lunedì 11 giugno 2018

IL TRIONFO DELLA MORTE


Quando la Morte si fa bella

Il Trionfo della Morte di Buonamico Bufalmacco


A scorrere le foto che documentano i disastrosi effetti dello spezzone incendiario che nel 1944 colpì il Camposanto di Pisa, sembra impossibile che il Trionfo della Morte di Buonamico Bulfamacco possa oggi essere ammirato nelle condizioni alle quali l’ha riportato il ventennale intervento di restauro che si è appena concluso. In quel luglio di oltre sett’antanni fa, infatti, le fiamme avvolsero il tetto del monumento pisano, causando, in particolare, lo scioglimento del piombo impiegato nelle coperture, che cominciò a colare sulle pitture.

A guerra finita, quando si potè finalmente intervenire, si decise di procedere al distacco degli affreschi, per poi restaurali. Ma i mezzi e le metodologie allora disponibili erano distanti a rivelarsi non risolutivi e quella prima operazione, di fatto, si trasformò nell’inizio di una vicenda che soltanto adesso ha raggiunto una soluzione capace di garantire la conservazione dei dipinti.

Il Trionfo della Morte appartiene al ciclo che Buffalmacco – pittore fiorentino attivo nella prima metà del XIV secolo- realizzò fra il 1336 e il 1341 e che comprende anche le Storie dei Santi Padri e il Giudizio Universale con l’Inferno. La grandiosa composizione si trova all’estremità orientale del braccio meridionale del Campo santo e fa parte del ricchissimo apparato decorativo dell’edificio, al quale lavorarono alcuni fra i più insigni maestri del XIV e XV secolo, come Francesco Traini, Taddeo Gaddi, Spinello Aretino e Benozzo Gozzoli.

Un tripudio di forme e colori voluto come contorno delle illustri sepolture che via via trovarono posto all’interno del monumento. Una combinazione a cui, soprattutto noi moderni, dobbiamo la difficoltà di percepire questo luogo straordinario come un sepolcreto: superato l’ingresso, il Camposanto appare ai nostri occhi come un museo dell’arte plastica e pittorica, per di più racchiuso in un’architettura elegante e lineare al tempo stesso, capace di regalare, grazie al suo sviluppo longitudinale, fughe e prospettive affascinanti.


Il Trionfo di Buffalmacco – che viene ricollocato nella sua posizione originaria in questi giorni – si presenta come un racconto scandito in più scene, ciascuna delle quali si rivela intrisa di significati simbolici e allegorici attentamente studiati.
La prima occupa la parte sinistra dell’affresco ed è senza dubbio quella di maggior impatto: ne è protagonista un gruppo di giovani uomini e donne, vestiti con abiti eleganti e ricercati, impegnato in una battuta di caccia. In sella ai loro cavalli, si imbattono in tre bare scoperchiate, al cui interno vi sono altrettanti cadaveri, in differente stato di decomposizione: il primo, che si immagina deceduto da poco presenta il ventre ancora gonfio per gli effetti del decesso; il cadavere del secondo ha invece perso gran parte della sua consistenza: il terzo, infine, è ormai ridotto a solo scheletro.

La visione sgomenta, atterrisce e suscita il ribrezzo dei giovani, contagiandone anche le cavalcature: in particolare, il cavallo dell’uomo che si copre la bocca e il naso per il fetore, è ritratto in una posa analoga, con il collo proteso, le froge spalancate e il morso digrignato, in una smorfia di disgusto quasi umano più che animale. Come detto gli abiti e gli accessori suggeriscono l’elevato lignaggio del gruppo e la rappresentazione deve intendersi come un’allusione al fatto che la morte non risparmia nessuno e che dunque, quando il momento verrà, anche i ricchi e i nobili non potranno sottrarsi al proprio destino. Dal punto di vista estetico, vale la pena sottolineare la cura con cui Buonamico ha reso i dettagli della scena, come nel caso dei tessuti con cui risultano cuciti i vestiti o della foggia dei diversi capi, che rispecchia le mode di allora più in voga.

In questa scena si è peraltro registrata una delle nuove acquisizioni scaturite dall’intervento di restauro appena terminato, ovvero quella degli scorpioni sul corpo di uno dei tre defunti. La loro presenza è stata rivelata dalla ripulitura ed era rimasta a lungo sconosciuta, tanto che non compare nella documentazione d’archivio dell’affresco. La presenza dei piccoli animali rinforza verosimilmente la connotazione mortifera del dipinto, stante la capacità di questi aracnidi di infliggere punture velenose con il proprio pungiglione.

Nel settore centrale, il Trionfo assume contorni ancor più tetri e al tempo stesso grotteschi, poiché vediamo alcuni storpi e mendicanti che chiedono sia posta fine alla loro esistenza terrena, come già è avvenuto agli uomini e alle donne – Laici e religiosi – che giacciono davanti a loro. Su tutti volteggiano demoni alati che contendono agli angeli le anime dei trapassati. Ma, soprattutto, spicca la grande rappresentazione della Morte, alla quale Buffalmacco assegna i connotati tipici della sua iconografia, presentandola come una donna anziana, dallo sguardo torvo, che imbraccia una grande falce.

Sulla destra, infine, immerse nel verde rigoglioso di un magnifico giardino, alcune giovani donne sono riunite in una serena conversazione, che sembra svolgersi lontano dai crudi eventi delle scene vicine, di cui le ragazze appaiono ignare o forse addirittura incuranti e che viene allietata dalle suonatrici che compaiono all’estrema destra.
Qui, ancora più che nella rappresentazione di caccia, si rileva la cura con cui l’artista ha voluto definire ogni particolare della composizione, regalando all’osservatore una vera e propria rassegna tessile, nella quale si succedono stoffe riccamente decorate e che ricadono con morbidi panneggi sui corpi delle ragazze. L’atmosfera risulta, nel suo insieme, quasi incantata, in un efficace contrasto con il resto dell’affresco.

Di non minore interesse è anche la porzione che occupa il quadrante superiore sinistro del Trionfo, nel quale si vedono vari monaci, assorti nella lettura e nella meditazione, ma anche, in un caso, nella mungitura di una cerbiatta. In questo caso, si tratta verosimilmente di un riferimento agli obblighi lavorativi che le Regole monastiche spesso prevedevano, nel segno dell’ora et labora di benedettina memoria.
E qui sarebbe stato particolarmente interessante poter leggere quel che era stato inserito sul foglio che il primo dei monaci spiega davanti al gruppo dei cacciatori: in questo caso, però, nemmeno il nuovo restauro ha potuto recuperare il disegno originario, fattosi illeggibile anche nel cartiglio retto dagli storpi che invocano la morte.


Maria Paola Forlani

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