XVI BIENNALE DI ARCHITETTURA 2018
Padiglione Italia
Cari
architetti, andate a quel paese: fuori città, suggerisce il Padiglione Italia
alla Biennale 2018, a vedere che cosa succede tra foreste, borghi e piccoli
centri, là dove terremoti, crisi economiche e spopolamento minacciano società e
cultura.
L’invito
viene da Mario Cucinella, architetto-curatore di questa edizione, che ha deciso
di spegnere i riflettori sui fenomeni macro-urbani e rilanciare l’altro lato
della penisola: l’Italia interna, pari al 5% della sua superficie.
Cucinella
non è l’unico, di questi tempi, a guardare oltre la città. <<The future
is in the countryside>> è l’ultimo slogan di Rem Koolhaas, che dopo aver
coltivato per decenni i deliri metropolitani sta lavorando a una grande mostra
sulle trasformazioni del mondo rurale. A Venezia, una prospettiva simile si
trova anche nel padiglione cinese, intitolato <<Building a Future
Countryside>>.
Arcipelago Italia – questo il titolo del padiglione –
comincia con un’indagine esplorativa che va dall’arco alpino alla dorsale
appenninica, con una puntata in Sardegna. Si incontrano esempi virtuosi,
esposti nella prima sala, su pannelli illuminati che sembrano enormi libri
aperti: una guida della provincia architettonica con indicati i rifugi eretti contro
speculazione, incuria e calamità. Piccoli atti, a volte banali a prima vista –
un parcheggio, una baita, una passarella pedonale – ma in realtà decisivi per
il territorio. Purtroppo sono eccezioni: <<in un contesto caratterizzato
dell’emergenza post-sisma e della necessità di ricostruire, si trovano
pochissime opere contemporanee di qualità.>>.
Il Viaggio in Italia di Cucinella rievoca
quello fatto da Guido Piovene in un paese sospeso tra costruzione e boom
economico, per volontà di scoprire le sfumature della realtà dietro alle
cartoline. Vengono in mente anche le indagini di Giuseppe Pagano (1936) e
Kidder Smith (1955) sull’architettura rurale, vista come possibile fonte di
insegnamento per i moderni progettisti. Nell’Arcipelago, tuttavia, non si cerca la lezione del passato, né si
possono separare tradizione e modernità in modo netto. Si rivela piuttosto un
patrimonio costruito e naturale risultato di terremoti e cattive politiche,
esodi e invecchiamento, ma anche del miracolo del web, dell’artigianato, di
inediti punti di vista.
Stella
polare di questa peregrinazione è l’esempio di Giancarlo De Carlo (1919-2005),
con cui Cuccinella si laureò nel 1987, uno dei primi a sperimentare la
partecipazione in architettura. Il curatore ha infatti creato dei collettivi
multidisciplinare, armati di <<ascolto attivo, gestione creativa dei
conflitti, dialogo e confronto>>, che hanno analizzato cinque
<<nervi scoperti>> dell’Arcipelago
e disegnato altrettanti progetti-manifesto, presentati su grandi e
avvolgenti tavoli di legno. Sono edifici <<ibridi>>, con
<<una qualità che si esprime come empatia con i contesti, senso della
misura e fattibilità>>: ciò che De Carlo avrebbe chiamato utopie
realistiche.
Nel Parco
delle Foreste Casentinesi si cerca di rappresentare la lavorazione del legno,
oggi delocalizzata. Si immaginano allora altre capanne in faggio lamellare,
capaci di ospitare funzioni diverse. A Camerino, devastata dal terremoto, si
pensa un modello per il futuro, replicabile altrove, con spazi di aggregazione scavati
nelle viscere del centro storico. In Basilicata, invece, le condizioni speciali
di Matera – popolazione ed economia in crescita – ispirano lo sviluppo
sostenibile dell’entroterra. In Barbagia, l’età avanzata della popolazione
stimola una concezione aggiornata dell’assistenza sanitaria, che l’architettura
è chiamata a mettere in forma. Il progetto più emblematico è forse quello per
la Valle del Belice, la cui ricostruzione, dopo il terremoto del 1968, è rimasta
incompleta nonostante il contributo di grandi artisti e architetti a Gibellina
Nuova. Simbolica è quindi la scelta di ripensare gli spazi del Teatro
incompiuto di Pietro Consagra, collegandoli a un nuovo parco agricolo.
Nell’escludere
la metropoli, Cucinella volta provocatoriamente le spalle a realtà come quella
milanese, che da anni monopolizza la cronaca nazionale. Se a Milano trionfano
musei e grattacieli di archistar straniere, il Padiglione Italia mette in scena
architetti a chilometro zero, e anzi ne diluisce il protagonismo nella molteplicità
delle competenze e delle responsabilità. Ma il vero problema non sono le star:
nell’Arcipelago galleggia infatti un <<messaggio in bottiglia>> che
chiede aiuto alla politica, troppo spesso assente nella difesa della qualità
architettonica tramite leggi e concorsi adeguati.
(Da Gabriele Neri---Sole 24 Ore)