Quando la Morte si fa bella
Il Trionfo della Morte
di Buonamico Bufalmacco
A scorrere
le foto che documentano i disastrosi effetti dello spezzone incendiario che nel
1944 colpì il Camposanto di Pisa, sembra impossibile che il Trionfo della Morte di Buonamico
Bulfamacco possa oggi essere ammirato nelle condizioni alle quali l’ha
riportato il ventennale intervento di restauro che si è appena concluso. In quel
luglio di oltre sett’antanni fa, infatti, le fiamme avvolsero il tetto del
monumento pisano, causando, in particolare, lo scioglimento del piombo
impiegato nelle coperture, che cominciò a colare sulle pitture.
A guerra
finita, quando si potè finalmente intervenire, si decise di procedere al
distacco degli affreschi, per poi restaurali. Ma i mezzi e le metodologie
allora disponibili erano distanti a rivelarsi non risolutivi e quella prima
operazione, di fatto, si trasformò nell’inizio di una vicenda che soltanto
adesso ha raggiunto una soluzione capace di garantire la conservazione dei
dipinti.
Il Trionfo della Morte appartiene al ciclo
che Buffalmacco – pittore fiorentino attivo nella prima metà del XIV secolo-
realizzò fra il 1336 e il 1341 e che comprende anche le Storie dei Santi Padri e il Giudizio
Universale con l’Inferno. La grandiosa composizione si trova all’estremità
orientale del braccio meridionale del Campo santo e fa parte del ricchissimo
apparato decorativo dell’edificio, al quale lavorarono alcuni fra i più insigni
maestri del XIV e XV secolo, come Francesco Traini, Taddeo Gaddi, Spinello
Aretino e Benozzo Gozzoli.
Un tripudio
di forme e colori voluto come contorno delle illustri sepolture che via via
trovarono posto all’interno del monumento. Una combinazione a cui, soprattutto
noi moderni, dobbiamo la difficoltà di percepire questo luogo straordinario
come un sepolcreto: superato l’ingresso, il Camposanto appare ai nostri occhi
come un museo dell’arte plastica e pittorica, per di più racchiuso in
un’architettura elegante e lineare al tempo stesso, capace di regalare, grazie
al suo sviluppo longitudinale, fughe e prospettive affascinanti.
Il Trionfo di Buffalmacco – che viene
ricollocato nella sua posizione originaria in questi giorni – si presenta come
un racconto scandito in più scene, ciascuna delle quali si rivela intrisa di
significati simbolici e allegorici attentamente studiati.
La prima
occupa la parte sinistra dell’affresco ed è senza dubbio quella di maggior
impatto: ne è protagonista un gruppo di giovani uomini e donne, vestiti con
abiti eleganti e ricercati, impegnato in una battuta di caccia. In sella ai
loro cavalli, si imbattono in tre bare scoperchiate, al cui interno vi sono
altrettanti cadaveri, in differente stato di decomposizione: il primo, che si
immagina deceduto da poco presenta il ventre ancora gonfio per gli effetti del
decesso; il cadavere del secondo ha invece perso gran parte della sua
consistenza: il terzo, infine, è ormai ridotto a solo scheletro.
La visione
sgomenta, atterrisce e suscita il ribrezzo dei giovani, contagiandone anche le
cavalcature: in particolare, il cavallo dell’uomo che si copre la bocca e il
naso per il fetore, è ritratto in una posa analoga, con il collo proteso, le
froge spalancate e il morso digrignato, in una smorfia di disgusto quasi umano
più che animale. Come detto gli abiti e gli accessori suggeriscono l’elevato
lignaggio del gruppo e la rappresentazione deve intendersi come un’allusione al
fatto che la morte non risparmia nessuno e che dunque, quando il momento verrà,
anche i ricchi e i nobili non potranno sottrarsi al proprio destino. Dal punto
di vista estetico, vale la pena sottolineare la cura con cui Buonamico ha reso
i dettagli della scena, come nel caso dei tessuti con cui risultano cuciti i
vestiti o della foggia dei diversi capi, che rispecchia le mode di allora più
in voga.
In questa
scena si è peraltro registrata una delle nuove acquisizioni scaturite
dall’intervento di restauro appena terminato, ovvero quella degli scorpioni sul
corpo di uno dei tre defunti. La loro presenza è stata rivelata dalla
ripulitura ed era rimasta a lungo sconosciuta, tanto che non compare nella
documentazione d’archivio dell’affresco. La presenza dei piccoli animali
rinforza verosimilmente la connotazione mortifera del dipinto, stante la
capacità di questi aracnidi di infliggere punture velenose con il proprio
pungiglione.
Nel settore
centrale, il Trionfo assume contorni
ancor più tetri e al tempo stesso grotteschi, poiché vediamo alcuni storpi e
mendicanti che chiedono sia posta fine alla loro esistenza terrena, come già è
avvenuto agli uomini e alle donne – Laici e religiosi – che giacciono davanti a
loro. Su tutti volteggiano demoni alati che contendono agli angeli le anime dei
trapassati. Ma, soprattutto, spicca la grande rappresentazione della Morte,
alla quale Buffalmacco assegna i connotati tipici della sua iconografia,
presentandola come una donna anziana, dallo sguardo torvo, che imbraccia una
grande falce.
Sulla
destra, infine, immerse nel verde rigoglioso di un magnifico giardino, alcune
giovani donne sono riunite in una serena conversazione, che sembra svolgersi
lontano dai crudi eventi delle scene vicine, di cui le ragazze appaiono ignare o
forse addirittura incuranti e che viene allietata dalle suonatrici che
compaiono all’estrema destra.
Qui, ancora
più che nella rappresentazione di caccia, si rileva la cura con cui l’artista
ha voluto definire ogni particolare della composizione, regalando
all’osservatore una vera e propria rassegna tessile, nella quale si succedono
stoffe riccamente decorate e che ricadono con morbidi panneggi sui corpi delle
ragazze. L’atmosfera risulta, nel suo insieme, quasi incantata, in un efficace
contrasto con il resto dell’affresco.
Di non
minore interesse è anche la porzione che occupa il quadrante superiore sinistro
del Trionfo, nel quale si vedono vari
monaci, assorti nella lettura e nella meditazione, ma anche, in un caso, nella
mungitura di una cerbiatta. In questo caso, si tratta verosimilmente di un
riferimento agli obblighi lavorativi che le Regole monastiche spesso
prevedevano, nel segno dell’ora et labora
di benedettina memoria.
E qui
sarebbe stato particolarmente interessante poter leggere quel che era stato
inserito sul foglio che il primo dei monaci spiega davanti al gruppo dei
cacciatori: in questo caso, però, nemmeno il nuovo restauro ha potuto recuperare
il disegno originario, fattosi illeggibile anche nel cartiglio retto dagli
storpi che invocano la morte.
Maria Paola
Forlani
Nessun commento:
Posta un commento