Raffaello 1520 – 1483
In occasione
delle celebrazioni mondiali per il quinto centenario dalla scomparsa di
Raffello Sanzio, Roma. La città che ne ha sancito l’affermazione artistica, non
poteva che dedicare all’Urbinate una Mostra, allestita negli spazi delle
Scuderie del Quirinale, che mettesse in luce il valore universale dell’arte del
genio del Rinascimento; un gusto, una tecnica ed una delicatezza pittorica e
compositiva rimasti per quattro secoli quali basi indiscusse del canone
artistico occidentale.
Un racconto in
chiave monografica incentrato sulla vasta produzione artistica di Raffaello:
dalle arti plastiche a quelle decorative, dall’antiquaria dell’architettura
spingendosi sino all’urbanistica. Un percorso espositivo a ritroso che prende
il via dalla morte di Raffaello a Roma e dalla sua sepoltura nel Pantheon
proseguendo fino ai primi passi nel mondo dell’arte del giovane, prima nella
casa natale, poi nella bottega di Pietro Vannucci detto il Perugino.
Il 6 aprile 1520
quando il genio Urbinate muore dopo otto giorni di febbre “continua e acuta”; nello stesso giorno in cui nacque, Raffaello Sanzio lascia un vuoto che echeggia in tutte le corti
italiane. Un compianto a cui si uniscono umanisti, committenti ed antiquari; l’artefice rapito al mondo nel fiore degli
anni tra lo sconcerto
generale per un evento così inatteso, a tre giorni dalla Pasqua di
Resurrezione.
Il giorno successivo
alla sua morte, Raffaello viene tumulato al Pantheon; come da lui auspicato,
accanto alla sua tomba, viene posta una lapide in memoria della sua promessa
sposa, Maria Dovizi da
Bibbiena, anch’essa morta
prematuramente.
La perdita del
sommo artista è citata dal Letterato veneto
Marcantonio Micheli (Venezia, 1484 –
Venezia, 9 maggio 1552) nel suo diario; una mancanza avvertita anche
nell’interrompersi di un importante progetto, la ricostruzione scientifica
della pianta di Roma antica realizzata partendo dal rilievo delle rovine
visibili che avrebbe successivamente riscattato dall’oblio la grandezza della capitale dei Cesari.
Una ricostruzione
grafica già citata nella Lettera a Leone X scritta nel 1519 a quattro mani da Raffaello Sanzio e Baldassarre
Castiglione; uno scritto
rimasto anch’esso incompiuto, ma giunto ad oggi in diverse redazioni. Una
testimonianza cruciale del pensiero dell’Urbinate; una confessione che si può considerare un
avvio della moderna concezione di tutela e conservazione dei monumenti. Questa,
suddivisa in tre parti ideali, premeva sulla necessità di non distruggere le
opere, ma preservarle e studiarle; una seconda parte era dedicata ad una
panoramica della storia dell’architettura e alle diverse modalità di edificare;
a chiusura della missiva, l’importanza del rilievo grafico dei resti
monumentali di Roma
Un artista morto
all’apice della sua fama; eletto da ben due pontefici, papa Giulio II e
papa Leone X, degno di fiducia tanto da ricevere i compiti
più significativi nella corte pontificia. Una storia fatta da personalità di
spicco in gara nel contendersi il pittore di Urbino, per commissionargli
dipinti.
Ed è proprio
grazie al papa che Raffaello giunge a Roma stazionandovi dal 1509 al 1520; qui
l’artista esprime tutto il suo talento raggiungendo l’apice del successo. Dopo
un periodo a Firenze, l’Urbinate approda alla Capitale su chiamata di Giuliano
della Rovere, papa Giulio II, che ambizioso mecenate della modernità, vuole
raccogliere a sé i migliori artisti del tempo nomi tra i quali troneggiano
Michelangelo e Bramante. Un momento di fermento artistico grazie al quale, tra
scoperte archeologiche, decorazione della Cappella Sistina e lavori per la
nuova Basilica di San Pietro, Roma riesce a strappare a Firenze il testimone
della supremazia artistica. Una fucina di cui Raffaello diviene l’indiscusso
protagonista; un’effervescenza culturale che vede l’urbinate lavorare per
committenti privati, pur proseguendo sia le ricerche iconografiche sul tema
della Madonna con
Bambino, che le attività
in Vaticano. Un lavoro quest’ultimo che impegna Raffaello fino alla morte,
passando di commissione in commissione, di papa in papa; alla morte di Giulio
II è infatti Leone X a commissionare all’artista gli affreschi che illustrano
famosi episodi di precedenti papi con il nome di Leone.
Leone X,
secondogenito di Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico, è un papa colto ed
amante delle arti; gli anni del suo pontificato sono per Raffaello la
santificazione a più grande artista vivente. Capace di operare in tutti i
generi, l’Urbinate è impegnato dalla pittura sacra alla decorazione profana,
dai cicli pittorici di portata monumentale ai piccoli dipinti realizzati per
collezioni privati. Una frenesia che porta l’artista di Urbino a circondarsi di
giovani allievi e collaboratori; le sue opere iniziano così a diffondersi in
Italia, spingendosi sino ad oltre confine.
Raffaello è a
Siena quando gli giungono gli echi delle straordinarie novità artistiche di
Leonardo e Michelangelo. Ed è Firenze la terra che il giovane Raffaello sceglie
per approfondire la sua tecnica artistica lasciando così la terra marchigiana;
a suggellare questo evento la Dama col liocorno
(1504 – 1505), ritratto di cui
rimangono ignote identità e committenza rappresentante una promessa sposa
individuabile dalla presenza del cagnolino che tiene in grembo, ed il Sogno del cavaliere (1504) rappresentante il semidio al bivio tra
vizio e virtù.
Quella in cui
sbarca Raffaello è una Firenze in forte fibrillazione artistica (autunno 1504);
Leonardo, Michelangelo, una città che pullula di artisti di talento; ma non
solo: qui il Pittore di Urbino può approfondire lo studio dei maestri del
Quattrocento (Donatello, Masaccio). Ed è proprio in questo clima che l’urbinate
inizia ad allontanarsi dai modelli del Perugino avvicinandosi ad una
monumentalità fusa con la naturalezza propria degli stilemi vinciani
Tra i capolavori
del periodo fiorentino spicca sicuramente La Deposizione (1507), opera commissionata da Atalanta
Baglioni: una composizione che attinge fortemente dallo studio dei sarcofagi
antichi, realizzata per commemorare i fatti di sangue che avevano portato alla
morte Grifonetto, figlio di Atalanta, e destinata alla chiesa di San Francesco
al Prato di Perugia.
Lo Studio di una
mano e di un volto tracciati a stilo nera (1497 – 1499) rappresentano la prima
opera di Raffaello Sanzio; un primo passo nel mondo dell’arte di quello che sin
da adolescente promette di essere un genio. Unico figlio di Giovanni Santi,
pittore, e di Maria Battista di Nicola Ciarla, Raffaello nasce in una Urbino
che irradia oltre confine gli ideali del Rinascimento. Ed è per mezzo del padre
e dei suoi contatti con Palazzo Ducale di Urbino che il giovane ha modo di
studiare le opere di Piero della Francesca, Antonio Pollaiolo e molti altri.
Nella bottega paterna Raffaello apprende le prime nozioni dell’arte: sminuzza
pigmenti, compone i colori, realizza quelle che forse sono le sue prime opere,
proprio all’interno della casa natale.
L’Urbinate ha
solo 11 anni quando perde il padre; troppo presto per andare a bottega; ma
questo non ferma la sua determinazione. Si propone, infatti, a Pietro Vannucci
detto Perugino, il quale lo accoglie nella sua bottega ben contento di avere un
nuovo apprendista. Ma il giovane Raffaello si dimostra presto ben al di sopra
del Maestro; è il 1504 quando, dopo ormai tre anni nella bottega del Perugino,
all’urbinate viene commissionato l’incarico di dipingere lo Sposalizio della Vergine per la chiesa di San Francesco a Città di
Castello. Un’opera ispirata alla analoga pala realizzata dal Perugino per il
Duomo di Perugia; un affronto per il Maestro che deve però riconoscere
l’abilità del giovane allievo. Un trionfo di morbidezze in cui le figure si
muovono con naturalezza nello spazio, rompendo gli allineamenti, giocando con
forme concave e convesse. Solo una delle prime prove artistiche di quello che
sarà nei secoli un genio del Rinascimento.
M.P.F.
Nessun commento:
Posta un commento