Barocco a Roma
La meraviglia delle arti
Il Barocco è la continuazione
logica del manierismo, che ne è la premessa.
Se questo esprime la crisi
della società rinascimentale, l’angoscia del dubbio, l’urto fra la Riforma protestante e la Controriforma
cattolica, il barocco è l’arte del trionfo controriformista e dell’assolutismo
sovrano, sia quello papale a Roma, sia quello monarchico in Francia o in
Spagna; ma è anche l’arte dell’introspezione psicologica dell’uomo,
l’espressione del suo dramma. Il barocco è un fenomeno europeo, diffuso, in
seguito all’evangelizzazione delle colonie, nell’America latina, differenziato
a seconda delle realtà sociali e culturali delle varie nazioni, ed è un
fenomeno soprattutto cattolico. Perciò la sua origine è essenzialmente italiana
e il suo centro maggiore è Roma, da dove si irradia nel resto d’Italia e in
tutta Europa.
La mostra <<Barocco a
Roma. La meraviglia delle arti>>, a cura di Maria Grazia Bernardini e
Marco Bussagli, aperta fino al 26 luglio 2015 presso la Fondazione Roma
Museo-Palazzo Cipolla, si snoda lungo un affascinante percorso visivo composto
da quasi duecento opere d’arte che presentano un’esaustiva panoramica sul
linguaggio estetico prodotto durante i pontificati di Urbano VIII Barberini
(1623 – 1644). Innocenzo X Pamphili (1644 – 1655) e Alessandro VII Chigi (1655
– 1677). Gli artisti, di quell’epoca straordinaria, sono tutti rappresentati,
protagonisti acclamati di quella furia artistica che, dopo il Rinascimento,
manifestava per immagini le profonde inquietudini dell’uomo nuovo, espresso in
un allestimento che vuole esso stesso evocare le iperboli architettoniche di
Francesco Borromini.
Con i pontefici mecenati,con
cui inizia il suggestivo percorso espositivo, sono, anche, le loro famiglie,
un’aristocrazia che compete con gli ordini religiosi, i Gesuiti in prima fila,
per contribuire alla vertiginosa crescita della città con una nuova facies barocca: nelle architetture
monumentali, sacre e non, come nella decorazione degli interni, con
l’esuberanza mai così prima di allora nelle sale affrescate: nella creazione di
quadrerie dove centinaia di dipinti affollano ogni ambiente della dimora, da
pavimento a soffitto, fino al più piccolo oggetto, una placchetta in bronzo
dorato o una medaglia d’argento. Quest’ultima, seppur piccola, con un ruolo
importante per veicolare e diffondere il messaggio di potere, magnificenza e
sovranità di cui la Caput Mundi
si sente investita, per il tramite delle sue figure guida.
Innanzitutto il papa.
Tanto basti ad esplicitare la
valenza anche politica, nel senso del potere e supremazia, che sottende il
nuovo assetto urbanistico e architettonico nei decenni centrali del Seicento a
Roma. Disegni, documenti, stampe, modellini in legno o terracotta danno l’idea
dell’enorme cantiere, mentre i dipinti con vedute e scene di festa fanno
rivivere l’entusiasmo e gli aspetti più giocosi e insieme trionfali della Città
Eterna in Età Barocca. Insieme ai committenti, i protagonisti dell’ondata di
novità che coinvolge tutte le arti sono gli architetti, i pittori e gli
scultori che nelle sale della Fondazione Roma, sfilano con opere magistrali.
A
cominciare dalla Santa Margherita di
Annibale Carracci, accanto a opere degli altri bolognesi, tra i principali
rinnovatori del linguaggio dal manierismo alla nuova parlata capace di
coniugare naturalismo e classicismo: Giovanni Lanfranco, Guido Reni, il
Guercino e il Domenichino.
A entusiasmare il visitatore,
lungo il cammino di tanta ‘bellezza’, basterebbe la tela con Atlante e Ippomene in trasferta da Capodimonte, capolavoro
del
“ divino”
Guido, per dirla col Malvasia. La scena rappresentata è tratta dal mito
greco, secondo il quale Atalanta, nemica delle nozze, sfidava a una gara di
corsa, nella quale era imbattibile, i vari pretendenti, sconfiggendoli e uccidendoli;
ma Ippòmene, lasciando cadere tre mele d’oro dategli da Afrodite, dea
dell’amore, e inducendo perciò Atalanta a indugiare per raccogliere, riuscì a
giungere primo e a sposarla. Splendida la bellezza dei due corpi nudi,
perfettamente torniti, e la rispondenza delle forme secondo linee diagonali.
Ma poi, oltre agli emiliani,
i “forestieri” offrono il loro contributo per la variopinta declinazione della
pittura barocca: il fiammingo Pietro Paolo Rubens con il San Sebastiano della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo
Corsini, e lo stesso santo nella celebre tela di Simon Vouet della collezione
Gianluigi Condorelli.
Dalla Francia anche Nicolas
Poussin, Claude Lorrain e Jean Lemiare, per la pittura, e François
Duquesnoy, per la scultura. Campo, quest’ultimo, dove trionfa sempre il genio
di Gian Lorenzo Bernini, accanto al più composto e “classico” Alessandro
Algardi. Del Bernini disegni, bozzetti in terracotta e marmi mostrano la sua
effervescenza creativa negli anni di Urbano VIII Barberini (1623 – 1644); gli
stessi in cui emerge, in pittura, la figura leader di Pietro da Cortona, che
per il Barberini affrescherà il soffitto del suo palazzo nell’impresa
magistrale condotta tra il 1633
e il 1639. Nel percorso sono anche presenti
capolavori d’arredo: specchi, mobili, orologi strumenti musicali – tra cui
spicca l’arpa Barberini.
In mostra anche i “cortoneschi” Ciro Ferri, Giovanni Francesco Romanelli, Giacinto Gimignani, Guglielmo Cortese detto il Borgognone e Lazzaro Baldi, che interpretano all’infinito il volto pittorico di un superbo barocco maturo.
Protagonista dopo la svolta
della metà del secolo è però il genovese Giovanni Battista Gaulli, detto il
Baciccio, raffinato pittore da cavalletto per l’aristocrazia e abile frescante
per i Gesuiti. Tra gli ultimi palpiti di un’arte che sgorga dall’anima e si
accende nei colori e nelle forme, il Gaulli chiude in bellezza, insieme a Carlo
Maratta, la gloriosa stagione del trionfo barocco a Roma.
“Che importa a me veder dipinta in occhio/
col Calice la
Fede , e colle chiavi/
cui’l popol
piega l’umil suo ginocchi?”
(B. Menzioni, Satire, Amsterdam 1718, X)
Maria Paola Forlani
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