua avventura artistica, mentre le sale 4 e 5 sono dedicate all’espressionismo astratto di de Kooning e alle esperienze artistiche che in quegli anni maturano in Europa.
Una saletta attigua accoglie oggetti amati da Peggy, tra cui quattro sculture realizzate da Laurence Vail, primo marito della mecenate e le “scatole” di Joseph Cornell, ricostruendo una magica Wunderkammer.
La sala 6 è dedicata alla pittura Color-Field e alla Post Painterly Abstraction e ai mobiles di Calder.
La sala 7 è dedicata interamente a Rothko,
di cui Peggy riconobbe sin da subito le potenzialità, mentre conclude la mostra l’ambiente riservato alle ricerche artistiche degli anni ’ 60 in Europa e negli Stati Uniti: Preparativi, del 1968, un’opera di grandi dimensioni di Roy Lichtenstein, chiude il cerchio dell’avventura collezionistica della famiglia Guggenheim.
Come stimare l’importanza di Peggy Guggenheim per Jackson
Pollock?
Riprendendo l’aforisma di Voltaire, se Peggy non fosse
esistita (per Pollock) si sarebbe con ogni probabilità dovuto inventarla.
Secondo Peggy, Pollock è stato la figura centrale dell’attività della sua
galleria-museo newyorkese Art of This Century e a lanciarne la carriera, fu uno
dei suoi massimi risultati.
Jackson Pollock fu il rappresentante più emblematico
dell’Action Painting, grazie soprattutto al sostegno della sua mecenate,
diviene in pochi anni uno dei maggiori artisti americani, quasi un mito, come
sancì un articolo su “Life” del 1949. Pollok, che aveva lavorato come factotum
nel museo di Solomon, ottenne nel 1943 da Peggy un contratto che gli permise di
dedicarsi pienamente alla carriera artistica.
La straordinaria raccolta di opere esposte ora alla
mostra di Palazzo Strozzi
ricostruisce il percorso cronologico dal 1942 al 1951,
dagli esordi in cui si avverte l’influenza di Picasso e del Surrealismo (La
donna luna, 1942, e Due,
1943-1945), alle opere realizzate con la tecnica del
dripping, che consiste nel far gocciolare il colore su una tela posta in
orizzontale. In questa fase matura Pollock si ispirò anche a gesti rituali e
corografici memori dei riti magico-propiziatori praticati dai Nativi americani
(Foresta incantata, 1947,
Senza titolo (Argento verde), 1949
circa, Numero 18, 1950).
Questi lavori si presentano come un intreccio vitale di
linee e macchie colorate che supera i confini della tela e con un’apparente
assenza di organizzazione razionale.
La sua opera rivoluzionerà l’arte del secondo dopo
guerra, diffondendosi celermente anche grazie a Peggy, che continuò a
promuoverlo con mostre in Europa (1948 e 1950) e donazioni a musei
internazionali.
Maria Paola Forlani
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