Tesori sacri della devozione granducale
“La bellezza e il colore delle immagini
sono stimolo per la mia preghiera.
È una festa per i miei occhi così come lo
spettacolo della campagna sprona il
mio cuore a rendere gloria a Dio”
(De Sacri immaginibus orationes)
Si è aperta nel Museo delle
Cappelle Medicee, fino al 3 novembre 2015, la mostra
Nel segno dei Medici. Tesori sacri della devozione
granducale (catalogo Sillabe), a cura
di Monica Bietti, Riccardo Pennaioli ed Elisabetta Nardinocchi.
L’evento vuole essere una
riflessione e un approfondimento su un tema caro alla famiglia granducale: i
doni a carattere sacro, preziosissimi e magnifici che i Medici offrirono ai
santuari della Toscana, ma anche ben oltre lo Stato che la famiglia governava,
arrivando fino a Loreto, in Terra Santa, e a Goa in India. Doni di varia natura
e tipologia, corone votive, fornimenti per altari, calici, ostensori,
reliquiari, paliotti etc., che allora come oggi si leggono nella duplice forma
di testimonianza del culto dei granduchi e delle granduchesse legati per varie
ragioni ai santuari beneficiati dalle sontuose suppellettili sacre, ma anche di
ricchezza, di cultura e di gusto, testimonianza indubbia del loro potere
economico e politico, o meglio come “veicolo dell’articolato sistema di
sacralizzazione del potere”.
L’esposizione dei magnifici
oggetti è ordinata secondo il loro legame con i vari personaggi della famiglia
Medici che effettuarono le donazioni. Questi doni si prestano ad una duplice
lettura: sia come attestazione della devozione dei granduchi e delle
granduchesse, sia come manifestazione di ricchezza, di cultura e di gusto,
testimonianza indubbia del potere economico e politico al governo. È
evidente infatti che offerte di questo pregio superlativo – e di costo
esorbitante, in proporzione – trascendevano l’ambito di una devozione privata e
personale, e si presentavano come omaggi “ di Stato” al superiore potere della
Divinità.
Gli oggetti in mostra, tutti
di qualità altissima, trovano con la Cappella dei Principi, dove sono ambientati, un
dialogo stretto ed esplicito che valorizza gli uni e l’altra con rimandi,
rapporti e richiami palesi, in un tutt’uno davvero unico al mondo.
La mostra si apre con un
dipinto di anonimo raffigurante il momento, il 5 marzo 1570, in cui Cosimo I
de’Medici ricevette l’investitura a granduca da papa Pio V (1566 – 1572). Il
titolo granducale era nuovo rispetto a quelli fino ad allora assegnati da papi
o imperatori, cosicché anche la corona, che non poteva esemplarsi su modelli
esistenti, dovette essere creata ex novo; la vediamo rappresentata in questo
dipinto oltre che nel proclama originale conservato presso l’Archivio di Stato
di Firenze. La medesima corona del Granduca fu poi presa a modello per
incoronare le sacre immagini mariane dei maggiori santuari della Toscana, a
testimonianza della sacralità assunta come forma ufficiale di propaganda e
affermazione politica. Ne sono manifestazione evidente in mostra le due corone
realizzate per la cosiddetta
Madonna delle lacrime della Santissima Annunziata di Arezzo.
Nell’ambito del Giubilieo
1600, Ferdinando I Medici rinnovò con un prezioso donativo il legame tra il
casato e le chiese del territorio, inaugurando una tendenza
che segnò l’intero secolo, in
un continuo crescendo. L’8 settembre (festa dell’Annunciazione) il granduca
consegnò alla Basilica servita un prezioso paliotto d’argento opera dell’orafo
cortonese Egidio Leggi, come ex voto in
segno di gratitudine per la guarigione del figlio Cosimo da una grande
infermità, considerata
Ancora più importante è la
figura di Cristina di Lorena, moglie
di Ferdinando I
dal 1589. A lei si devono importanti donativi per i
santuari della toscana, fra i quali quelli per la Madonna al Sasso e per
Santa Maria della Fontenuova a Monsummano.
Con il granduca Cosimo II e la consorte Maria Maddalena d’Austria, si
intensificarono le commissioni di grandiose opere di oreficeria sacra. Tra i
capolavori promossi dalla coppia granducale spicca lo straordinario ex voto con l’effige in pietre dure di
Cosimo II. Su iniziativa di Maria Maddalena la cappella dell’ex appartamento di
Ferdinando I de’Medici in Palazzo Pitti divenne un sontuoso sacello domestico:
Vittoria della Rovere ereditò dalle granduchesse Cristina di Lorena e Maria
Maddalena d’Austria la
Cappella delle reliquie di Palazzo Pitti con il suo tesoro di
sacri resti e di reliquiari. Animata da una fervida fede, contribuì in maniera
determinante alla crescita di questo insieme, arricchendolo di reliquie
provenienti spesso dalle catacombe romane.
Il granduca Cosimo III rivestì un ruolo di assoluta centralità nella
storia della devozione medicea. Le cronache del tempo informano delle sue
numerose donazioni ai molti luoghi di culto, così come della sua ossessiva
ricerca e raccolta di reliquie di santi. Il suo regno fu segnato dalla
commissione di un rilevante numero di custodie destinate alla sua Camera in
Palazzo Pitti, ma anche da portare addosso alla persona sotto forma di
raffinati medaglioni, così da trarre beneficio dai poteri terapeutici che la
devozione del tempo attribuiva ai sacri resti.
Si deve a Cosimo III il
rinnovamento dell’ambiente artistico di corte. Fu infatti il Granduca a
fondare, nel 1673, l’Accademia fiorentina a Roma con sede a palazzo Madama,
permettendo agli artisti fiorentini di aggiornarsi sul gusto barocco.
Vi si formarono vari illustri artefici destinati a dominare la scena cittadina tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, primi tra tutti Giovan Battista Foggini e Massimiliano Soldani Benzi, importando le novità di origine romana nel linguaggio fiorentino delle arti espresso in tutte le sue forme.
Nel Reliquiario di san Casimiro del Soldani Benzi si avverte la rottura rispetto alla tradizione precedente per il complesso dinamismo dell’opera: un vero trionfo di fiori, nastri e figure a tutto tondo in libertà, che raggiunge effetti di straordinaria efficacia. La suggestione teatrale di chiara impronta barocca è evidente anche nelle opere di Giovan Battista Foggini, caratterizzate dall’impiego di pietre dure con effetti cromatici sorprendenti.
Il Reliquiario
di san Sigismondo si pone al vertice di tale percorso: attorno alla pur
carismatica presenza della reliquia, l’apparato narrativo e ornamentale diviene
sempre più coinvolgente e scenografico.
Maria Paola Forlani
Nessun commento:
Posta un commento