venerdì 21 settembre 2018

COURBET


Courbet
e
 la Natura

Per la prima volta dopo quasi cinquant’anni, torna in Italia Gustave Courbet, in una retrospettiva a Ferrara, nella sede di Palazzo dei Diamanti, dal titolo Courbet e la natura, fino al 6 gennaio 2019, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, a cura di Dominique de Font-Réaulx, Barbara Guidi, Maria Luisa Pacelli, Isolde Pludermacher e Vincent Pomaréde.
La parola <<realismo>>, nella sua accezione generale, significa la descrizione della realtà così come appare ai nostri occhi. Da questo punto di vista il realismo, fino alla diffusione dell’astrattismo e dell’informale moderni, è sempre stato il fondamento dell’arte figurativa, considerata anzi dai teorici di quasi tutte le epoche <<imitatrice della realtà>>, per usare la nota espressione vasariana.
Ė soltanto poco prima della metà dell’Ottocento che, in reazione all’idealismo classico-romantico, la parola realismo viene usata nel senso stretto di riproduzione oggettiva della realtà, senza aggiunte da parte del pittore, senza interpretazioni, in concomitanza con le analoghe tendenze della letteratura contemporanea, in particolare francese, da Balzac a Flaubert, a Zola.
In questo senso il realismo è lo scopo principale della pittura di Gustave Courbet (Ornans, 1818 – La-Tour-de-Peilz presso Vevey sul lago di Ginevra, 1877) che, riallacciandosi ai realisti del’600, da Caravaggio a Velazquez, da Zurbaràn a Rembrandt e a Fraz Hals, oltre ai veneziani del’500, si pone, dopo un inizio romantico, in polemica non soltanto con il romanticismo, ma, soprattutto, con la cultura ufficiale dell’impero di Napoleone III, con la borghesia capitalista che lo sostiene e perciò con l’Accademia di Belle Arti, che trasmette, attraverso l’insegnamento della scuola, le direttive del governo.
Il realismo di Courbet è, prima ancora che uno stile, un costume morale, politico, umano. Per questo Courbet ha sempre negato valore alla scuola, la quale può solo insegnare regole e quindi reprimere la libertà; se questo atteggiamento ha origine romantica (e del resto il realismo stesso trova le sue origini nella ricerca di verità del romanticismo), Courbet lo conduce alle estreme conseguenze al punto che, decisosi, nel 1861, per combattere l’influenza dell’Accademia, ad aprire una propria scuola realista, affigge nello studio un cartello con quattro lapidari<<comandamenti>>:
<< 1) Non fare quello che faccio io; 2) Non fare quello che fanno gli altri; 3) Anche se tu facessi quello che fece Raffaello, non esisteresti: è un suicidio; 4) Fai quello che vedi, che senti, che vuoi>>.
Ė la negazione della scuola (e quindi anche della sua, che ebbe, infatti, vita assai breve) perché, come scrive egli stesso in un articolo contemporaneo, <<non ci possono essere scuole: ci sono soltanto pittori>>.
A questa posizione politica, in polemica con il governo reazionario, Courbet resterà fedele per tutta la vita, giungendo, esempio raro di probità morale, a rifiutare la più alta onorificenza francese, la Legion d’Onore.
Le opere di Courbet fecero scandalo: in una esposizione del 1853 Napoleone III prese a frustate un suo quadro Le bagnanti, per l’eccesso di realismo. Oggi ci è difficile capire come il pubblico contemporaneo potesse essere colpito negativamente dalle tele di Courbet, se non riflettendo sul contrasto che esisteva fra l’idealizzazione tradizionale e la rappresentazione senza veli della realtà, che appariva brutale e volgare. In altri termini, non erano soltanto i temi (contadini e gente del popolo) a scandalizzare, ma, forse ancor più, il modo di rappresentarli senza abbellimenti.
La prima sala della mostra introduce la personalità artistica e umana di Gustave Courbet attraverso degli autoritratti. Nessun altro pittore mostra tanto piacere e tanta soddisfazione nel ritrarre se stesso. Courbet si ritrae con ingenuo compiacimento negli atteggiamenti enfatici e teatrali che ama assumere nella vita, secondo l’immagine romantica da eroe “byroniano”, come l’Uomo ferito, di sapore decisamente romantico.
Nell’Autoritratto con cane nero, l’opera con cui nel 1844 Courbet è ammesso per la prima volta al Salon, l’autore si ritrae all’aperto (probabilmente sullo sfondo della valle di Bonnevaux, nella sua terra natale), secondo la moda della pittura “en plein air” iniziata dai pittori inglesi del XVIII secolo e che si afferma durante il Romanticismo. Con il bellissimo cane si ritrae dunque Courbet, al centro del quadro, bloccato da una composizione piramidale, come colto in un momento di riposo durante una passeggiata nella valle. Il pittore ci guarda con aria altera e lievemente ironica, il volto incorniciato dalle falde del cappello scuro e dai lunghi capelli. Al fascino del dipinto contribuiscono i toni scuri della figura del pittore e della silhuette del cane che si ritagliano su quelli dello sfondo ocra, azzurro e verde.
Uno sfondo realizzato, fra l’altro, per la prima volta, con l’aiuto della spatola, con la quale Courbet stende la densa materia dei colori.
“…Egli trasferiva il paesaggio intero, toni e colori, nel suo ricordo, ed era in grado di eseguirlo poi nello studio come se lo vedesse innanzi a sé. Da qui forse quell’ampiezza nel dipingere sbarazzata dal paragone meticoloso con il reale…”, così Andrè Gill descrive il modo di procedere nella rappresentazione dei paesaggi di Courbet, capace di far rivivere attraverso il ripensamento diretto “d’aprés nature” il motivo romantico in un pezzo di natura reale. <<Per dipingere un paesaggio, bisogna conoscerlo. Io conosco il mio paese, lo dipingo>>, scrive senza mezzi termini Courbet. E appunto la Franca Contea è stata uno dei suoi soggetti prediletti: l’altopiano calcareo, in cui i fiumi come la Loue hanno scolpito valli profonde, il contrasto perenne tra i boschi verdeggianti e l’arida nudità dei monti circostanti costituiscono i punti di riferimento della geografia intima del pittore.
Altro nodo cruciale nella ricerca pittorica di Courbet è la correlazione tra paesaggio, figure e animali. Le convenzioni della pittura accademica avevano subordinato il paesaggio alla figura, l’uno era invariabilmente il completamento dell’altro. Courbet, invece, elabora composizioni dove figure e sfondo naturalistico sono integrati.
In dipinti come La sorgente (1868, Parigi Musée d’Orsay) e la Giovane bagnante (1866, New York, Metropolitan Museum) lavora sul tema del nudo, spogliandolo dei tradizionali riferimenti mitologici o allegorici: sono audaci figure che incarnano il piacere sensuale del contatto con gli elementi primari della natura, nei sottoboschi di Ornans.

La rivoluzione pittorica di Courbet si è spinta anche nel mondo contemporaneo e nel contesto suburbano, a partire da un dipinto chiave del suo catalogo: Fanciulle sulle rive della Senna (1856-57), Parigi, Petit Palais). Con questo capolavoro l’artista si cimenta con un soggetto inedito e moderno, “fotografando” due ragazze della cerchia bohémien parigina in un momento d’abbandono in riva al fiume.
L’opera, aspramente criticata al Salon del 1857 per le dimensioni monumentali, insolite per una scena di genere, e per l’esibita sensualità delle due giovani, inaugurerà la grande fortuna pittorica delle rive della Senna, celebrata dagli impressionisti una generazione dopo.


Nella serie delle Onde – di cui sono esposti gli esemplari di Le Havre, Francoforte, Edimburgo ed Orléan – è protagonista un mare tempestoso, rappresentato tramite un’inquadratura molto ravvicinata, a ridosso dell’acqua, che non dà respiro allo spettatore, è una pittura molto materica che dà corpo alle onde nel momento in cui stanno per riversarsi violentemente contro la riva.

Nell’ultima sezione della mostra viene raccontata la parabola paesaggistica di Courbet negli ultimi anni della sua vita, trascorsi in esilio a La Tour-de-Peliz, sulle rive del lago Lemano in Svizzera. Dominatore comune delle vedute realizzate in questa fase (1873-77), è un sentimento quasi romantico della natura, che si configura come proiezione dei sentimenti del pittore e del suo mondo interiore, profondamente segnato dalla condizione di esule.
Maria Paola Forlani

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