Van Gogh. I colori della vita.
Vincent van Gogh fa parte di quella ristrettissima categoria di artisti che sono assunti a un livello tale di fama nella cultura di massa, da diventare delle icone pop “assolute”, avvolte da una mitica aura senza tempo. Il suo stesso nome è diventato una sorta di “logo”: basta nominarlo che davanti agli occhi di tutti compare la sua inconfondibile figura, quella degli autoritratti più conosciuti, tra le decine da lui dipinti in tutti i periodi della sua vita.
Ci appare come l’avessimo conosciuto di persona, con quella faccia spigolosa triangolare, l’ispida barba rossiccia spigolosa, il profondo sguardo ombroso che ci fissa in modo penetrante. Con in testa il cappello di paglia o di feltro, oppure senza, o anche (versione più suggestiva) con il colbacco che nasconde in parte la fasciatura bianca sull’orecchio tagliato.
E ce lo immaginiamo nella sua spoglia stanzetta con la sedia di paglia, o mentre dipinge dei paesaggi. Più che i suoi quadri, però, ad appassionare il grande pubblico è soprattutto la sua tragica esistenza, che ha tutte le caratteristiche per incarnare il prototipo perfetto dell’artista “maledetto”, secondo la più convenzionale visione romantica. Una vita nel segno della fatale congiunzione fra genio e follia.
Un solitario disperato visionario che diventa pittore dopo essere stato predicatore tra poveri minatori, che ama derelitte prostitute, che si infligge traumatiche punizioni, che entra ed esce dai manicomi e che infine si suicida con un colpo di pistola a soli trentasette anni. Un pittore totalmente ignorato dal mondo dell’arte del suo tempo che sarà scoperto solo dopo la morte.
Una vita da film. Questa è in sintesi la visione più ampiamente diffusa di Vincent van Gogh (1853 – 1890). Il fatto che sia stato, in realtà, innanzitutto un vero professionista estremamente cosciente dell’originalità della sua ricerca, e in stretto contatto con molti tra i grandi innovatori del suo tempo, ha interessato molto meno la maggior parte degli scrittori e registi, autori di biografie e di film. Per lo più si tratta da un lato di storie eccessivamente romanzate e dall’altro di superficiali spettacolarizzazioni drammatiche, a iniziare da Brama di vivere del 1956 interpretato da Kirk Douglas fino al più pretenzioso Sulla soglia dell’eternità del 2018, diretto dal regista-pittore Julian Schanbel. Ma ci sono, per fortuna anche esempi di alto livello, come il testo Van Gogh il suicidio della società (1947) di Antonin Artaud, il film Vinent e Théo (1990) di Akira Kurosawa, dedicato all’ultimo dipinto dell’artista.
Un esperienza di grande conoscenza dell’artista ci viene proposta dalla rassegna Van Gogh. I colori della vita, organizzata al Centro San Gaetano di Padova da Marco Goldin, che ha un’impostazione divulgativa e che enfatizza tutti gli aspetti stereotipati, ma che ha soprattutto il merito di mettere in scena più di ottanta opere del pittore olandese. Si tratta di una selezione di disegni e di quadri tra cui alcuni molto famosi, provenienti in massima parte dal Museo Kröller-Müller di Otterlo.
Interessante anche il dialogo con dipinti di artisti a lui vicini, come Jean-Franḉois Millet, George Seurat, Paul Signac e Paul Goguin. Per evidenziare l’influenza delle stampe giapponesi sulla ricerca dell’artista c’è una sezione dedicata alle xilografie di Hiroshige.
A segnare in modo originale l’avvio del percorso espositivo, nella prima sezione intitolata “Il pittore come eroe”, sono esposte tre opere di Francis Bacon del 1957; sono dei magnifici d’aprés di violenta tensione espressiva direttamente ispirati a Il pittore sulla strada di Tarascona del 1888, ( una tela (purtroppo distrutta nell’incendio del Kaiser Friedrich Museum durante la seconda guerra mondiale) in cui Van Gogh si ritrae carico dei suoi strumenti di lavoro, mentre cammina sotto il sole, segnando con la sua ombra il sentiero tra i campi. In mostra c’è però uno dei più noti autoritratti, quello con il cappello di feltro grigio, dipinto nel 1887 a Parigi con una tecnica ancora parte divisionista.
La seconda sezione è dedicata agli anni della prima formazione. Sono soprattutto dei disegni (minatori, contadini, paesaggi), realizzati durante il periodo passato come predicatore nel Borinage, e negli anni 1880-83 all’Aia e Etten.
La parte centrale dell’esposizione, con una quarantina di quadri e disegni, è dedicata agli anni di permanenza a Neunen nel Brabante, in casa dei genitori, dal 1883 fino all’estate del 1886. Qui Van Gogh continua a sviluppare il suo interesse per la dura condizione di vita dei contadini e degli operai. Tra le opere di questa sezione, oltre a una notevole scena d’interno (Telaio con tessitore del 1884), si possono vedere alcuni paesaggi come La vecchia torre di Neuen e Autunno, Paesaggio al crepuscolo, caratterizzati da toni piuttosto scuri. La definitiva svolta coloristica di Van Gogh inizia con il trasferimento a Parigi, dove rimane dall’autunno 1886 all’inizio del 1888. Di questo periodo si può vedere in mostra, insieme all’autoritratto citato, una veduta di Montmartre con il Moulin de la Galette del 1887.
La sezione con le opere più belle e conosciute è quella intitolata “Un anno decisivo 1888 ad Arles”. La luce e la natura provenzale impregnano di vita dipinti come Albero da frutta tra cipressi, Mietitori, Il seminatore e Vigneto verde. Importanti sono anche i ritratti come quelli del postino Roulin, di suo figlio Armand e di Joseph cinoux. Il percorso si chiude con qualche opera dipinta durante la degenza al nosocomio di Saint Rémy (1889 –inizio 1890) tra cui spiccano una veduta di Monte Gaussier, Il buon samaritano (da Delacroix) e un magnifico paesaggio con nuvole visto dalla finestra della sua Stanza.
M.P.F.
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