giovedì 10 marzo 2016

CoBrA

COBRA

Una grande avanguardia europea
1948 – 1951
Fino al 3 aprile 2016 Fondazione Roma Museo-Palazzo Cipolla dedica una esposizione all’insieme del gruppo CoBrA (1948-1951) – acronimo formato dalle lettere iniziali delle capitali dei pasi di provenienza degli artisti: Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam – la prima grande avanguardia di respiro internazionale del secondo dopoguerra, sottolineando, attraverso una approfondita messa a fuoco storico-critica, la straordinaria vocazione europea transnazionale del movimento.
CoBrA. Una grande avanguardia europea (1948-1951) è il titolo della mostra, promossa dalla Fondazione Roma e organizzata dalla Fondazione Roma-Arte-Musei in collaborazione con la Die Galerie di Francoforte. A cura di Damiano Femfert e Francesco Poli, la rassegna offre un’ampia e accurata raccolta di dipinti, sculture, lavori su carta, pubblicazioni, documenti e foto, testimoniando l’attività dei maggiori esponenti del movimento, tra cui Jorn, Pedersen, Dotremont, Appel, Lucebert, Corneille, Alechinsky, Gӧtz, Constant.

Centocinquanta  sono le opere in mostra, provenienti dai principali musei europei e dalla collezione privata e archivio Pierre Alechinsky, ultimo esponente vivente del movimento insieme a Karl Otto Gӧtz.
“Une peinture n’est pas une construction de couleur et de lignes, mais un animal, une nuit, un homme, ou tout celà ensemble”.
Questa dichiarazione, contenuta nel manifesto del gruppo Cobra, firmato dal poeta belga Christian Dotremont nel 1948 (autore, tra l’altro, dei noti Logogrammes) , sembra voler rovesciare completamente, a distanza di cinquanttotto anni, la dichiarazione di Maurice Denis: << Ricordarsi che un quadro, prima di essere un cavallo di battaglia, o una donna nuda o un qualsiasi aneddoto, è essenzialmente una superficie piana coperta di colori organizzati secondo un certo ordine>>.

Con Denis si apriva, infatti, la via alla pittura moderna, intesa come ricerca autonoma, analizzata nella propria indipendente specificità.
Con la dichiarazione dei Cobra si prese atto del fatto che la pittura si è trasformata, in modo diverso che non con l’Action Painting, in azione, e, in certo senso, di nuovo in <<rappresentazione>>; con la differenza che la nuova <<rappresentazione>> (dopo l’esperienza espressionista e surrealista) non è più rappresentativa della realtà come appare, ma di una realtà interiore, di quella realtà che si evidenzia negli incubi personali (<<un animal, une nuit>>) o anche nell’uomo come soggetto – e insieme come oggetto – dei suoi fantasmi (<<un homme, ou tout celà ensemble>>). Un uomo che trova nella violenza del gesto, nella libertà sfrenata del colore, nel recupero di una felicità creativa e fantastica, una sorta di ironica, lucida e insieme <<visionaria>>, catarsi.
<<Ogni atto
 di immaginazione è un atto magico, una presa di possesso dell’oggetto desiderato>>, dirà Jorn. E sarà nel colore che gli esponenti di Cobra individueranno lo strumento di questo atto immaginativo. Non dimentichiamo che nello stesso manifesto del gruppo si dichiarerà anche: << l’acte de création, en lui-meme, a  beaucoup plus d’importance que l’objet créé, et ce dernier gagne en signification dans la mesure où il porte les traces d’un laboeur qui l’a engendré>>, dando, appunto rilievo ad una rinnovata forza creativa.

Cobra si opponeva al razionalismo astratto-geometrico, al funzionalismo architettonico, al realismo socialista, allo psicologismo freudiano del Surrealismo; ma del Surrealismo recuperava, peraltro, l’istintualità gestuale promuovendo l’implicazione del corpo nell’atto del dipingere, l’automatismo fisico. E recuperava soprattutto del Surrealismo, il concetto di impegno sociale e rivoluzionario dell’artista.
<<È impossibile conoscere il desiderio se non soddisfacendolo, e la soddisfazione del nostro desiderio elementare è la rivoluzione>> scriveva Constant nel IV fascicolo della rivista <<Cobra>> nel 1949, in un articolo dal titolo <<C’est notre désir qui fait la révolution>>).

Cobra puntava sulla libertà dell’istinto, sull’emotività profonda di un nuovo romanticismo. <<Riempiamo la tela vergine di Mondrian>> dichiarava Constant
<<anche se dovremo metterci le nostre infelicità>>.

Il concetto di “libera sperimentazione” e di hazard, nonché il recupero della tradizione artistica popolare e artigianale (inserita nella mitologia nordica), insieme alla polemica con la definizione del Surrealismo come automatismo psichico puro, la critica e l’opposizione alle correnti razionalistiche di tipo purista e neo-costruttivista del tempo e all’architettura funzionale, sono a loro volta l’esito di ideologie perseguite dai tre diversi gruppi confluiti nel 1948 in Cobra: <<il gruppo danese>> (astratto surrealista) <<Horst, il gruppo belga, Surreéalisme-Révoluctionnaire>>
(composto soprattutto di scrittori), <<il gruppo olandese Reflex>>. Riuniti a Parigi durante un convegno internazionale degli artisti nel Café de l’Hotel Notre Dame, decisero di staccarsi dal <<soffocante estetismo e intellettualismo parigino e di fondare un movimento di “nordici”, di “barbari”.


I Cobra riusciranno a riunire la gestualità esplosiva dell’Art autre, la sua drammatica matericità, ad un riferimento dichiaratamente figurativo e antropomorfo; nel clima informale, d’altronde, già artisti come Fautrier e Dubuffet in Francia e, in seguito, come Antes e Saura ( e come Gorky e De Kooning, in clima preinformale, negli Stati Uniti), si erano tenuti, per molti aspetti, legati a chiari riferimenti antropomorfi in termini di formatività figurale elementare.


Gli esponenti del gruppo Cobra, diverrà poi, per se stesso, significante ed emblematico, riferito al motivo serpentino della spirale della loro provenienza che diede il nome al movimento. Essi faranno tesoro della cultura autoctona, della provenienza nazionale e, su queste basi, <<citazionisti>> avant-lettre, si riferiranno all’Espressionismo storico, che tradurranno, peraltro, in pura, scatenata gestualità, in un disprezzo assoluto della forma, privilegiando invece l’espressione vibrante del colore usato in stratificazioni spesse, materiche ciò non toglie che non attingessero, in realtà, ad una soluzione <<formale>> carica di una sua interiore <<progettualità>>.


Situando l’arte ad un livello pre-linguistico e pre-tecnico si riduce, dunque, l’attività dell’artista al gesto, l’opera alla materia non formata, ma tuttavia animata e significante. L’arte non ha più rapporto con la società, le sue tecniche, il suo linguaggio; è regressione dall’oggetto, esistenza allo stato puro, e poiché l’esistenza pura è l’unità o l’indistinzione di tutto ciò che esiste, nella materia l’artista realizza la propria realtà.



Maria Paola Forlani

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