Marc Chagall
Come nella pittura
Così nella poesia
Si è aperta
fino al 3 febbraio a Mantova, in concomitanza con il Festivaletteratura, la
mostra dedicata a Marc Chagall (Vitebsk,
7 luglio 1887 – Saint-Paul-de-Vance, 28 marzo 1985), il pittore che insieme a
Pablo Picasso e Roberto Delaunay ha forse ispirato il maggior numero di poeti,
scrittori e critici militanti del Novecento. La mostra a cura di Gabriella Di
Milia, in collaborazione con la Galleria Statale Tret’juakov di Mosca, è
promossa dal comune di Mantova e organizzata e prodotta con la casa editrice
Electa.
Marc Chagall come nella pittura, così
nella poesia è
allestita a Palazzo della Ragione che è stato restituito alla città a
settembre, dopo un lungo e complesso intervento di restauro e di
valorizzazione.
La mostra
espone oltre 130 opere tra cui il ciclo completo dei 7 teleri dipinti da
Chagall nel 1920 per il Teatro ebraico da
camera di Mosca: opere straordinarie che rappresentano il momento più
rivoluzionario e almeno nostalgico del suo percorso artistico. 17 pannelli, tempere e gauache su tela di
grandi dimensioni (tra cui Introduzione
al Teatro ebraico, 284 x 787 cm), costituiscono un prestito eccezionale
della Galleria Statale Tre’jakov di Mosca, di assai rara presenza in Italia.
Lo spazio
espositivo è articolato su più livelli di lettura e interpretazione nell’ambito
del confronto tra il Palazzo della Ragione, la mostra e la ricostruzione del
Teatro ebraico. Nella struttura espositiva infatti il Teatro è stato ricreato come
un ulteriore “spazio nello spazio”, e considerato come un’unica opera d’arte da
esporre nella sua configurazione originale.
Una
selezione di opere emblematiche (dipinti e acquarelli) di Marc Chagall degli
anni 1911 – 1918 accompagna l’allestimento immersivo del Teatro ebraico da camera, insieme a una serie di acqueforti,
eseguite tra il 1923 e il 1939, tra cui le illustrazioni per le Anime morte di Gogol, per le Favole di La Fontaine e per la Bibbia.
Le incisioni
si inseriscono nel percorso espositivo a testimoniare lo stretto rapporto tra
arte e letteratura nel periodo delle avanguardie.
Chagall
arriva a Parigi nel 1910 all’età di ventitrè anni. La sua luce lo folgorerà, lo
aggredirà, lo condurrà attraverso i meandri della propria memoria fantasmagorica,
delle proprie origini: russe orientali, ebree, popolari. Mai si aggrapperà
completamente alla “Ville lumiére”, eppure è certo che nessun’altra accademia
avrebbe potuto concedergli quello che scopre qua “mordendo le esposizioni, le
vetrine, i musei”. Ė qua infatti che si stanno giocando i grandi mutamenti
artistici del XX secolo. Grazie a Gaiguin, Van Gogh e Seurat, Matisse e i
Fauves affidano al colore puro il pieno potere dell’espressività pittorica.
Mentre il rinascimento della funzione creativa del piano ad opera di Cézanne
porta i cubisti a comporre un linguaggio organizzato all’interno di una
struttura compositiva aprospettica.
Lo smarrito
Chagall invece, incantato dalle vie e dai quadri, dalla libertà che scuote l’aria
e la cultura, sentendo per la prima volta su di sé il peso e la responsabilità
della parola artistica, entra in campo appropriandosi della nuova superficie
figurativa. Arricchendola attraverso l’incanto di immagini metaforiche e
oniriche, fantastiche, di un contenuto poetico fino ad allora sconosciuto.
Trasponendo nel dipinto gli impulsi del cuore. Unendo in modo singolare l’aspetto
più razionale e formale dell’arte occidentale a quello più profondamente
passionale, visionario e leggendario, esaltato e mistico dell’universo d’Oriente.
Rifiutando, nella totalità, sia il cubismo che il fauvismo: il primo perché concepito
troppo razionalisticamente, il secondo perché troppo preoccupato al discorso
cromatico in senso formale.
Nella mostra
mantovana, nel grande pannello Introduzione al teatro ebraico, che
occupava la parete sinistra della platea, si avverte subito che Chagall si è
svincolato da quel che era diventato il suo modo abituale di fare pittura,
sperimentando metodi più sintetici e immediati.
Le strisce di fondo, che si
intersecano in settori curvilinei, sono modulate dal nero alle più impalpabili,
chiarissime tinte. Sono geometrie che dividono in comparti i singoli
protagonisti di una grande parata e, nello stesso tempo, li tengono insieme. La
parte sinistra del dipinto, con il gruppo dei ritratti a grandezza naturale dei
personaggi attivi nell’impresa del regista Granovskij al critico Efros, agli
attori, è scherzosa, come per sdrammatizzare le difficoltà da affrontare. Lo
stesso Cagall, portato in braccio da Efros, appare il simbolo di un
atteggiamento battagliero. L’artista mette insieme gesti, caratteri, funzioni,
situazioni di una umanità che vive l’incerto presente, coinvolta in incidenti
di ogni tipo e condizionata da manie che la fanno apparire isolata nella bizzarria
di una nuova condizione.
Volendo accettare tutti gli elementi contraddittori di
un momento storico colmo di interrogativi l’artista doveva sentirsi fortemente
combattuto. Probabilmente riuscì a contenere tutte le spinte contrarie e
opposte per la sua vicinanza al chassidismo, il movimento mistico ebraico che
gli suggerì i modi di affrontare le difficoltà della vita quotidiana insieme a
tutto il grande subbuglio psicologico di quegli anni russi brulicanti di
violenza e sogni impossibili. La saggezza chassidica cresceva nella gioia piena
della vita, alla tavola del rabbino nei giorni di festa, mediante sentenze,
epigrammi, leggende, improvvisazioni esegetiche che puntavano alla redenzione
dal peccato con il paradosso e l’ironia.
Oppure nelle capriole per le vie e nei
mercati che esprimevano la fiducia nell’emozione spontanea come mezzo di
comunicazione con Dio. Nello spazio di massima evanescenza a destra, i tre
saltimbanchi, che ricordano i pagliacci del teatro popolare ebraico, sono degli
svitati, dei folli di Dio, che uniscono santità e allegria. Questa parete
dipinta con pennellate leggere ed euforiche indica che qualcosa di nuovo è
avvenuto nella mente dell’artista e che egli è pronto a realizzare nuovi
capolavori.
Maria Paola
Forlani
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