COBRA
Una
grande avanguardia europea
1948
– 1951
Fino al 3 aprile 2016 Fondazione Roma Museo-Palazzo
Cipolla dedica una esposizione all’insieme del gruppo CoBrA (1948-1951) –
acronimo formato dalle lettere iniziali delle capitali dei pasi di provenienza
degli artisti: Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam – la prima grande avanguardia
di respiro internazionale del secondo dopoguerra, sottolineando, attraverso una
approfondita messa a fuoco storico-critica, la straordinaria vocazione europea
transnazionale del movimento.
CoBrA. Una grande avanguardia europea (1948-1951) è il
titolo della mostra, promossa dalla Fondazione Roma e organizzata dalla
Fondazione Roma-Arte-Musei in collaborazione con la Die Galerie di Francoforte.
A cura di Damiano Femfert e Francesco Poli, la rassegna offre un’ampia e
accurata raccolta di dipinti, sculture, lavori su carta, pubblicazioni,
documenti e foto, testimoniando l’attività dei maggiori esponenti del
movimento, tra cui Jorn, Pedersen, Dotremont, Appel, Lucebert, Corneille,
Alechinsky, Gӧtz,
Constant.
Centocinquanta
sono le opere in mostra, provenienti dai principali musei europei e
dalla collezione privata e archivio Pierre Alechinsky, ultimo esponente vivente
del movimento insieme a Karl Otto Gӧtz.
“Une peinture n’est pas une construction de couleur et de
lignes, mais un animal, une nuit, un homme, ou tout celà ensemble”.
Questa dichiarazione, contenuta nel manifesto del gruppo
Cobra, firmato dal poeta belga Christian Dotremont nel 1948 (autore, tra
l’altro, dei noti Logogrammes) , sembra
voler rovesciare completamente, a distanza di cinquanttotto anni, la
dichiarazione di Maurice Denis: << Ricordarsi che un quadro, prima di
essere un cavallo di battaglia, o una donna nuda o un qualsiasi aneddoto, è
essenzialmente una superficie piana coperta di colori organizzati secondo un
certo ordine>>.
Con Denis si apriva, infatti, la via alla pittura
moderna, intesa come ricerca autonoma, analizzata nella propria indipendente
specificità.
Con la dichiarazione dei Cobra si prese atto del fatto
che la pittura si è trasformata, in modo diverso che non con l’Action Painting,
in azione, e, in certo senso, di nuovo in <<rappresentazione>>; con
la differenza che la nuova <<rappresentazione>> (dopo l’esperienza
espressionista e surrealista) non è più rappresentativa della realtà come
appare, ma di una realtà interiore, di quella realtà che si evidenzia negli
incubi personali (<<un animal, une nuit>>) o anche nell’uomo come
soggetto – e insieme come oggetto – dei suoi fantasmi (<<un homme, ou
tout celà ensemble>>). Un uomo che trova nella violenza del gesto, nella
libertà sfrenata del colore, nel recupero di una felicità creativa e
fantastica, una sorta di ironica, lucida e insieme <<visionaria>>,
catarsi.
<<Ogni atto
di immaginazione è un atto magico, una
presa di possesso dell’oggetto desiderato>>, dirà Jorn. E sarà nel colore
che gli esponenti di Cobra individueranno lo strumento di questo atto
immaginativo. Non dimentichiamo che nello stesso manifesto del gruppo si
dichiarerà anche: << l’acte de création, en lui-meme, a beaucoup plus d’importance que l’objet créé,
et ce dernier gagne en signification dans la mesure où il porte les traces d’un
laboeur qui l’a engendré>>, dando, appunto rilievo ad una rinnovata forza
creativa.
Cobra si opponeva al razionalismo astratto-geometrico, al
funzionalismo architettonico, al realismo socialista, allo psicologismo
freudiano del Surrealismo; ma del Surrealismo recuperava, peraltro,
l’istintualità gestuale promuovendo l’implicazione del corpo nell’atto del
dipingere, l’automatismo fisico. E recuperava soprattutto del Surrealismo, il
concetto di impegno sociale e rivoluzionario dell’artista.
<<È
impossibile conoscere il desiderio se non soddisfacendolo, e la soddisfazione
del nostro desiderio elementare è la rivoluzione>> scriveva Constant nel
IV fascicolo della rivista <<Cobra>> nel 1949, in un articolo dal
titolo <<C’est notre désir qui fait la révolution>>).
Cobra puntava sulla libertà dell’istinto, sull’emotività
profonda di un nuovo romanticismo. <<Riempiamo la tela vergine di
Mondrian>> dichiarava Constant
<<anche se dovremo metterci le nostre
infelicità>>.
Il concetto di “libera sperimentazione” e di hazard, nonché il recupero della
tradizione artistica popolare e artigianale (inserita nella mitologia nordica),
insieme alla polemica con la definizione del Surrealismo come automatismo
psichico puro, la critica e l’opposizione alle correnti razionalistiche di tipo
purista e neo-costruttivista del tempo e all’architettura funzionale, sono a
loro volta l’esito di ideologie perseguite dai tre diversi gruppi confluiti nel
1948 in Cobra: <<il gruppo danese>> (astratto surrealista) <<Horst, il gruppo belga, Surreéalisme-Révoluctionnaire>>
(composto soprattutto di scrittori), <<il gruppo
olandese Reflex>>. Riuniti a Parigi durante un convegno internazionale
degli artisti nel Café de l’Hotel Notre Dame, decisero di staccarsi dal
<<soffocante estetismo e intellettualismo parigino e di fondare un
movimento di “nordici”, di “barbari”.
I Cobra riusciranno a riunire la gestualità esplosiva
dell’Art autre, la sua drammatica matericità, ad un riferimento dichiaratamente
figurativo e antropomorfo; nel clima informale, d’altronde, già artisti come
Fautrier e Dubuffet in Francia e, in seguito, come Antes e Saura ( e come Gorky
e De Kooning, in clima preinformale, negli Stati Uniti), si erano tenuti, per
molti aspetti, legati a chiari riferimenti antropomorfi in termini di
formatività figurale elementare.
Gli esponenti del gruppo Cobra, diverrà poi, per se
stesso, significante ed emblematico, riferito al motivo serpentino della
spirale della loro provenienza che diede il nome al movimento. Essi faranno
tesoro della cultura autoctona, della provenienza nazionale e, su queste basi,
<<citazionisti>> avant-lettre, si riferiranno all’Espressionismo
storico, che tradurranno, peraltro, in pura, scatenata gestualità, in un
disprezzo assoluto della forma, privilegiando invece l’espressione vibrante del
colore usato in stratificazioni spesse, materiche ciò non toglie che non
attingessero, in realtà, ad una soluzione <<formale>> carica di una
sua interiore <<progettualità>>.
Situando l’arte ad un livello pre-linguistico e pre-tecnico
si riduce, dunque, l’attività dell’artista al gesto, l’opera alla materia non
formata, ma tuttavia animata e significante. L’arte non ha più rapporto con la
società, le sue tecniche, il suo linguaggio; è regressione dall’oggetto,
esistenza allo stato puro, e poiché l’esistenza pura è l’unità o
l’indistinzione di tutto ciò che esiste, nella materia l’artista realizza la
propria realtà.
Maria Paola Forlani
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