Guercino
Tra sacro e profano
Giovan
Francesco Barbieri (Cento di Ferrara, 1591 – Bologna, 1666), detto, a causa di
una menomazione all’occhio destro subita in età infantile, il Guercino.
Allievo di
Ludovico Carracci, ma sensibile anche alla pittura ferrarese e, soprattutto, a
quella veneta, rivela, fin dalle opere giovanili, un’attenzione peculiare agli
impasti cromatici, anzi alla <<macchia>>, e agli effetti
luministici, come per esempio in Paesaggio
al chiaro di luna o nel Figliol
prodigo di Vienna.
Per
l’importanza della luce si sono talvolta tentati degli accostamenti a
Caravaggio; ma le somiglianze sono solo apparenti, perché il luminoso
caravaggesco blocca l’immagine dandole evidenza drammatica, quello guercinesco
invece è mobile e magico.
La questione
del Guercino si era riproposta in chiusura dell’Officina Ferrarese di Longhi. Ed era stata, quella, clausola
avventurosa, letterariamente molto evocativa e però di quella letteratura
figurativa e ottica che ben conosciamo tra le mani dello scrittore, in grado di
provocare e di sommuovere strati sepolti di valore largamente poetico e storico
nel momento in cui definisce per verba quell’evento oggettivo che è l’opera d’arte: << La famosa gran macchia del Guercino si svela, per
buon tratto, della stessa ascendenza [quella del Dosso]. Al paragone dei togati Carracci
nella volta farnesina, l’Aurora Ludovisi
è di nuovo un tornante soffitto estense; dorme la Notte arcando, in sogno,
prodigi come l’ultima chiromante del Dosso, e per l’arco diroccato, prediletto
fin dai tempi di Ercole e del Cossa, trascorre il soffio scottante della
vecchia Ferrara>>.
A Piacenza,
fino al 4 giugno 2017, si celebra il Guercino in occasione dell’anniversario
dei lavori da lui compiuti in città fra il 1625 e il 1627 con due grandi
eventi. Una mostra nella Cappella ducale di Palazzo Farnese, a cura di Daniele
Benati e Antonella Gigli (catalogo Skira), con circa venti capolavori del
maestro. E la nuova illuminazione degli affreschi nella cupola della
Cattedrale, che permette ai visitatori, saliti nel ventre dell’edificio
attraverso una serie di strette scale, di godere al meglio sei scomparti
affrescati dal Guercino con le immagini dei profeti Aggeo, Osea, Zaccaria,
Ezechiele, Michea, Geremia, assieme alle scene dell’infanzia di Gesù e le otto
Sibille. La visita è introdotta da una sala multimediale per leggere in modo
innovativo i capolavori del Guercino, anche attraverso visori 3D.
Gli
affreschi di Piacenza, eseguiti a buon
fresco fortemente ritoccato a tempera, differiscono molto dai precedenti
cicli decorativi. Lo stile maturo dell’autore, le influenze del soggiorno
romano e delle fonti locali, le esigenze della commissione, produssero esiti
diversi dai lavori Ludovisi, i Costagutti e i Lancellotti.
In ogni vela della cupola Guercino dipinse un profeta con gli angeli, sopra gli archi delle finestre, in basso, la storia della Natività di Cristo alternata a copie di Sibille. I collaboratori, sui disegni del maestro, completarono il tamburo della volta con serie di putti e cartigli.
Bisogna
riconoscere che nel favorire le fortune critiche di Guercino, gli estimatori stranieri
sono stati tra i più generosi e curiosi dell’opera del maestro.
Nel
Settecento, i più significativi riconoscimenti della grandezza del Guercino
vengono probabilmente da un ambito diverso da quello degli artisti e degli
specialisti d’arte, o da viaggiatori colti e curiosi. Per quanto grande
appassionato di arte, per quanto originale fonte di riflessione su di essa,
Goethe frequentava la materia come un colto dilettante del suo tempo. Eppure,
durante il suo leggendario viaggio in Italia, Goethe non manca di fare qualcosa
che gli artisti in tour di apprendimento e gli specialisti d’arte non avevano
ancora intrapreso: decide di fare tappa nella “piccola e graziosa città” di
Cento, il 17 ottobre del 1786, non certo perché era “ben costruita,
industriosa, pulita, in un’immensa e fertile pianura”, ma esclusivamente perché
è la Guercins Vatersatdt, il luogo natale del Guercino.
Il Guercino
di Goethe viene descritto come un pittore “civile”, significativamente
impegnato nella vita culturale, morale e materiale della propria comunità:
anche da questo punto di vista, un modello rispetto ad artisti limitati da una
concezione “mercenaria” del proprio interesse, se non addirittura un esempio
per lo stesso Goethe. Per farsi voler bene dai centesi, Guercino aveva comunque
lasciato in patria diversi capolavori che ne perpetuavano anche in senso
strettamente artistico il ricordo esemplare, come l’Apparizione di Cristo alla
Madonna (1629-30) per la Compagnia del Santissimo Nome di Dio, oggi alla
Pinacoteca Civica.
Goethe si
sofferma lucidamente sull’iconografia del dipinto, ancora piena di sincero
rispetto per il magistero classicista di Guido Reni, e sulla centralità del
Cristo, intuendo che, con la mano sinistra e la leggera inclinazione del corpo
verso quello rannicchiato della Madonna, determina l’innesto di un moto allo
stesso modo dinamico e sentimentale.
Infine
saltando il resto dell’Ottocento (quello degli specialisti, ma anche quello di
scrittori e poeti come Byron), il campo della letteratura critica del Novecento
è tutto occupato da Denis Mahon. In qualche modo egli risale
all’interpretazione goethiana del Guercino, alla sua lettura profeticamente
“storicistica”. Dobbiamo a Mahon, con la riconoscenza per la resurrezione di un
grande artista, la lucida intelligenza di aver liberato il Guercino dall’ “imbalsamazione” che lo aveva portato il trascorrere del
tempo.
Mahon ha
provveduto a fornirci non solo la traccia e la ricostruzione di un catalogo
affidabile delle opere dell’artista, per i dipinti come per i disegni, ma anche
la più attendibile interpretazione della sua poetica, grazie a studi che dagli
anni Trenta del secolo scorso sono proseguiti – e proseguono – fino ai nostri
giorni, di cui la mostra di Piacenza ne è un fulgido esempio e a Mahon è
dedicata.
Maria Paola
Forlani
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