La rosa di fuoco era il nome con cui era chiamata Barcellona negli ambienti anarchici di
inizio Novecento. Un appellativo che evoca, allo stesso tempo, il fermento che
a cavallo del secolo infiammava la vita politica, sociale e culturale della
capitale catalana, ma anche i violenti attentati dinamitardi e i conflitti
sociali di cui fu teatro la città. A siglare l’ascesa di Barcellona era stata
nel 1888 l’Esposizione Universale, che celebrava il vertiginoso sviluppo
economico e urbanistico della città e contribuiva a diffondere idee di
rinnovamento. S’impongono nuovi stili di vita, nuovi valori e nuove visioni
creative, contagiati dall’euforia della vita moderna che si respirava nelle
capitali della Belle Èpoque.
Contemporaneamente, sulla scena artistica, si afferma un movimento animato dalla sete di sperimentazione, il modernismo catalano, che prende a modello
La crescita culturale ed
economica della capitale catalana fu però accompagnata da tensioni sociali che
nel luglio del 1909, durante quella che sarà definita la “settimana tragica”,
sfociarono in un violento conflitto tra popolazione civile e militari e in una
dura repressione che decretò la fine di questa stagione.
Di questi anni fecondi e
inquieti, e dei talenti che li animeranno, dà conto La rosa di fuoco, una grande
mostra organizzata dalla Fondazione
Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara,
a cura di Tomàs Llorens e Boye Llornes, aperta fino al 19 luglio. La rosa di fuoco, ovvero l’arte e le
arti a Barcellona tra 1888 e 1909, offre un punto di vista particolare su quel
periodo aureo dell’arte e della cultura catalana, presentandolo sullo sfondo
dello scenario storico-sociale per metterne in risalto la fisionomia complessa
quanto affascinante.
L’esposizione mette a
confronto tecniche e ambiti artistici differenti per esplorare le varie anime
del modernismo catalano, ponendo in risalto la natura poliedrica ed eclettica
di questo movimento, che trovava i propri modelli tanto nelle radici medievali
della Catalogna, quanto nella Parigi art Nouveau e negli altri poli del
rinnovamento culturale europeo.
La mostra si apre con due
immagini simbolo che evocano idealmente la cornice entro cui si sviluppò
l’immaginario dei modernisti, oscillante tra euforia e pessimismo.
Il primo è il piano urbanistico
del 1860 progettato da Ildefons Cerdà: il progetto, ispirato a ideali di
uguaglianza e basato su un sistema modulare di isolati regolari, fornì le linee
guida sulle quali, nel giro di qualche decennio, si sviluppò la Barcellona moderna
oltre i confini del Barri Gòtic.
Il percorso espositivo si
concentra sulle innovazioni urbanistiche e mette in luce le peculiarità di
un’architettura che cambia il volto della città all’insegna dell’eclettismo,
attingendo alla tradizione medioevale e all’artigianato locale per rifondare
un’estetica e una pratica costruttiva nel segno della modernità.
Una panoramica sulla produzione
dei protagonisti del modernismo presenta le caratteristiche della loro pratica
architettonica: dal naturalismo floreale di Lluìs Domènech i Montaner, alle
raffinatezze neogotiche di Josep Puig i Cadafalch, soffermandosi sulle fantasie
orientaleggianti di Antoni Gaudì.
Un suggestivo allestimento
permette al visitatore di entrare idealmente nell’atelier di quest’ultimo,
offrendogli una visione ravvicinata su alcune tra le sue invenzioni più
originali, come la pavimentazione in cemento ideata nel 1904 e oggi ancora
utilizzata per lastricare i viali di Barcellona. E soprattutto il progetto
della chiesa della Colonia Güell. Gaudì aveva creato nel suo
studio un sistema di corde e pesi corrispondenti al carico esercitato sulle
volte e sulle colonne, per simulare la forma capovolta della struttura della
chiesa. Poi, rovesciando le fotografie di questa struttura, egli aveva
tracciato i disegni progettuali, immaginando una struttura rivoluzionaria:
un’architettura di forme organiche prive di angoli che rimanda agli elementi
naturali che offrono riparo come la caverna e l’albero. In mostra sono visibili
questi rarissimi disegni accanto alla ricostruzione del modello.
Un’ampia sezione della mostra
mette a fuoco la fisionomia sfaccettata della vita pubblica. Innanzitutto il
luogo di ritrovo di gran parte degli artisti che animano il modernismo, la
mitica taverna Els Quatre Gates, dove si tennero serate letterarie, concerti,
esposizioni e spettacoli. Una suggestiva galleria di manifesti evoca la
straordinaria diffusione della cartellonistica pubblicitaria e delle arti
grafiche, cui diedero un apporto fondamentale proprio i frequentatori dei
Quatres Gats. Una selezione di ritratti documenta l’esordio del diciottenne
Picasso, che, con la sua prima mostra personale, in questo luogo magico, salì
alla ribalta come uno dei più dotati talenti della scena modernista.
Nel capitolo successivo della
rassegna, il visitatore è condotto all’interno delle abitazioni borghesi, in
quell’intimità elegante che artisti come Casas riescono sapientemente a
restituire attraverso informali ritratti d’ambiente come Scena domestica all’aria aperta, 44.
I modernisti subirono il
fascino della musica e dell’estetica wagneriana che aveva contagiato tutta
Europa. Al Teatre del Liceu di Barcellona andarono in scena rappresentazioni
con scenografie spettacolari, grandiose architetture dipinte che riflettono
l’importanza data al coinvolgimento di tutte le arti nella concezione
wagneriana dell’opera totale. Un suggestivo allestimento, in mostra, presenta
il modello originale delle scene disegnate da Oleguer Junyent per il Tanhäuser sullo
sfondo del fregio creato da
Adrià Gual per la sala della musica dell’Associazione wagneriana, sui temi del Tristano e Isotta e del Parsifal.
Con l’eccezione di Mir, i
modernisti scelgono Parigi come seconda patria e qui raggiungono anche grande
notorietà. È il caso di Hermen Anglada Camarasa che fu una star
nella ville lumière del primo
Novecento per le sue femme fatales e,
naturalmente, del giovane Picasso che, al suo esordio nella galleria di
Ambrosie Vollard, fu accolto dal successo critico e commerciale. Una sezione
della mostra ripropone questo confronto sul tema delle “lucciole” e
dell’immagine ammaliante e nello stesso tempo minacciosa della vita notturna
parigina.
Una sala dell’esposizione
evoca gli eventi drammatici del 1909, in cui confluiscono le tensioni che hanno
attraversato questo periodo. A far esplodere la miccia fu il reclutamento per
la guerra coloniale in Nordafrica, contro il quale venne indetto uno sciopero generale;
intervenne l’esercito e gli operai eressero barricate. Vennero date alle fiamme
decine di chiese e conventi, profanate le tombe dei religiosi ed esposte le
salme dei defunti. Ma lo sciopero rivoluzionario mancava di una guida e venne
represso nel sangue.
L’epilogo della mostra è
dedicata soprattutto ai due artisti che più di ogni altro hanno saputo leggere
la sofferenza che si nasconde tra le pieghe di questa situazione esplosiva,
fino a dedicarvi un’intera stagione della loro pittura: Picasso e l’ultimo dei
grandi protagonisti del modernismo in pittura, Isidre Nonell.
La mostra si chiude con un
capolavoro come Ragazza in camicia (1904-05)
di Pablo
Picasso, una straordinaria
figura femminile appena delineata su un astratto fondo blu, che ha forza assoluta
di un simbolo universale. Gracile eppure orgogliosa, è un’icona della fragilità
e della dignità umana, e nella estrema semplificazione dell’impaginato e della
tavolozza annuncia quella rottura col naturalismo che culminerà nell’invenzione
del cubismo.
Maria Paola Forlani
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