“Fece
di scoltura di legame e colorì”
La
scultura del Quattrocento
in legno dipinto a Firenze
La Galleria delle statue e delle Pitture degli Uffizi
ospita fino al 28 agosto 2016 un’esposizione temporanea che propone per la
prima volta al pubblico, attraverso un nucleo di circa cinquanta opere, la
scultura in legno dipinto del Quattrocento fiorentino, un tema studiato con
passione da Margrit Lisner e Alessandro Parronchi (a cui l’evento è stato
dedicato), ma ancora di nicchia e noto quasi solo agli addetti ai lavori,
seppure costellato di opere di grande valore artistico (catalogo Giunti).
Nella Firenze del Quattrocento la scultura dipinta, in
linea col primato artistico della scultura, costituiva un imprescindibile
modello espressivo per tutti gli artisti. In particolare, il tema del corpo
sofferente sulla croce, modellato con un nuovo sentito naturalismo nei
crocefissi di Donatello e Brunelleschi, fu oggetto di riferimento
per l’attività delle generazioni successive di artisti.
Accanto alla qualificata produzione di crocifissi, si
intagliarono anche statue della Madonna, di santi e santi eremiti dai corpi
tormentati o preservati dal dolore, busti-ritratto, statue al centro di
politici misti e statue per l’arredo liturgico.
Donatello e Brunelleschi dipingevano, presumibilmente,
oltre che modellare le loro opere, poiché la policromia costituiva insieme
all’intaglio un elemento essenziale per il raggiungimento di quel naturalismo
integrale che perseguivano nelle loro opere. Tra questi capolavori vanno ricordati
i superbi Crocifissi di Santa Maria Novella e di Santa Croce.
Numerosi scultori invece per dipingere le loro opere si
rivolgevano ai pittori.
Neri
di Bicci, che aveva a Firenze una bottega avviata in via Porta
Rossa, fu uno tra i pittori più richiesti per lo scopo: dipinse busti
intagliati da Desiderio da Settignano e crocefissi da Benedetto da Maiano; con
un monaco-scultore, don Romualdo da Candeli, il pittore intrattenne un rapporto
di stretta collaborazione, descritto nelle sue ‘Ricordanze’, ed
attestato dalla Maddalena
al Museo della Collegiata di Sant’Andrea a Empoli,
presente in mostra.
Proprio la ‘Maddalena’, in virtù di quella eseguita da
Donatello (Museo dell’Opera del Duomo, Firenze), costituì un tema prediletto
dagli scultori, come attestano in mostra l’avvenente Maddalena di Desiderio da Settignano dalla chiesa di Santa Trinita,
terminata da Giovanni d’Andrea, un
allievo del Verrocchio, e quella di
Francesco
da Sangallo del Museo diocesano di Santo
Stefano al Ponte.
Proprio la Maddalena
di Santa Trinita è un esempio di quel polimaterismo che, adottato da
Donatello per la sua Maddalena, venne
poi recuperato, nei suoi valori tecnico – espressivi, da Pollaiolo e da
Verrocchio: la statua, ricorda
Vasari come “bella quanto più dir si possa”, non è infatti eseguita
esclusivamente in legno, poiché ricavata da un tronco di salice, ma con la parte
posteriore in sughero e i capelli modellati in gesso.
La mostra illustra inoltre come nell’ultimo quarto del
Quattrocento alcune grandi botteghe a conduzione familiare, sollecitate dalle
richieste del mercato artistico, si fossero specializzate nella realizzazione
di crocifissi e non solo per le chiese, bensì destinati anche alla devozione
privata e conventuale. Tale produzione fu predominante tra gli esponenti della
più alta tradizione dell’intaglio ligneo fiorentino: i fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano, i Sangallo
– Giuliano, Antonio il Verrocchio e Francesco
-, i Del Tasso – Francesco e Leonardo – e Baccio da Montelupo. In mostra si segnalano in particolare per
qualità il Crocefisso della SS.
Annunziata di Giuliano da Sangallo, quello del Museo Civico di San Gimignano di Benedetto da Maiano dipinto dal
pittore Cosimo Rosselli e
l’esemplare del Convento di San Marco di
Baccio da Montelupo, già appartenuto al Savonarola.
Il Tondo Doni, che
fa parte del circuito della mostra, è uno fra i più famosi episodi di
collaborazione tra pittore, Michelangelo, e un esponente della più alta
tradizione dell’intaglio ligneo fiorentino, Francesco del Tasso, che eseguì la
cornice con grottesche, fantasiosi racemi e protomi umane, quasi sicuramente su
disegno dello stesso Michelangelo.
Un’altra occasione di stretta collaborazione tra pittori
e scultori scaturiva dalla realizzazione dei polittici misti: grandi altari con
al centro una statua di legno e pannelli laterali dipinti. La bellezza di
queste scenografiche composizioni, che spiccavano nello spazio liturgico, è
attestata in mostra dal Sant’Antonio
Abate
(Museo Nazionale di Villa Guinigi, Lucca), parte centrale
dello smembrato polittico Bernardi e opera di Benedetto da Maiano,
originariamente affiancata da due tavole di Filippino Lippi raffiguranti
ciascuna due santi (oggi al Norton Simon Museum di Passadena) e del Tabernacolo (Sant’Ambrogio, Firenze)
intagliato da Leonardo Tasso e dipinto dallo stesso Filippino Lippi.
In questo racconto della scultura in legno dipinta si dà
conto anche delle presenze ‘straniere’ a Firenze. Nel 1457 è documentato in
città il misterioso scultore
Giovanni
Teutonico, un artista itinerante – autore in
città di alcuni lavori tra i quali il
Crocifisso,
in mostra, della chiesa di Sant’Jacopo Soprano -, che
veicolò esperienze d’oltralpe in Italia, nel segno di un naturalismo volto a
una cruda, teatrale, resa espressiva del dramma umano, diverso da quello
donatelliano, comunque ispirato ad una veridica, condivisa umanità. Presente in
mostra anche il San Rocco della
Santissima Annunziata di Veit Stoss, un
altro apprezzato scultore d’oltralpe che venne salutato da Vasari come
<<miracolo di legno (…) senza alcuna coperta di colore>>. Nel
pensiero classicista cinquecentesco, la scultura lignea era infatti chiamata a
esibire il materiale e non più ricoprirlo con la policromia.
Tra gli itinerari nelle chiese fiorentine, alla ricerca
di famose sculture lignee,
come non rimanere
affascinati dal Crocifisso in legno
di tiglio
eseguito per la chiesa di Santo Spirito dal
giovane Michelangelo, poco dopo la morte di Lorenzo il Magnifico. Con i vari
passaggi e spostamenti, in tempi travagliati, dell’opera non se ne conservò più
l’identità. Si deve all’intuito di Margrit Lisner il suo definitivo
riconoscimento (1964) che, nei primi tempi ebbe qualche tenace oppositore, ma
che ora trova consenso unanime tra gli studiosi.
Il giovane artista, all’interno di Santo Spirito, avrebbe,
dunque, eseguito la sua prima opera pubblica, il Crocifisso, in cui egli sembra evocare la perfezione fisica
dell’uomo Dio attraverso la bellezza armonica delle proporzioni e il chiarore
dell’incarnato, concetti neoplatonici ripresi da sant’Agostino, che nei suoi
scritti aveva manifestato una crescente devozione al Cristo e al Cristo
crocifisso di cui lodava la bellezza intesa come regolarità e la luminosità, in
quanto caratteri specifici e visibili della sua divinità.
Maria Paola Forlani
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