domenica 4 ottobre 2020

Donne e Fotografia tra gli anni '50 e gli anni '80

 


Attraversare l’Immagine

Donne e Fotografia tra gli anni ‘50 e gli anni ‘80

 


Attraversare l’immagine. Donne e fotografia tra gli anni ’50 e gli anni ’80 è una rassegna dedicata a fotografe che hanno operato in ambito sociale, che hanno focalizzato la loro attenzione sui temi fondati quali il lavoro, l’antropologia, la politica, la guerra, l’architettura, la letteratura, la cultura in senso lato.


La mostra a Palazzina Marfisa D’este aperta fino al 22 novembre a cura dell’UDI – Unione Donne in Italia, per la XVII Biennale Donna “Attraversare l’immagine. Donne e fotografia tra gli anni ’50 e gli anni ‘80” è presentata da di Angela Madesani.


Quello preso in esame è un lungo periodo di impegno politico e sociale, portante nella storia del cosiddetto secolo breve, che ha segnato grandi mutamenti dei quali le donne sono state protagoniste. La mostra parte, da un punto di vista cronologico, delle premesse, da alcune ricerche a sfondo antropologico della fine degli anni Cinquanta per giungere, quindi, agli anni Sessanta, che hanno significato lotte, in nome di un cambiamento radicale della cultura e della società, di un raggiungimento di libertà individuali e di conquiste democratiche.


Raggiungimenti che gli anni Settanta avrebbero estremizzato, animando, sullo sfondo di drammatici conflitti, il rapporto tra politica e cultura. Gli Ottanta poi hanno costituito, in qualche modo, il momento di riflusso. Le grandi battaglie condotte per l’acquisizione dei diritti civili, per l’emancipazione di alcun classi sociali, delle donne, degli emarginati, sono defluite verso modi diversi di avvertire l’esistenza, soppiantando le pratiche collettive delle quali l’arte e la fotografia si erano rese interpreti a favore di una dimensione individuale privilegiata.

Non è preso in esame il solo mondo italiano ed europeo, le ricerche hanno per oggetto mondi altri: dalla Palestina al Sudafrica, dalla Cambogia agli Stati Uniti d’America. Sono in mostra alcuni reportage di guerra e non solo, in cui in modo non trascurabile le fotografie hanno saputo, come innanzi detto, registrare i grandi eventi storici e politici.


La rassegna si apre con le opere di Diana Arbu (1923 – 1971), una delle più interessanti personalità fotografiche della seconda metà del XX secolo, la cui ricerca ha fatto il punto di svolta, rispetto a quanto era stato fatto dal punto di svolta, rispetto a quanto era stato fatto sino a quel momento. Ha iniziato a lavorare nella pubblicità e nella fotografia di moda con suo marito, Alian Arbus, come art director e stylist per i loro servizi. Nella seconda metà degli anni Cinquanta Diane decide di dedicarsi finalmente a quello che le interessa davvero la fotografia. Le sue fotografie hanno come soggetto i mondi paralleli alla normalità, mondi negati, che Arbus riesce a raccontare nella sua verità e crudezza, arrivando a realizzare alcune fra le fotografie più iconiche dei nostri tempi.


Continuando nel percorso espositivo, due sono i lavori che si possono collocare nell’ambito del fotoreportage tradizionale, con una chiara propensione all’indagine sociale e antropologica. Di Chiara Samugheo (1935), alcune fotografie di ambito neorealista, parte della serie dedicata alle tarantate salentine della fine degli anni Cinquanta. Di Lori Sammartino (!924 – 1971), le fotografie tratte da La domenica degli italiani, un volume del 1961, corredato da un testo di Ennio Flaiano, che racconta un’Italia semplice negli anni precedenti il boom economico.


Presente una selezione di opere da Morire di classe di Carla Cerati (!926-2016), pubblicato nel 1969 con Gianni Berengo Gardin per Enaudi. Una delle ricerche più significative e conosciute dell’artista, che ha contribuito a mutare la situazione manicomiale del nostro Paese.



Il nome di Letizia Battaglia (1935) è legato a un importante giornale palermitano progressista e impegnato nella lotta alla mafia, <<L’Ora>>. Tornata da Milano a Palermo, a metà degli anni Settanta, Battaglia, che nel capoluogo lombardo aveva collaborato con <<Tempo>>, <<ABC>>, <<Le Ore>>, porta con sé un nuovo linguaggio legato al fotoreportage con cui apporta una sferzata iconografica – e quindi sociale e politica – a quanto era stato fino allora.



Una sezione della mostra è dedicata al fotoreportage in Medio Oriente, Asia e Africa, con i lavori di Franoise Demulder, Paola Agosti e Leena Saraste.



Franois Demulder (1947 – 2008) è stata la prima donna a vincere il World Press Photo, il più prestigioso premio fotografico del mondo. Lo ottiene nel 1977 con una foto che ritrae, a Beiurut, un’anziana donna palestinese che implora un soldato falangista incappucciato, armato di un vecchio fucile, di smettere di ammazzare.



Paola Agosti (1947) è tra le più acute fotogiornaliste italiane, impegnate nella documentazione del mutamento della condizione femminile; le sue foto vengono pubblicate su <<L’Espresso>>, che aveva ospitato le immagini di Carla Cerati, e su <<Noi donne>>.



Storica dell’arte di formazione, la finlandese  Lena Saraste (1942) è una importante teorica del linguaggio fotografico. Dopo anni di lavoro professionale nell’ambito della moda e della pubblicità, esaurito qualsiasi legame con il modernismo degli anni Cinquanta, come molti fotografi della sua generazione si pone di fronte al mondo con interessi di natura politica e sociale.



Sono di oltre cinquantacinque anni fa le opere di Lisetta Carmi (1924) dedicate al porto di Genova esposte in mostra. Una ricerca che va ben oltre i limiti dei generi fotografici, in cui l’uomo, il paesaggio, l’architettura giocano ruoli precipui.



Il mondo operaio è al centro delle ricerche di Giovanna Borghese (1939) sulle fabbriche di Milano, del suo hinterland e di Torino. Sono immagini di lavoro, di sciopero, di concentrazione, ma anche di fabbriche abbandonate, riprese negli anni Settanta e gli Ottanta.


Una mostra come questa, che si focalizza soprattutto sull’ambito sociale, presenta una ricerca architettonica come quella della tedesca Petra Wunderlich (1954), intelligente allieva di Bernard e Hilla Becher. La sezione di muro da lei fotografate in sintonia con la sua successiva ricerca sulle cave di pietra, in cui la natura con la sua forza costruttiva diviene protagonista assoluta.

La fotografa Mari Mahr (1941) presenta una serie su Lili Brik. Donna del Novecento, musa dell’avanguardia russa, la cui casa è stata un importante punto di incontro del milieu culturale moscovita, Lili, sposata con il critico formalista Osip Brik, è stata il grande amore di Majakovskij, incontrato nel 1915. Una storia, la loro, di passione e rivoluzione, che Mahr ha riportato in una serie di tableaux photographiques assai raffinati.


La mostra si chiude con l’opera di un’altra americana Francesca Woodman (1958 – 1981). Quello che conosciamo della sua vicenda esistenziale e artistica può essere circoscritto nell’interno dell’autoritratto in un momento storico e sociale particolare, gli anni Settanta. Nelle foto di piccolissime dimensioni, l’immagine diventa una presa di coscienza non solo personale, ma sociale del suo essere donna.


M.P.F.

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